FINE NOVEMBRE 1862 - ROMA
Palazzo Apostolico
Città del Vaticano
Il Cardinale Giacomo Antonelli era decisamente di malumore. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non essere costretto a sottostare a quell'incombenza, ma il Pontefice era stato fin troppo chiaro. L'incontro con Ambrose Dudley Mann non doveva in alcun modo essere reso di dominio pubblico e in qualità di Segretario Pontificio spettava proprio a lui far sì che ciò si avverasse.
Iniziò a passeggiare in cerchio, a grandi falcate, come faceva sempre quando la sua mente era invasa da turbinosi pensieri, le mani lungo i fianchi coperti dalla tonaca rosso vermiglio dell'abito ufficiale.
La tarda sera stava calando, il buio aveva già avvolto da molte ore le mura del Vaticano, e fra non molto la frenesia dell'intera città eterna si sarebbe acquietata lasciando finalmente spazio al silenzio e alla serenità della notte. Ma non lì dentro, non fra quei corridoi, dove il fermento non trovava mai pace.
Un po' come il suo animo, tormentato da una serie di domande a cui voleva disperatamente trovare una risposta.
Come mai il Pontefice aveva così insistito per incontrare il diplomatico confederato nonostante i pareri contrari della Curia? Cosa stava tramando fra le segrete pareti del suo appartamento?
Si portò di fronte alla grande finestra e l'aprì. L'aria fredda e umida di fine novembre ebbe il potere di riscuoterlo un attimo dalla sua inquietudine. Puntò lo sguardo in avanti, verso il buio, oltre il colonnato del Bernini che si estendeva silenzioso sotto di lui e fu invaso da una gran brutta sensazione. Richiuse in fretta il vetro e tornò a passeggiare sui mosaici antichi del pavimento di marmo del suo appartamento.
Per quanto si sforzasse, non solo non riusciva a vedere di buon occhio quell'infido diplomatico, peraltro giunto a Roma in un momento politico assai delicato, ma non condivideva nemmeno le idee di Sua Santità sul fatto che da quell'incontro potesse nascere un'alleanza proficua per entrambe le parti. E, soprattutto, non riteneva affatto saggio che il Pontefice avesse preso una posizione così marcatamente sbilanciata in favore della causa secessionista.
Certo il fervore filo-unionista del Regno d'Italia e di Casa Savoia, caratterizzato da un progressismo rivoluzionario che ricordava fin troppo da vicino la Rivoluzione del '48 e la terribile esperienza della Repubblica romana, non lasciava adito a molte scelte, ma, dall'altra parte, la copiosa presenza di cattolici in diversi Stati dell'Unione spingeva Roma a mantenere un atteggiamento di estrema prudenza.
Quindi? Cosa avrebbe dovuto fare lui? Continuare ad appoggiare la cultura conservatrice e antirivoluzionaria o abbracciare, come stava facendo il Papa, la fede incerta del cambiamento?
Scosse la testa. Come se fosse semplice rispondere. In realtà si trattava del quesito più spinoso che la Chiesa si fosse trovata ad affrontare negli ultimi anni e lui non sapeva proprio dove far pendere l'ago della bilancia.
Però su una cosa non aveva dubbi: quella sciagurata guerra che stava ormai insanguinamento gli Stati Uniti d'America mietendo migliaia di vittime ogni giorno, doveva concludersi il prima possibile.
Per il bene di tutti. Ed era proprio per tale motivo che aveva deciso di intraprendere, in segreto, una serie di accordi politici con William Henry Seward, il segretario di Stato dell'Unione, l'unico che poteva riportare Lincoln a più miti consigli. Non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con il Pontefice, e se ne assumeva la completa responsabilità, ma aveva considerato che una via d'uscita alternativa, in caso il colloquio con Mann non portasse ai risultati sperati, poteva comunque valere il rischio.
Si riscosse da quei turbamenti con un gesto di stizza.
Era ora.
La carrozza sarebbe arrivata di lì a poco e lui doveva ancora scendere nel piccolo cortile a fianco della porta San Pellegrino. Con un sospiro uscì perciò nel corridoio chiudendosi dietro di sé la porta dell'appartamento. S'affrettò giù per le scale e giunto al pian terreno proseguì senza fermarsi fino all'esterno, sbucando nel cortile a una decina di metri dalla Chiesa di San Martino e Sebastiano. L'aria pungente lo fece rabbrividire e si rese conto, nella frenesia del momento, di aver dimenticato persino il cappotto. Si coprì perciò la gola con il colletto della tunica, si guardò rapido intorno e quando fu sicuro che nessuno lo stesse spiando, si diresse a passo rapido verso il portale in legno della Chiesa. Una volta all'interno accolse con piacere il dolce tepore che emanavano le tre stufe nascoste dalla luce soffusa delle candele. Attese ancora qualche istante, giusto il tempo di riscaldarsi un altro poco, poi attraversò fino in fondo la piccola navata uscendo da una porta laterale direttamente sul selciato esterno racchiuso dalle mura del Palazzo Apostolico da una parte e dalle colonne del porticato del Bernini dall'altra.
