Incontri & Scontri

Irene sospirò, affranta, e buttò giù l'ultimo sorso di vino, rifuggendo l'occhiata accorata della cugina Sofia. Le consanguinee si fronteggiavano dai due lati del bancone: Sofia serviva i clienti nell'attesa che il loro tavolo si liberasse e Irene le teneva compagnia, spiluccando qualche tartina e bevendo un po' d'alcol per scacciare via la noia di una serata priva d'empatia per quelli come lei, ossia i single.

«Che cosa c'è? Sei depressa?» Sofia domandò, schiaffeggiando la mano di Irene che era affondata nella ciotola di arachidi.

«Ahia! Sei impazzita?» ritrasse la mano, aspettando che Sofia si distraesse per continuare, poi, a mangiare. «Perché dovrei essere depressa?» gli occhi di Irene vagarono sul viso della cugina, cercando di capire cosa intendesse e s'illuminò. «Non crederai che possa crollare davanti a tutta questa felicità?» sorrise e scosse il capo, divertita. «Sofia, essere soli non è una malattia! Ho chiuso il negozio, attiguo al tuo locale, e sono entrata per salutarti e prendere un aperitivo. Non invidio queste persone, anzi, mi sento sollevata considerando che l'ultima mia relazione non era affatto sana. Ci sarà anche qualcosa di magico in questa serata, ma lo è per chi ha costruito un rapporto solido sul rispetto e la tolleranza. E credimi, non è per tutti.» rimarcò, saccente.

«Oppure, questa serata è utile a chi vuole infilarsi nel letto di qualche nuova conquista.» le labbra di Sofia si curvarono all'insù e le pupille si soffermano sul tavolo in fondo alla sala. «Impegnata a sfondarti il fegato con il vino, non ti sei accorta che laggiù c'è Bruno Ricci e la sua nuova fiamma. Ne cambia una al mese, come quando eravamo al liceo.»

La testa di Irene scattò all'indietro e gli occhi vagarono in ogni antro del locale fino a quando incrociarono la sagoma di Bruno. L'uomo sorrideva, sornione, beandosi della dolce compagnia e un fremito di stizza puntellò la colonna vertebrale di Irene, che osservava e constatava, a malincuore, lo splendore della donna. Aveva la lucente chioma bionda raccolta in una coda ordinata e indossava uno scintillante, e accecante, vestito di paillettes argentate. Irene abbassò la testa sul suo maglione nero abbinato ai leggings del medesimo colore e rabbrividì. Sono pronta per un funerale. Il mio.

Cacciò via ogni cattivo pensiero dalla testa, scuotendo i capelli corvini; lei, in fondo, aveva appena smesso di lavorare, dopo ore trascorse su fatture e bilanci per trovare una soluzione all'imminente fallimento, mentre chi poteva aiutarla era intento a trastullarsi.

Devo trovare il modo di incastrarlo.

E un'idea baluginò nella sua mente. «Sofia, prendo un cuscino dalle poltrone.» Non aspettò alcun cenno d'assenso della cugina, ma ghermì l'oggetto desiderato e lo infilò sotto il maglione, incastrandolo nei leggings. Marciò, spedita, fino al tavolo di Bruno, puntandogli l'indice contro e sostenendo il fasullo pancione con l'altra mano, mentre calava sul volto una maschera di scenico rincrescimento. «Brutto porco, passi la serata con la tua amante e lasci tua moglie incinta a casa?»

Bruno stava sorridendo, suadente, alla compagna quando una voce stridula punse i suoi timpani. Inorridì, guardando un'abbondante Irene avanzare verso lui. Stentava a credere a quanto stava succedendo, intontito. La bionda innanzi a sé, che lui aveva chiamato cara per non sbagliare nome, scattò dalla sedia, facendola rovinare al suolo. «Sei sposato? Aspetti un figlio? Sei un porco!» la donna, infervorata, innalzò il calice e rovesciò il prosecco sul volto irrigidito di Bruno per scomparire, fulminea, dopo aver farfugliato delle scuse a Irene. «Sono mortificata, non sapevo che fosse sposato.»

Irene gongolò e sedette, soddisfatta, al posto della fuggitiva. Bruno asciugò il volto e guardò, dapprima, la bionda, di cui gli sfuggiva il nome in quel momento, sparire oltre la porta d'ingresso e, poi, la soddisfatta mistificatrice e implose d'ira. «Sei impazzita? Che diavolo ti è saltato in mente?»

«Questo era solo un assaggio. Non puoi immaginare quello che ti aspetta. Ti sfido a rifiutarmi il tuo aiuto ancora una volta e non ci sarà una sola donna disposta a uscire con te!» Irene poggiò i gomiti sul tavolo, affondò il mento tra i palmi aperti e sorrise serafica a Bruno. «Certo, che è stato facile! Potresti trovare qualcuna con un po' di cervello in più, non ha dubitato della mia buona fede neppure per un attimo.»

