Capitolo 12: Il lupo perde il pelo ma non il vizio
Firenze, 1471
La notte era fredda e silenziosa, e così anche loro.
La luna pareva fin troppo esile e distante per illuminare i loro passi, ma conoscevano ogni palmo di strada a memoria e le circostanze erano dalla loro: nessuna guardia cittadina in vista. Inoltre, Neri era avvantaggiato dal suo talento innato per il furto, manifestatosi in tenera età quasi come una dote messianica.
Sarebbero entrati e usciti in un battito di ciglia – se tutto fosse andato come doveva.
«Filerà tutto liscio. Io e te insieme ce la faremo, non ci beccheranno mai!» gli aveva garantito Gittato con fare rassicurante. Neri tuttavia non riusciva a levarsi di dosso quel brutto presentimento che qualcosa sarebbe andato storto.
Quando il suo socio gli aveva descritto il piano, lui aveva subito storto il naso, intuendo che il ragazzo aveva volutamente tralasciato qualche particolare fondamentale nella sua spiegazione. Alla fine, però, anche Gittato era stato d'accordo sul fatto che Neri dovesse essere messo a parte dei dettagli, essendo suo pari in quell'affare.
«Che? E da quando accetti lavori su commissione?» aveva chiesto sorpreso quando Gittato aveva vuotato il sacco.
A quanto pareva, un uomo lo aveva avvicinato qualche giorno prima e gli aveva promesso un compenso da re per intrufolarsi in casa d'un tizio e rubare un gioiello – una collana per l'esattezza. Voleva che gli fosse consegnata in perfette condizioni, per il resto non gli importava come Gittato l'avrebbe ottenuta o se avesse portato via qualcos'altro per sé.
Questa storia mi piace sempre di meno, pensò Neri spiando nel vicolo dalla sua posizione al riparo da sguardi indiscreti. Era già grave che avesse dovuto mentire spudoratamente quando Leonardo gli aveva chiesto dove andasse a quell'ora di notte, figurarsi poi ritrovarsi col cappio al collo.
L'abitazione sorgeva nella zona del mercato, proprio di fronte alla chiesa di Sant'Andrea. Lui e Gittato l'avevano osservata per tutto il giorno: sembrava che ci vivesse un uomo insieme alla famiglia, composta da una moglie e due figli maschi – ma troppo giovani per rappresentare un deterrente. Tuttavia, ora che Neri si trovava così vicino cominciava a dubitare delle loro valutazioni.
Avevano chiesto in giro e le informazioni in loro possesso erano risultate esatte: la proprietà apparteneva a un tale Guido della Tosa, che esercitava una delle sette Arti Maggiori, l'Arte del Cambio. Essa riuniva sotto lo stemma di fiorini d'oro su sfondo rosso i cambiavalute, i commercianti di pietre e metalli preziosi e tutti coloro che praticavano credito e deposito. Un uomo del genere non poteva essere così sprovveduto come facevano pensare le apparenze.
Neri controllò e ricontrollò che la via fosse sgombra e sicura, poi si voltò verso Gittato e gli fece un cenno del capo, sussurrando: «Pronto?»
«Se sei pronto tu» rispose l'altro beffardo.
Neri lo mandò al diavolo con il pollice infilato tra indice e medio e uscì dal proprio nascondiglio, scivolando lungo la parete di pietra.
Il retro dell'abitazione sporgeva proprio su quella stradina, ed era sempre lì che si affacciava l'apertura esterna della tracerna.
Era da quella che sarebbe entrato.
Neri si era infuriato sul serio quando Gittato glielo aveva proposto. «Sarebbe questo il vero motivo per cui mi hai voluto stasera? Altro che abilità e fiducia, volevi che facessi il lavoro sporco al posto tuo, canaglia!» lo aveva rimproverato.
Lo spazio ricavato nell'intercapedine della parete esterna e destinato ai rifiuti domestici era largo non più di cinquanta centimetri, e Neri, con il suo fisico esile, era l'unico dei due a poter infilarcisi dentro. Una volta passato dall'altra parte avrebbe aperto una delle finestre al piano terra per Gittato.
Non faceva certo i salti di gioia all'idea di rotolarsi nell'immondizia depositata da giorni, forse anche settimane, ma doveva ammettere che il piano era buono. L'unica cosa che lo preoccupava era ciò che li avrebbe aspettati una volta dentro. Gittato aveva troppa fretta e non avevano studiato bene il bersaglio.
San Nicola, proteggici, pensò Neri invocando il santo protettore dei ladri.