Sbatté per terra i piedi infreddoliti, rabbrividendo di nuovo per il gelo della sera, sperando in cuor suo che la carrozza non tardasse più di tanto. Per fortuna non dovette attendere a lungo.
Una decina di minuti più tardi sentì il rumore degli zoccoli dei cavalli sulle pietre dell'acciottolato al di là della Porta del Pellegrino. Si affrettò perciò ad aprirla facendo entrare, come un'ombra nella notte, la carrozza confederata, dalla quale scese poco dopo Ambrose Dudley Mann.
Antonelli non lo aveva mai visto di persona. Ne conosceva bene le idee però, così come anche il modo con cui era solito trattare gli accordi per conto di Jefferson Davis, ma era la prima volta che si trovava faccia a faccia con lui. Approfittò quindi di quei pochi istanti prima di richiudere la Porta del Pellegrino per studiarne il comportamento. Si riteneva piuttosto bravo in quel genere di cose e generalmente era anche in grado di capire una persona soltanto osservandone il volto, le espressioni o il modo di camminare, ma in quel caso stentava a penetrare la corazza di quell'uomo. La sua aria bonaria e il fisico paffutello sembravano fatti apposta per sviare l'attenzione dalla sottigliezza e dall'arguzia che invece aveva impercettibilmente notato nei suoi occhi grigi tendenti al nero. Era bastato il sottile raggio di luce della lampada appesa al muro del Palazzo Apostolico per confermargli l'impressione che aveva avuto di lui all'inizio e ancora una volta si domandò cosa sperasse di ottenere il Papa da un individuo del genere.
Si augurò che assistere al colloquio avrebbe fugato ogni suo dubbio in merito.
«Ben arrivato in Vaticano» esordì non appena l'uomo gli si avvicinò, mascherando a stento l'inquietudine che sentiva montare dentro di sé. «Cardinale Giacomo Antonelli» gli tese la mano senza però staccare lo sguardo dal suo volto. «È un piacere riceverla in Vaticano.»
Mann ricambiò la stretta, sorridendo con aria sorniona. «Anche per me, Eminenza» gli rispose simulando una specie di inchino.
«Da questa parte» si affrettò allora a dire il Segretario di Stato indicandogli l'ingresso della piccola Chiesa a fianco. «Il Pontefice la sta aspettando nell'appartamento delle udienze. Non perdiamo altro tempo.»
***
«Grazie Giacomo, adesso puoi lasciarci da soli.»
La voce di Pio IX era carica di tensione, ma il suo era comunque un tono che non ammetteva repliche. Antonelli annuì suo malgrado, gettando al vecchio amico un rapido sguardo come a fargli intendere che non era per niente d'accordo con quella decisione, poi si voltò e uscì in silenzio con la coda tra le gambe.
«Si accomodi pure, Mann» riprese il Papa una volta che la porta fu chiusa indicandogli una poltrona a ridosso di una monumentale libreria in mogano scuro.
«Qua dentro non ci disturberà nessuno. Possiamo parlare liberamente.»
Mann si accomodò, studiando in silenzio l'enorme quantità di volumi antichi che si trovavano raccolti in quella che aveva tutta l'aria di essere la biblioteca privata del Pontefice, poi si voltò verso Pio IX notando fin da subito come apparisse stanco e provato, con profonde rughe che solcavano un volto ormai raggrinzito dall'età. «Innanzitutto, Santità» si rivolse al Pontefice accavallando le gambe in un gesto che denotava tutta la sua tranquillità, ma chinando leggermente la testa «vorrei porgerle i mie più sentiti ringraziamenti per avermi concesso udienza con un così breve preavviso. Mi rendo perfettamente conto che ha molti impegni, ma se il presidente Davis ha così insistito è perché ritiene che il momento sia cruciale. Per entrambi.»