«Ti sfido a rovinarmi un altro appuntamento e della vostra attività non rimarrà un misero guanto!» Bruno avvertì il proprio corpo scuotersi, fremere nell'osservare il luccichio divertito baluginato nelle iridi di Irene e sperò che fosse solo rabbia la sua.

Sì fronteggiarono, battaglieri, ma l'arrivo del cameriere con il carrello dei dolci spezzò l'incanto delle loro pupille incastrate. «Prendo i profiterole e le chiacchiere, grazie.» Irene sorrise, garbata, e afferrò il piatto dalle mani del giovane. Avvertì i dardi infuocati scoccati dagli occhi di Bruno e smosse i deltoidi. «Che c'è? Sono le voglie!»

«Credi di essere spiritosa?» Bruno batteva i piedi sul pavimento, stizzito. «Dimmi cosa vuoi affinché possa liberarmi di te!» infine, capitolò, rassegnatosi a soccombere alla volontà di Irene poiché certo che lei non si sarebbe arresa.

«Vieni con me nel laboratorio, c'è una porta che collega il ristorante di mia cugina e la bottega di mio padre, non dobbiamo neppure uscire in strada. Voglio farti vedere una cosa e, dopo, ti lascerò in pace.» Irene supplicò e sperò che lui l'accontentasse.

«Posso rifiutarmi?» lui domandò e sbuffò vedendo Irene scuotere il viso. «Chiedo il conto e andiamo, anche se dovrei far pagare te per lo scherzetto della gravidanza. E togliti quel cuscino che mi mette ansia!»

«Taccagno!»

«Guastafeste!»

Sofia sopraggiunse, divertita dal siparietto, e sedò gli animi. «Ecco il conto. Ti ho concesso un lieve sconto per scusarmi della follia di mia cugina.»

«Che avrò fatto di male?» le labbra di Irene si imbronciarono. «L'ho solo liberato da una scocciatura!» Irene capì di aver parlato troppo appena avvertì il ringhio indispettito di Bruno e il mormorio polemico di Sofia; sollevò le braccia e si arrese. «Va bene, sto zitta e chiedo venia per lo scherzo.»

Bruno pagò e, poi, seguì Irene, addentrandosi nel laboratorio sartoriale dei Sanna attraverso una porta sul retro del ristorante. «Ma è tutto buio!» si lamentò.

«Perché tu quando vai via dall'ufficio, lasci le luci accese? Dammi il tempo di arrivare all'interruttore!» Irene raggiunse, tastando la parete, il quadro elettrico e un tenue bagliore rischiarò i loro volti.

Erano uno innanzi all'altro, occhi contro occhi, cuore contro mente e un ricordo mortificante punzecchiò la memoria di Bruno. Stava festeggiando i suoi diciotto anni e, complice una penitenza, era rinchiuso nel guardaroba del locale con Irene. I loro corpi si sfioravano, smaniosi di sentirsi e Bruno non era riuscito a soffocare il desiderio di averla, quindi provò a baciarla.

Non lo aveva mai fatto, consapevole che lei meritasse di più di un dongiovanni come lui, ma quella sera osò. Una fragorosa risata eruppe sulla bocca di Irene e Bruno si fermò, risentito. Non poteva sapere che lei non aspettava altro, sebbene non si facesse illusioni poiché non era avvenente come le ragazze che lui frequentava. L'insicurezza e l'alcol ingurgitato durante la festa avevano provocato un attacco di isteria tramutata in risata e in una amnesia precoce, giacché dimenticò l'affronto fatto a Bruno poche ore dopo.

«Cosa è stato?» L'eco dei ricordi fu sovrastato da un rumore nitido e Bruno si destò.

Irene aveva udito il medesimo strepitio e, illuminata, si avvicinò alla porta. Provò ad aprirla, ma sembrava bloccata come se qualcuno l'avesse chiusa a chiave. «Sofia! Sofia, aprici!» batteva le nocche contro l'anta e sbuffava, «Credo che Sofia ci abbia rinchiuso dentro e penso di conoscere il motivo!» Domani, facciamo i conti io e te, stupida cugina. Non voglio star sola con lui!

«Cosa? Ma è più matta di te? Non hai le chiavi? Apri, invece di perdere tempo!»

«Le ho lasciate nella serratura quando ho aperto, dall'altro lato della porta.» Irene chiosò.

«Che significa?» la giugulare di Bruno si ingrossò e un'espressione di terrifico stupore storpiò il suo volto cereo.

«O ci apre lei oppure saremmo costretti a stare qui fino all'arrivo di mio padre.» Irene cogitò e, infine, protese il palmo verso Bruno. «Ho dimenticato il telefono in borsa, nel ristorante, dammi il tuo.»

