Capitolo 11: Al tuono segue il temporale
Firenze, 1471
«Sei sicuro che posso prenderlo?» chiese Neri.
«Certo» rispose Leonardo, impegnato nella costruzione di uno dei suoi marchingegni. «Leggi quello che vuoi, basta che ti ricordi di rimettere tutto a posto.»
Lui sbuffò e si andò a sedere accanto alla finestra. Fuori pioveva, il cielo era grigio e nuvoloso, illuminato a sprazzi da lampi minacciosi. Una giornata perfetta per starsene rintanati in casa.
Neri aveva sondato la stanza con lo sguardo in cerca di qualcosa da fare per passare il tempo, magari di un libro da sfogliare, ma Leonardo non possedeva nulla che fosse vicino ai suoi gusti. Si trattava per lo più di trattati di medicina, filosofia, matematica... tutta roba tediosa; oppure delle scartoffie scritte in un linguaggio criptico da Leonardo stesso, il quale affermava di trovare più semplice scrivere a rovescio, dal momento che era mancino, e così aveva fatto sin da fanciullo. Poi Neri aveva scorto un volumetto con la rilegatura sfilacciata e lo aveva tirato giù dallo scaffale di legno per esaminarlo meglio: l'autore era un certo Platone e all'interno erano descritti dei miti un po' strampalati. D'altra parte non aveva niente di meglio da fare, e almeno questa qui era una traduzione che lui poteva capire.
Neri sfogliò lentamente le pagine, ripensando con un sentimento a metà tra nostalgia e avversione ai tempi in cui aveva imparato a sillabare. Era stato un periodo difficile per lui: solo, impaurito, affamato, con la gelida morsa della disperazione a tenergli compagnia la notte.
Aveva poco più di otto anni quando si era intrufolato in un'abitazione poco distante dall'Arno. Non c'era molto da rubare, niente di grande valore comunque; il suo sguardo era stato però attirato da un libro con la copertina di pelle verde scuro e dei bellissimi decori in rilievo color oro. Ovviamente non sapeva leggere e non se ne sarebbe fatto nulla, ma decise comunque di prenderlo. Mentre stava uscendo dalla finestra da cui era entrato, il padrone di casa apparve dietro di lui e lo tirò giù, ma vedendo che si trattava solo di un bambino non si accanì contro di lui. Avrebbe potuto fargli tagliare un dito o due della mano, invece, osservando con curiosità l'unico oggetto che aveva tentato di portare via, gli propose di insegnargli a leggere e scrivere; in cambio Neri avrebbe dovuto raccontargli delle proprie imprese nel mondo furfantesco, fornendogli con le beffe e le bravate delle sue avventure di strada l'ispirazione per un personaggio che l'uomo – di professione scrittore – aveva in mente di creare sulla carta. A Neri l'uomo era andato abbastanza a genio da accettare la sua offerta e gliene era stato riconoscente da allora.
«Tu conosci Luigi Pulci, il poeta!» aveva esclamato con incredulità Leonardo quando lui gli aveva raccontato quella parte della sua storia. «Notevole, Neri. Notevole davvero.»
«Niente di che» aveva risposto lui facendo spallucce, «gli ho solo insegnato qualche trucco da malvivente. Ma è sempre stato un brav'uomo con me.»
Le ore passarono lente, tra bighe alate e caverne buie, e Neri si stufò di starsene lì seduto. Gettò l'ennesima occhiata fuori dalla finestra e vide che il tempo andava addirittura peggiorando. Appoggiò la testa all'indietro, imprecando coloritamente contro il maledetto temporale nella sua mente. A un tratto notò un movimento giù in strada con la coda dell'occhio. Inizialmente pensò di essersi sbagliato; chi mai se ne sarebbe andato in giro sotto la pioggia battente? Ma poi le ombre del vicolo si incresparono nuovamente e lui fu certo di aver intravisto un volto pallido e tirato tra di esse.
«Senti Leonardo» disse rivolto all'amico, «io vado di sotto a sgranocchiare qualcosa. Ti porto uno spuntino?»
L'altro grugnì un verso che voleva chiaramente dire che aveva altro per la testa, così Neri si fiondò giù per le scale, ma non entrò nella locanda. Si diresse invece nel punto in cui la sua attenzione era stata attirata dalla finestra.
La viuzza angusta era quasi sommersa: l'acqua scorreva lungo le pareti delle abitazioni, attaccate le une alle altre, finendo nei canali di scolo laterali in legno che confluivano in quello più ampio scavato sotto la via principale, per poi riversarsi nell'Arno insieme alle acque putride provenienti dagli altri sistemi di scolo che si diramavano nel sottosuolo di Firenze. Tuttavia la pioggia traboccava abbondantemente sui ciottoli, senza riuscire a lavare via l'odore rancido d'immondizia e deiezioni che fuoriusciva da un butto attraverso la fessura aperta del suo coperchio di tufo.
Neri abituò i propri occhi all'ambiente, nonostante la visuale risultasse comunque sfocata, e rimase in allerta in attesa del minimo rumore. La figura incappucciata si fece finalmente avanti, uscendo allo scoperto.
«Finalmente! Sono più di venti minuti che ti faccio segnali» si lamentò Gittato.
«Che ci fai qui?» chiese lui con voce tetra, temendo già la risposta dell'altro ragazzo.
«Ben trovato anche a te.»
«Non girarci intorno.»
«E va bene» sospirò Gittato. Poi si avvicinò e gli rivolse un sorriso complice in cui Neri riconobbe una promessa di dannazione. «Ho bisogno di te.»
«Bisogno di me, dici. Per cosa?» La spiacevole sensazione si andava trasformando in una vera e propria campana d'allarme.
«Un lavoro, che altro sennò?» rispose il ragazzo stringendosi nel mantellaccio zuppo. «Mi serve qualcuno abile e fidato, così ho pensato a te.»
Neri scosse la testa con vigore, ribadendo: «Te l'ho già detto, io ne sono fuori. Trovati qualcun altro.»
«Non c'è un altro come te! È un colpo grosso – il più grosso che abbiamo mai fatto!»
Lui rifiutò nuovamente con determinazione.
«Neri, non te lo chiederei se non fosse importante. Lo so quanto ci tieni alla tua nuova vita e non verrei mai a dirti di buttare tutto all'aria. Ma questo può cambiare la mia di vita! Vuoi davvero negarmi aiuto dopo tutto quello ch'ho fatto per te?»
Neri serrò i pugni fino a sbiancarne le nocche, maledicendo un po' se stesso e un po' coloro che dicevano che non c'era onore tra i ladri. «Rimpiango d'averti rincontrato, Gittato» sibilò risentito.
«Me lo dicono spesso, che tu ci creda o meno» rispose l'altro con ironia e un sorriso malizioso negli occhi di smeraldo.
«Quando?» chiese Neri, cedendo infine.
«Domani notte.»
❝Nota dell'autrice❞ I butti erano delle cavità naturali o artificiali attigue alle abitazioni che venivano usate nel e nel per il deposito di rifiuti e deiezioni umane e animali. Potevano trovarsi in una via pubblica ed essere quindi di uso comune. Per evitare la diffusione dell'olezzo emanato si copriva il butto con un coperchio di legno o una lastra di pietra, spesso di tufo. Inoltre si versava all'interno cenere o calce viva per evitare il diffondersi di gravi infezioni.
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