Pio IX annuì. «In effetti, lo è» gli rispose a voce bassa quasi parlasse più a se stesso che a lui, ripensando con malinconia a tutto ciò che era successo negli ultimi due mesi e alle missive che si era scambiato proprio con Jefferson Davis. «Il Proclama di emancipazione è stato un grosso sbaglio» proseguì poi alzando lo sguardo su Mann e andando dritto al punto «e l'eco di quella sciagurata decisione è giunto addirittura fino qui, a Roma, alimentando ancora di più il fuoco dell'anticlericalismo.» Strinse i pugni. «Lei è a conoscenza della situazione critica in cui versa la nostra Comunità cristiana, Ambrose?» gli domandò a bruciapelo.
«Ho sentito delle voci al riguardo, sì.»
«Non belle immagino.»
Mann fece di no con la testa, senza però entrare nel dettaglio. Non era giunto in Vaticano per discutere di questioni religiose anche se conosceva piuttosto bene i risvolti politico-economici tra il Roma e il neonato Regno d'Italia.
«Sono tutte vere, in caso se lo fosse domandato. Il problema di fondo è che si sta sfaldando» replicò Pio IX riferendosi alla Comunità cattolica «ogni giorno di più e il vostro conflitto non ha fatto altro che alimentare lo scetticismo nei nostri confronti.»
«Non è la mia guerra, Santità, e nemmeno quella di Davis» precisò Ambrose punto sul vivo. «Non siamo stati a noi a volerla, ma Lincoln. E Lei lo dovrebbe sapere bene.»
«Punti di vista, Mann, niente di più. Ciò non toglie però che da quando è iniziato il conflitto si sia creata anche una profonda spaccatura nel mondo cattolico e io ho paura che questo sia solo l'inizio. Lo sa che sono già in molti a considerare la scelta di Lincoln come nient'altro che un gesto infame studiato al solo scopo di creare una cortina di fumo sulle sue vere intenzioni?»
«Sì e anche Davis ne è convinto. Il Nord sta cercando di far passare il conflitto come una sorta di crociata liberatrice» fece Ambrose con una smorfia «nascondendone però l'autentico aspetto agli occhi del mondo.»
«E ha ragione. È tutta una mistificazione, Mann, nient'altro. La realtà è che si tratta di una vera e propria guerra d'aggressione imperniata su velleità centraliste e protezioniste.»
«Purtroppo, devo convenire con Lei. E queste sono anche le stesse parole che ha usato il nostro Presidente nell'ultimo discorso pubblico, arrivando perfino a sostenere che Lincoln abbia agito in questo modo nel tentativo d'isolare sempre di più la Confederazione a livello internazionale. Una mossa politica indubbiamente astuta, che spero non abbia seguito.»
Pio IX si alzò in piedi, la lunga veste bianca appoggiata sul marmo intarsiato del pavimento. «Invece temo che Lincoln abbia raggiunto il suo scopo, almeno per il momento.» Scosse la testa rabbuiandosi. «In Europa la situazione è al limite, Mann. Sia Londra che Parigi stentano a prendere posizione, rimanendo in apparenza neutrali, ma continuando a tessere le loro tele dietro le quinte. La prima ha troppa paura d'inimicarsi un Paese come l'America talmente votato alla politica espansionistica da minacciare seriamente i loro territori in Canada e in America Latina, mentre la seconda sembra aver deciso di rimanere silente in attesa degli eventi con l'unico desiderio di riportarsi sullo scacchiere americano e ripristinare così la propria presenza nel continente. No, su di loro non possiamo contare.»
Il diplomatico confederato annuì, consapevole quanto chiunque altro che solo se la Confederazione si fosse trovata in una netta posizione predominante nel conflitto avrebbe ricevuto risposte positive dall'Europa. «Il Segretario di Lincoln, William Seward» replicò a voce alta confermando le paure del Papa «è stato molto chiaro sull'argomento: qualsiasi riconoscimento agli Stati Confederati da parte di Francia o Gran Bretagna verrebbe interpretato come una dichiarazione di guerra verso gli Stati Uniti.»
Il Pontefice si avvicinò al diplomatico, camminando a passo lento, cadenzato, quasi volesse contenere l'impazienza di arrivare al punto. «Esatto. E allora? Cosa vuole esattamente da me Jefferson Davis? Quali sono le sue richieste, Mann?»
L'uomo sorrise e si alzò fronteggiando Pio IX con estrema calma. «Stipulare un accordo, nient'altro.»
«L'ascolto.»
«Dai vostri discorsi» spiegò Ambrose prendendola alla larga «mi è parso di intendere che entrambi siete convinti, come del resto anche molti esponenti del cattolicesimo sudista, che la secessione non sia un atto illegale, come invece sostiene Lincoln, ma bensì una scelta in perfetta sintonia con la morale cattolica, soprattutto a fronte delle scelte economico-sociali del Nord. È corretto?»