Bruno sfilò lo smartphone dalla tasca della giacca e strabuzzò gli occhi quando constatò di aver dimenticato di caricare la batteria durante il pomeriggio e il cellulare si era, ormai, spento. Irene notò il tremolio della sua mano e lanciò un'occhiata al display. «Bene, aspetteremo che mio padre ci apra, domani mattina.» Irene, rassegnata, si gettò sulla poltroncina presente nella stanza e indicò l'altra affinché Bruno si mettesse comodo. «Intanto, posso farti vedere la nuova linea di guanti che ho disegnato, magari ti piace e decidi di partecipare alla realizzazione. Abbiamo bisogno delle tue capacità imprenditoriali. Noi ci mettiamo l'arte, idee e manifattura, mentre tu dovrai occuparti della fornitura e della clientela. Sarà vantaggioso per entrambe le nostre aziende, tu potresti ottenere dei guanti di alta moda a dei prezzi vantaggiosi.»

«Tu sei pazza! Io non ho intenzione di passare questa serata con te, vorrei raggiungere la ragazza che tu hai fatto scappare e trascorrere un San Valentino degno di questo nome!» Bruno sbottò, lanciando per aria i disegni che Irene, speranzosa, gli aveva porto.

«Ma come osi?» Irene scattò dalla seduta e si genuflesse per raccogliere i fogli rovinati al suolo, costati mesi di fatica. «Che problemi hai?»

«Che problemi ho?» Bruno girovagò per la stanza, auspicando che ci fosse un modo per uscire. «Il mio unico grattacapo sei tu! Stavo benissimo prima di incontrarti. Ho passato una serata meravigliosa e il dopocena si prospettava strabiliante. Eppure, Irene Sanna ha deciso di mandare all'aria i miei piani e impormi la sua fastidiosissima presenza per propormi un affare che non ha nulla di vantaggioso.»

«Certo, il grande Bruno Ricci non può stare una notte con una come me, quando può ambire a qualcuno di meglio.» Irene si alzò, dopo aver raccattato ogni suo lavoro, e si parò di fronte a Bruno, mentre un acquoso velo di scontento calava sulle pupille. «In fondo, è sempre stato così! Qualsiasi ragazza ti andava bene al liceo, tutte fuorché me! Io sono sempre stata una spina nel fianco per te e non meritavo la tua attenzione.» l'astio aveva ottenebrato ogni pensiero di Irene, prevaricando finanche sull'orgoglio. «Ci hai provato pure con mia cugina, mentre io ero ripugnante per vossignoria. E, alla fine, ho creduto di esserlo davvero, al punto di accontentarmi del primo arrivato e che ha portato a termine quello che tu avevi iniziato!»

«Ma cosa diavolo stai dicendo?» Bruno non riusciva a capire e non azzardava a sperare di essere sempre stato visibile agli occhi di Irene.

Lei era, però, un fiume straripante di collera. «Io prendo un plaid dall'armadietto e mi metto a dormire. Puoi fare lo stesso, puoi restare in piedi e riposare come i pipistrelli oppure puoi cercare di evadere. Non mi interessa, ma non disturbarmi.» Irene sprofondò sulla poltrona e voltò lo sguardo, tentando di celare a Bruno la mortificazione che sgorgava dai propri occhi.

Pavido di cuore e orgoglioso di testa, Bruno non tentò di dirle il motivo per cui rifuggiva ogni approccio di Irene, dovendo confessare di non averla mai compresa, ma domandò: «Posso vedere i disegni?»

«No! La tua pietà, non la voglio. Desideravo unicamente la tua considerazione, almeno per l'impegno lavorativo che tu, da esperto del settore, dovresti apprezzare. Ti posso garantire che da domani non ti importunerò più con la mia molesta presenza. Buonanotte!» Irene chiuse le palpebre e strinse i fogli sul torace, e pregò che il vino stordisse i suoi sensi facendola addormentare nell'immediato.

Bruno ricusò la tentazione delle labbra protese di Irene e scacciò la brama di sfiorarle; restò inerme, mentre lei scivolava tra le braccia di Morfeo. Avvertì il suo respiro diventare lieve e si avvicinò; passò i polpastrelli sul suo viso e asciugò le lacrime tracimate dai bulbi. «Mi dispiace tantissimo, sono un idiota. Buonanotte.»

Irene si mosse e alcuni disegni scivolarono dalle sue mani e Bruno li raccolse; si incantò a osservare le linea aggraziate e i colori delicati che rendevano i guanti raffigurati capi di alta moda. Si stupì della bravura di Irene, che sfiorava l'eccellenza, e domandò a sé cosa l'avesse spinta a lasciare l'attività di famiglia. Desiderò chiederglielo, ma temette che lei non volesse più parlargli. Posò i fogli per non indispettirla oltremodo e agguantò una coperta dall'armadietto dei dipendenti.  Andò a sedere sulla poltrona accanto a quella di Irene; provò ad assopirsi, ma non riuscì a staccare gli occhi da lei e si maledisse per la propria codardia. «Sono guanti bellissimi e solo un deficiente come me potrebbe rifiutare la collaborazione.» strizzò le palpebre e, poi, tornò a fissarla. «Sei bravissima, e bellissima.»

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