Ragnatele, calendari e sfide
«E questa, signori, è la nostra collezione per l'inverno.» Bruno era in piedi, apparentemente calmo, accanto a un enorme display, dove mostrava ai presenti l'intera linea di guanti disegnati dalle sue stiliste.
La folla d'imprenditori e commercianti osservava, incantata, quanto egli mostrava sullo schermo. Erano tutti seduti su comode poltrone, poste innanzi al palco laddove Bruno esibiva le proprie doti di oratore e godeva degli applausi scroscianti dei futuri clienti.
«Niente male!»
Irene ciondolò il capo, concordando sull'affermazione del padre, seppur stesse sognando di appiccare il fuoco all'intera collezione di Bruno. Poteva vedere, davanti ai propri occhi, le fiamme divampare e avvilupparsi intorno ai guanti e, infine, al loro ideatore.
«Miei cari ospiti, non ho ancora finito...» Bruno zittì il mormorio degli invitati e mosse le mani per invitarli a restar seduti, «ho un'altra sorpresa per voi, ma prima voglio informarvi che, alla fine dell'esposizione, ci sarà un rinfresco nel ristorante della mia cara amica Sofia e sarei onorato se partecipaste tutti.» Bruno allungò il braccio e indicò Sofia che sostava ai lati del palco, accanto alla porta antincendio.
Irene scattò e portò il viso laddove c'era la cugina, che aveva gli occhi piantati su di lei; mimò traditrice a denti digrignarti e voltò, subitanea, lo sguardo, tornando a guardare lo schermo bloccato sull'ultimo guanto mostrato.
«Non è questa, però, la sorpresa,» Bruno continuò a parlare alla folla, pur osservando unicamente i movimenti di Irene, seduta in terza fila, «ma vi ho chiesto attenzione perché ho il piacere di mostrarvi una nuova collezione, la Luxury, che affiancherà quella Basic che avete appena approvato con entusiasmo.»
Sul display apparve l'istantanea della parte interna di un guanto: i fili di lana nera s'incastravano tra loro, formando una treccia su ogni falange, e terminando in una morbida pelliccia sintetica intorno al polso.
Gli occhi di Irene schizzarono fuori dall'orbita e il viso s'imporporò d'ira, mentre la voce del padre arrivò alle orecchie come un sussurro ansimato. «Non è la tua collezione quella?» l'uomo innalzò appena l'indice.
«Maledetto ladro! Ma come diavolo ha fatto?» lei biascicò, tremante, e le sue pupille si riempirono di sdegno acquoso, al punto che rischiò di non vedere la fotografia successiva, quella con cui Bruno mostrò il dorso del guanto.
Era identico alla parte posteriore tranne che per un piccolo dettaglio: erano stati applicati minuscoli e luccicanti Swarovski che formavano, insieme, una I e una S in corsivo. «Questo, signori, è il modello di punta della nuova linea, ma devo informarvi che la mia azienda si è occupata solo della fornitura di materiale e della produzione. Non sono opera nostra l'ideazione e il disegno; si tratta, infatti, di una collaborazione con l'impresa che ha fatto la storia dei guanti del nostro paese: l'azienda Vittorio Sanna e figli S.r.l. E questi gioielli sono frutto della creatività di Irene Sanna.»
Una nuova diapositiva apparve ed evidenziò l'etichetta interna, dove sbucava la scritta "Irene Sanna Gloves".
Irene non osservò altro e non udì i mormorii del padre; fissò il volto di Bruno e incastrò i loro occhi, mentre lui terminò l'accorata dichiarazione. «Le iniziali non saranno applicate, lo faranno i Sanna su richiesta dei clienti, anche se io lascerei queste poiché sono incise nel mio cuore da quindici anni.»
La vista di Irene si offuscò e nelle orecchie rimbombò il frastuono degli applausi e dei gridolini di stupore. Si erano alzati tutti in piedi, tranne Irene che sembrava fosse inchiodata alla poltrona.
Il frastuono terminò e Bruno scese dal palco, anelante di raggiungere Irene; numerosi ospiti, che volevano congratularsi con l'imprenditore, si frapposero tra lui e l'agognata metà, impedendogli di avvicinarla.
Una sagoma aggraziata, intanto, sbucò alle spalle di Irene e sussurrò al suo orecchio: «Dimmi che hai dato una spolverata alla ragnatela che c'è lì sotto!»