Pio IX annuì impercettibilmente.
«Inoltre,» continuò ancora Mann dimostrando di avere una perfetta conoscenza del clima politico italiano «la situazione nel vostro territorio non è molto migliore della nostra. I Savoia e la casa Sabauda appoggiano piuttosto apertamente la causa nordista e non si sono fatti nemmeno scrupolo di utilizzare a scopo propagandistico lo stesso Garibaldi e molti altri anticlericali.»
«Lo so bene. Venga al punto.»
Mann si rimise a sedere. «Lei vuole la pace, e noi anche. Lei non vuole una spaccatura nel mondo cattolico, noi il riconoscimento della Confederazione. Lei non desidera l'annessione di Roma al Regno d'Italia e noi vogliamo vivere senza sottostare alle regole imposte dagli yankee del Nord. Lavoriamo dalla stessa parte, Santità, e anche se Lei non lo dichiara apertamente, sappiamo tutti e due che le nostre vedute in parte coincidono.»
«Quindi? Cosa proponete?»
«In primo luogo, Davis vorrebbe portare lo stato del Missouri e del Maryland, ancora indecisi su che posizione prendere, dalla nostra parte. Pensa che, se entrambi i Paesi si lasciassero condizionare dell'apertura papale verso la Confederazione, alla luce anche della relativa influenza che la comunità cattolica possiede in quei due Stati, ci potrebbero essere molte più possibilità di far valere i nostri diritti. In secondo luogo, sarebbe opportuno scoraggiare i cattolici del Nord dal continuare la guerra, o quanto meno raffreddarne di molto lo zelo combattivo, oltre a mettere un freno ai massicci arruolamenti irregolari in territorio europeo soprattutto degli irlandesi.»
«Volete il mio totale impegno in questo, dunque?»
Mann annuì. «Se non mettiamo un freno a questa politica, Lincoln potrà contare su un afflusso sempre maggiore di uomini considerato appunto che la Gran Bretagna, invece di rivelarsi un prezioso alleato, pare stia lasciando che il Nord recluti impunemente nel suo territorio soldati per la guerra. Se vogliamo vincere, dobbiamo prendere provvedimenti, ora!»
«E lei pensa che così facendo ci potranno essere buone probabilità di concludere il conflitto entro l'anno?»
«Sì.»
Pio IX parve meditare sulla proposta. Sapeva che Mann aveva ragione. Le spie che aveva mandato in America gli avevano riportato esattamente lo stesso fosco quadro, eppure stentava ancora a dare una risposta.
Un conto era pensarla allo stesso modo di Davis, un contro era prendere un impegno preciso. Siglare un accordo avrebbe significato uscire allo scoperto e dichiarare al mondo da che parte il Vaticano faceva pendere l'ago della bilancia.
Ma non c'erano alternative.
Il proclama di Lincoln era stato un atto vile e subdolo e lui stesso era abbastanza contrario a un'emancipazione immediata e totale degli schiavi. In più aveva scoperto che Antonelli stava intrattenendo rapporti segreti con il Segretario dell'Unione, segno che dietro le quinte si stava tramando qualcosa.
A conti fatti, l'accordo con Mann poteva rivelarsi l'unica via d'uscita considerando anche che solo l'anno prima Cavour aveva parlato al parlamento del Regno d'Italia chiedendo a gran voce l'annessione immediata di Roma e del territorio confinante. Il suo netto rifiuto in proposito non era stato del tutto gradito, anzi. Da una parte, non aveva fatto altro che alimentare a dismisura il sentimento anticlericale del popolo, già peraltro molto diffuso nella Penisola, e dall'altra reso sempre più concreta la paura di un'imminente invasione militare dei suoi possedimenti. E per di più il Vaticano era a corto di risorse economiche...
Con un sospiro il Papa si rivolse dunque all'uomo che aveva di fronte. «Avrete il mio appoggio, Mann» gli disse con una voce carica di tensione, il volto una maschera impenetrabile. «Su ogni aspetto che Davis riterrà necessario, ma in cambio dovrete fornirmi una parte delle vostre riserve finanziarie. È l'unica condizione che pongo, altrimenti non se ne farà niente.» Gli tese la mano fissando il suo sguardo in quegli occhi grigio-neri.
Il dado era tratto e le responsabilità messe in chiaro. Adesso non restava altro che attendere e vedere se sarebbero state accettate.
«Allora? Abbiamo un accordo?»
Il diplomatico confederato ci pensò su un attimo, poi annuì con un leggero sorriso, ricambiando la stretta.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top