Mite e Melanconico - IV
I due gemelli giunsero nelle Lande Oltreconfine dove viveva l'Imperatrice degli Specchi, accompagnata da una gigantesca aquila dalle penne d'oro che era stata incatenata a un trespolo con spesse catene di ferro.
I due si inchinarono al cospetto della donna più bella che avessero mai visto, dai capelli d'oro e dagli occhi di specchio.
Si diceva che non si fosse mai innamorata e che tutti i pretendenti rifiutati si fossero gettati nell'Orrido Senza Fine, così chiamato perché privo di fondo.
Melanconico sentì mancare la terra sotto i piedi, le mani tremarono, il cuore voleva uscirgli dal petto tanto batteva forte; Mite, che s'era avvicinata tanto da guardarla negli occhi, vide l'immagine di suo fratello.
«Come fai a essere interessato a una donna che riflette le sembianze altrui e non sé stessa?»
L'Imperatrice degli Specchi sorrise sorniona nel vedere il giovane profondamente invaghito e già pregustava il rifiuto che avrebbe pronunciato da lì a poco quando Mite s'intromise.
«Non permetterò che tu uccida il mio gemello.»
«Non morirà: nell'Orrido Senza Fine conoscerà solo la disperazione di precipitare in eterno.»
«Cosa vuoi per tacere?»
«Dammi i crini di rame e i peli d'argento cosicché io possa governare anche sul Regno di Metallo.»
«Lo farò, a patto che tu liberi anche l'aquila.»
L'Imperatrice degli Specchi, dopo essersi fatta dare una penna d'oro, liberò il rapace e allungò la mano.
Mite sottrasse a Melanconico i doni di metallo con facilità, li consegnò senza indugio e, consapevole che la loro impresa fosse fallita, desiderò solo fare ritorno a casa assieme al fratello.
Questi, però, non voleva separarsi dalla donna: Mite dovette somministragli un potente sonnifero. Caricatolo in spalla, s'incamminò, ma le forze le mancarono e cadde a terra.
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