Irene sussultò e si voltò, scontrandosi con il viso della cugina, che si beffava di lei. «Credo che Bruno voglia farti diventare la ragazza di marzo, anche se manca ancora qualche giorno.»
Sofia sorrideva, sorniona, e gonfiò le guance, trattenendosi dal riderle in faccia, quando Irene si alzò in piedi, si girò nella sua direzione e le puntò un dito contro. «Mi hai preso per una stupida?» Il fervore esplose dalla bocca di Irene e il fragore di una risata scoppiò, invece, su quella di Sofia.
Bruno era giunto fino a loro, ignorando chi tentava ancora di fermarlo, e rivolse le prime parole al padre di Irene. «Sanna, domani vorrei parlare di affari con lei. Mi farebbe la cortesia di raggiungermi durante la mattinata in ufficio?» l'uomo domandò e il maturo artigiano confermò la propria presenza, mentre Irene ascoltava, seppur non si fosse girata per guardare né Bruno né il padre. «Se vuole scusarmi, ora,» l'imprenditore sorpassò il papà di Irene e fu alle spalle della ragazza, e ai suoi piedi, «Vorrei parlare in privato con sua figlia.»
«Che cosa vorresti dirmi? Sentiamo!» Irene si era girata su se stessa e aveva incrociato le braccia sotto il seno; aveva inchiodato le iridi radiose di Bruno e vi aveva scorto un guizzo di rimpianto e un accenno di timore.
«Andiamo al ristorante di Sofia per il rinfresco e, lì, potremmo parlare con tranquillità.» Bruno chiese e un sorriso mesto spumeggiò sulle sue labbra.
«Ah, dimenticavo che ti sei organizzato con la traditrice!» Irene lanciò una furtiva, e torva, occhiata alla cugina che, di rimando, aveva innalzato le pupille al cielo.
«Mi dispiace se, la sera di San Valentino, ho fotografato i tuoi bozzetti mentre dormivi, ma volevo realizzare queste meraviglie e farti una sorpresa.» Bruno chinò il capo, quasi sconfitto.
«Sarà meglio andare, parlerete con calma al ristorante prima che vi fraintendiate per altri quindici anni.» Sofia ghermì il braccio della consanguinea e la trascinò via, sussurrandole: «Potresti farlo spiegare, una volta per tutte e senza giungere a conclusioni affrettate. Ascoltami, o potresti pentirtene a vita.»
Irene era ferma sulla soglia del ristorante e sembrava volesse trovare una via di fuga, svanire e dimenticarsi per sempre di Bruno; aborriva l'idea di entrare e festeggiare il successo dell'ex compagno di classe, che lui aveva avuto con il suo sudore. «Entra!» fu sospinta dalla cugina e provò a guardare come fosse stata allestita la sala, ma Sofia la trascinò fino alla porta secondaria che conduceva al laboratorio sartoriale dei Sanna.
Il battente era aperto e Irene tentò di chiedere spiegazioni. «Che significa?»
«Entra e stai zitta.» Sofia intimò e Irene capitolò, addentrandosi nel suo regno.
C'era una minuscola lampada a illuminare la stanza e rischiarava appena la sagoma di Bruno, che attendeva, timoroso, l'arrivo di Irene. «Mi spieghi questa pagliacciata e perché non hai voluto discutere d'affari prima di farmi trovare innanzi al fatto compiuto?» lei domandò.
«Mi dispiace, pensavo di farti una sorpresa. Volevo regalarti un sogno e non solo perché tu mi piaci, ma credo davvero che sia una collezione di altissima qualità.» Bruno avanzò e le sue dita si mossero sul viso di Irene, carezzandolo come mai aveva potuto fare.
Irene era inerme, avvinghiata al tocco suadente di Bruno. «Che cosa cerchi da me? Mi credi così stupida?» ansimò con voce tremula, voleva spingere via la sua mano e, al contempo, desiderava che restasse sul proprio viso a lungo. «Non ho alcuna intenzione di essere la ragazza di marzo!» borbottò, ripensando a quanto detto dalla cugina.
Bruno lasciò cadere il braccio e arretrò, passo dopo passo, fino a che la schiena rasentò la parete laterale. «Veramente, avevo pensato che potresti essere la donna del duemilaventitré, duemilaventiquattro, duemilaventicinque, duemilaventisei e potrei andare avanti all'infinito, ma mi accontento dei prossimi sessanta anni.» La mano di Bruno si mosse e raggiunse l'interruttore elettrico, rischiarando la stanza con un'accecante luce.
