CAPITOLO 23

Elm Spring House

23

Jonathan accavallò le gambe con fare disinvolto e fissò Loyd Spence negli occhi, per nulla impressionato da quel volto impassibile che nascondeva idee evidentemente di stampo insurrezionista.

«La sera dell'incidente mi è stato riferito che si è tenuta una cena importante qui a Elm Spring House, giusto?»

«Sì, ma non è una cosa rara. Le facciamo spesso, in verità. È un modo come un altro per rinsaldare i legami politici e condividere nuove idee tra vecchi uomini di stato.»

«E questo presuppone anche prospettare ribaltamenti di Governi? O magari moderne secessioni?»

Spence si concesse un sorrisetto.

«Sta alludendo forse alle idee del senatore Lee?»

Pinkerton annuì.

«Alexander è un uomo singolare, glielo concedo. Se lo conoscesse di persona, però, credo che rimarrebbe anche lei affascinato dalla sua eloquenza e da quel suo modo di tirar fuori le più forti e represse passioni dall'animo di chi lo ascolta. Ma, pareri personali a parte, noi due siamo amici da molti anni ormai e le posso assicurare che è un ottimo politico nonché uno squisito anfitrione.»

«Quindi ne deduco che lei è uno di quelli che appoggia la sua linea politica senza condizioni?»

«Non apertamente, chiaro. Ma devo dire che non ci trovo nulla di sbagliato nel voler premiare gli Stati che hanno contribuito al miglioramento delle innovazioni tecnologiche del nostro Paese.»

«Anche a costo di una secessione?»

«Lei continua a citare questa parola rimarcando sul suo concetto più brutale. Ma non è detto che debba essere così. Il passato ci ha insegnato che la guerra non è mai un bene, ma se il distacco è non violento, allora come male c'è.» Fece una leggera pausa. «Perché mai dovremmo trascinarci come un peso gli Stati del Nord quando il grosso del lavoro e degli investimenti parte proprio da qui?»

Jonathan scosse la testa. «Non sono d'accordo. La sua visione mi pare un po' troppo limitata, se me lo concede. Qualcuno, per esempio, potrebbe fare lo stesso ragionamento in merito alla politica bancaria. Se proseguiamo su questa linea di condotta, alla fine ogni pretesto potrebbe far scatenare un conflitto.»

«Ascolti» ribatté Spence con un sospiro «abbiamo già chiarito le nostre vedute sull'argomento. Non insistiamo oltre, sarebbe solo tempo perso e nessuno dei due se lo può permettere. Lei mi ha chiesto di Walker, ebbene limitiamoci a questo. Sì, la sera dell'incidente eravamo tutti qui. È stata una magnifica cena che purtroppo si è conclusa in tragedia. Cos'altro vuole sapere?»

«Era presente anche il senatore Lee?»

«Certamente.»

«E ci sono state delle forti discussioni tra i due? Voglio dire, qualche episodio magari fuori programma o insolito?»

«No. Abbiamo discusso di politica, come era ovvio. Lee ha cercato per tutta la sera di far valere le sue opinioni, ma senza successo. Walker lo ha ascoltato con piacere pur rimanendo fermo nelle sue convinzioni, come sempre. Le ripeto, è stata una piacevole serata. Tutto qui.»

Pinkerton tamburellò un attimo con le dita sulla poltrona con aria pensosa poi si alzò. «Va bene» disse alla fine «la ringrazio per il suo tempo Spence» e fece muoversi verso di lui. «Ah, un'ultima cosa, se posso» gli domandò poi con un sorrisetto. «Mentre salivo nel suo studio ho notato che avete un sacco di telecamere qua dentro. La sicurezza deve essere una priorità per voi.»

«Ovvio. Gli uomini che frequentano Elm Spring House sono personalità di spicco nel mondo della politica, e non solo. Non potrebbe essere altrimenti.»

«Concordo. E, a tal proposito, mi stavo chiedendo se per caso fosse possibile dare un'occhiata alle registrazioni della sera in cui è avvenuto l'incidente.»

Spence si alzò. «Temo di no» gli rispose con fare risoluto. «A meno che non abbia un mandato specifico, ovvio. Lei mi capisce.»

«Certamente. Se mi lascia dieci minuti, però, credo di poter rimediare con facilità al problema» e si allontanò dallo studio lasciando Spence con un'espressione perplessa dipinta sul volto.

***

«Qualcuno sta indagando su Walker» esordì Loyd al telefono stringendo la cornetta non appena fu solo. «E ha fatto pure domande su di te. Ho pensato che fosse giusto avvertirti. Jonathan Pinkerton, della Pinkerton Agency.»

«Hai fatto bene, ma come tu ben sai io non ho nulla a che vedere con ciò che è accaduto a Wallace» replicò Lee con calma. «Il caso è ormai archiviato.»

«Vuole vedere le registrazioni della cena.»

«E tu che gli hai detto.»

«Che non è possibile. Ma temo che la faccenda non sia finita qui, Alex.»

«Che intendi?»

«Non lo so di preciso, è più una sensazione. È uscito poco fa dal mio studio, convinto di poter ottenere un mandato nel giro di dieci minuti. E se ci riuscisse?»

«Per chi lavora?»

«Non me lo ha detto.»

Ci fu un attimo di silenzio.

«Che faccia pure» la voce di Lee era ancora calma, ma leggermente più dura, quasi infastidita da quel contrattempo. «Non ho nulla da nascondere. Come lui ce ne saranno molti altri. È il prezzo della notorietà.»

«Lo so, ma il suo sorriso non mi è piaciuto, Alex. Mi è sembrato un po' troppo deciso e temo che possa avere qualche asso nella manica.»

«In molti hanno cercato di screditarmi negli ultimi mesi, e tu lo sai, ma nessuno ci è riuscito. Te lo ripeto, non ho nulla da temere dalle indagini. Stai tranquillo, vecchio mio. In ogni caso vorrei che tu mi tenessi lo stesso informato degli sviluppi.»

«Come sempre.»

Una volta riattaccato Spence si diresse alla finestra e la aprì del tutto lasciando che il vento fresco lo rinfrancasse un po'.

Non condivideva per nulla la calma di Alexander, ma aveva le mani legate. L'idea che quell'uomo avesse in mente un piano ben preciso continuava a ronzargli per la testa, ma se avesse ottenuto il mandato allora non avrebbe potuto impedire in alcun modo che portasse avanti le sue indagini.

Cosa sperasse di ottenere non lo sapeva proprio, ma la cosa gli metteva addosso una sinistra inquietudine.

Cosa fare, dunque?

Rimase un attimo in attesa osservando i giardini intorno alla residenza, poi chiuse la finestra con un gesto di stizza. Tornò alla scrivania a diede uno sguardo nervoso all'orologio.

I dieci minuti erano quasi trascorsi e ancora non c'erano notizie. Forse era davvero tutto un bluff.

Si mise a sedere giocherellando con una penna, assorto nelle sue cupe riflessioni. Era ancora così quando il telefono della scrivania prese a suonare.

Trasalendo, rispose.

Cinque minuti più tardi, livido in volto e con le mani strette a pugno in una morsa di rabbia, riattaccò.

Pinkerton non aveva dunque mentito.

Un attimo dopo il fax emise un leggero ronzio stampando il mandato per la consultazione delle registrazioni.

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