L'intera operazione non richiese più di un paio di minuti. La sporcizia e il vasellame accatastato emanavano un fetore stantio che ebbe su di lui l'effetto di una mazzata alla testa, ma per il resto non era una situazione poi tanto tragica. Si accovacciò e affondò gli stivali – che aveva prontamente foderato di stracci – nella fanghiglia cedevole, sprofondando fino alla caviglia; la finestrella che dava sull'interno dell'abitazione si aprì senza far rumore, e Neri si ritrovò in una cucina buia infestata da un forte odore di cipolle. Dopodiché tastò alla cieca in cerca del chiavistello della finestra e spalancò i battenti facendo segno a Gittato di muoversi. I due ladri si spostarono nella parte anteriore dell'edificio, dove il padrone di casa dirigeva l'esercizio commerciale. Senza emettere il minimo fruscio, si mossero rapidi tra gli scaffali su cui era esposta la mercanzia: spille d'oro, fili di perle bianche come il latte, gemme grosse come noci. Ma Neri non toccò nulla, al contrario di Gittato che si riempì le tasche. Lui si concentrò esclusivamente sull'obiettivo, ovvero la collana con il cammeo d'avorio che pendeva da un filo di perle di giada.
Si trattava di un dono prezioso su ordinazione di Lorenzo de' Medici e, a detta di chi aveva ingaggiato Gittato, destinato alla sua amante, Lucrezia Donati. Doveva valere una fortuna di certo, ma tentare di piazzare il gioiello era un'impresa folle. Neri non riusciva a immaginare chi potesse volerlo a tal punto da sfidare l'ira del signore di Firenze.
Neri proseguì metodicamente la ricerca alla luce esile del mozzo di candela che si era portato dietro, non osando più di così per timore di essere tradito dal bagliore. Rivoltò ogni cassetto e ogni scrigno da cima a fondo, ma alla fine trovò il profilo di donna in rilievo sotto le sue dita.
Le perle di giada emanavano un bagliore che gli mise l'acquolina in bocca.
Un verso profondo e vibrante lo distrasse dal tesoro che teneva in mano e Neri cercò Gittato tra le ombre fitte. «Che combini? Non fare versi strani o ci farai scoprire» lo rimbrottò sottovoce.
«Io non ho fatto un fiato» rispose lui.
«Ma che...» Fu allora che Neri realizzò una cosa: il verso proveniva dal lato opposto della stanza rispetto al suo complice. Si voltò lentamente, sentendo il fiato pesante dell'animale sul proprio collo anche a quella distanza.
Era praticamente invisibile, col manto nero mimetizzato nella notte, ma lui sapeva che si trovava nella stanza per via delle pupille iniettate di sangue in cui si rifletteva la fiamma della candela. L'unica altra parte visibile erano le zanne aguzze e scoperte. Quel cane doveva essere enorme, e Neri fu quasi felice di non poterne ammirare a pieno la stazza.
«Dividiamoci» disse con voce più calma possibile. «Prendi tu la collana.» Con un gesto esasperatamente lento, passò il gioiello a Gittato, che si trovava più vicino all'uscita. «Al mio tre. Uno, due...»
Neri forzò una boccata acida nuovamente giù per la gola e piantò i piedi saldamente a terra. «Tre!» sibilò.
Gittato scattò senza esitazione come una lepre, sbloccando il portello che, una volta aperto verso l'esterno, fungeva da banco per esporre le merci. Lui non lo vide sparire nell'apertura e correre via nella notte però, perché era troppo impegnato a salvare la propria di pelle – non gli andava affatto a genio che quella bestia spolpasse la poca carne che aveva sulle ossa!
Un latrato famelico degno di Cerbero echeggiò nella stanza un istante prima che il cane si lanciasse su di lui, e Neri gli andò incontro.
Sentì il tessuto spesso delle braghe cedere sotto le zanne dell'animale, ma riuscì a saltare in tempo prima che le affondasse nella carne tenera. Rotolò sul tavolo che occupava il centro della stanza e, una volta atterrato dall'altro lato, corse senza voltarsi indietro verso l'arco che univa quell'ambiente al corridoio. Ripercorse a ritroso la strada che lui e Gittato avevano fatto dopo essersi intrufolati, dritto verso la cucina, e, fermo sulle scale che si affacciavano dal piano superiore, con una lunga veste da notte ricamata e un berretto sulla testa calva, vide il proprietario a bocca aperta come un baccalà.
Neri lo ignorò e filò via, con il demonio ancora alle calcagna. Ora il padrone urlava e aizzava l'animale contro di lui, essendosi apparentemente ripreso dalla sorpresa.
La finestra della cucina – la sua unica via verso la salvezza – si stagliava ormai a pochi metri da lui, il suo contorno delineato dai fiochi raggi della luna.
Neri raccolse tutte le forze che aveva in corpo, sapendo di dover resistere al fischio che aveva nelle orecchie e alla sensazione che il cuore gli stesse per esplodere in petto.
Poi chiuse gli occhi e saltò.
❝Nota dell'autrice❞ Il gestaccio che Neri fa a Gittato tenendo il pollice tra indice e medio è detto gesto della fica, ed evoca appunto la penetrazione e/o il sesso femminile. Esso equivaleva a mostrare il dito medio. Era diffuso soprattutto tra i ceti bassi della popolazione, ma appare spesso come insolente segno di sfida alla rigida morale della società nei ritratti dei pittori del Rinascimento. Tuttavia questo gesto ha origini ben più antiche, che risalgono all'epoca greco-romana.
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