Le mura del laboratorio apparvero agli occhi di Irene, mentre il suo cuore si scontrava frenetico contro il costato. Oltre cinquanta calendari tappezzavano le pareti, e ogni mese dei futuri anni mostrava una fotografia che immortalava loro due, insieme, dalla giovinezza alla vecchiaia, seppur fosse solo una manipolazione. «Come diavolo hai fatto?»
Avvertì incessanti brividi puntellare la colonna vertebrale e, poi, capì che Bruno si era avvicinato ed era dietro di sé. Aveva poggiato, delicatamente, le mani sui fianchi di Irene e il mento nell'incavo del suo collo. «Le fotografie me le ha date Sofia e il tipografo e Photoshop hanno fatto il resto.» Il profumo dell'uomo punzecchiava le narici di Irene e inebriava i suoi sensi. «Ho minacciato quel poveretto di non farlo più lavorare con noi e, sotto pressione, è riuscito a stampare fino al duemilaottantatre, ma mi ha promesso che terminerà il lavoro nei prossimi giorni.»
«Tu sei pazzo!» Le labbra di Irene si curvarono all'insù; poi, la giovane inclinò il viso e osservò quello di Bruno.
«Pazzo di te, sin da quando ti ho visto la prima volta. Era il primo giorno di scuola, in quarto ginnasio, eri davanti all'entrata e ti lamentavi con Sofia che qualcuno ti aveva spinto sulle scale. Non riuscivo a entrare e non perché tu mi impedivi il passaggio, ma ero incantato a guardarti e non potevo muovermi.» Bruno respirò sommessamente e, dopo, continuò a parlare, buttando fuori ciò che si portava dentro da anni. «Avevi due lunghe trecce che penzolavano sui deltoidi e libravano a ogni sbuffo di vento, una camicia di jeans che lasciava intravedere il top bianco e il candore della scollatura, un leggings nero e le sneakers grigie. Portavi lo zaino sulla spalla destra, smuovevi le braccia e impuntavi i piedi.» Bruno inspirò forte e avvicinò il volto a quello di Irene, che aveva smesso di respirare poiché la donna perdeva il fiato, incredula, a ogni ricordo pronunciato da lui. «Adesso, sto per baciarti e non mi fermerò neppure se dovessi scoppiare a ridere un'altra volta.»
«Perché, quando l'avrei fatto?» Irene chiese, esitante.
«Non ricordi la penitenza nello sgabuzzino?» Bruno domandò e Irene smosse il viso. «Avrei dovuto capirlo che eri ubriaca e che non avresti ricordato nulla. E non volevo approfittare della tua ebrezza, ma non riuscivo a resisterti. Il tuo rifiuto è stato il mio tormento a lungo e non perché ero ferito nell'orgoglio, ma avevo capito che non mi avresti mai guardato nel modo in cui lo facevo io. Non importa, però, non più; ciò che conta è che siamo qui, ora e per i prossimi sessant'anni.»
«Non ti sembra di correre troppo?» La donna abbozzò un sorriso, ma bramò di averlo per il resto della sua vita. Era illogico, poiché lo detestava, eppure avvertiva le membra vibrare a ogni carezza di Bruno. «Lo fai per assicurarti la mia linea? Oppure, vuoi produrre i miei guanti per arrivare a me?»
«Correre troppo? Sono quindici anni che aspetto. Inoltre, la tua collezione è un'opera d'arte, che nessuno si azzardasse a dire che la realizzo perché sono innamorato di te.» Bruno zittì ogni rimostranza di Irene e spazzò via ogni distanza fra loro.
Sfiorò le sue labbra, con lentezza, quasi volesse godere di ogni istante. «Ti sfido a sopportarmi per lunghissimi anni.» Poi, famelico, affondò nella sua bocca e rubò il suo respiro.
«Ti sfido ad accettarmi così come sono, insicura e imperfetta, e a volermi sempre nello stesso modo.» Irene si scostò da lui e sussurrò la sua provocazione. «E, ora, posso confessare che anch'io sono innamorata di te. Da sempre.» La donna, poi, unì nuovamente le loro labbra.
E la folla estasiata, oltre la porta schiusa del laboratorio, s'incantò a osservare il bacio della tregua, suggello di un amore più ostinato della tracotanza e della trepidazione.
Fine.
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