CAPITOLO 15 - WASHINGTON

Washington DC

Casa Bianca

15

Il Presidente degli Stati Uniti, Daniel D. Dallas, non si era mai considerato una persona incline agli scatti d'ira, eppure, mentre leggeva la proposta di legge di Alexander Hamilton Lee, sentiva ribollire una tale rabbia che, se avesse avuto di fronte il Senatore, non avrebbe esitato un istante a prenderlo a pugni.

Scosse la testa disgustato.

Cosa stava succedendo in seno al suo governo? Come si poteva pensare di mettere in atto una nuova secessione?

Si alzò allontanandosi dalla scrivania Resolute. Per la prima volta da quando aveva assunto la carica di Presidente, era seriamente preoccupato.

La situazione politica ed economica in cui versavano gli Stati Uniti da qualche anno a questa parte non era delle migliori. La recessione stava attanagliando il Paese come una morsa letale, il tasso di disoccupazione non era mai stato così alto e i commerci con l'estero erano messi a dura prova dall'avanzare incessante dell'economia cinese.

Il malcontento serpeggiava fra le strade come un subdolo nemico pronto a colpire e sempre più disordini si registravano nelle grandi città. La gente era al limite e sarebbe bastato molto poco per far esplodere la polveriera.

Quella dannata legge poteva davvero rappresentare la miccia che avrebbe innescato un incendio di proporzioni inimmaginabili.

E la cosa peggiore era che le argomentazioni poste dal Senatore a sostegno della sua tesi non solo erano state perfettamente formulate, ma erano anche credibili e soprattutto legislativamente attendibili.

Strinse i pugni.

Il principio cardine dell'Unione originaria dava a ogni Stato la facoltà di decidere del proprio futuro economico, ma non solo. Quando i propri diritti venivano lesi o minacciati, essi potevano scegliere di recedere dal contratto di natura privatistica quale si configurava la confederazione degli stati autonomi.

Pazzesco! Eppure, vero.

Una simile interpretazione della legge era assai pericolosa e lui lo sapeva bene. Anche gli Americani avrebbero dovuto conoscerne i rischi, eppure tutto a un tratto ogni cosa pareva dimenticata. L'ultima volta che qualcuno aveva rispolverato quel concetto ne erano seguiti quattro anni di sanguinosa guerra civile.

Come era possibile che non importasse più a nessuno?

Il Senatore era stato molto astuto.

Aveva fatto leva sul crescente sentimento di insoddisfazione della maggior parte della popolazione per ottenere voti. Aveva condito i suoi discorsi di frasi patriottiche, di eroismo, di un ritorno ai valori autentici di un tempo per convincere la folla e quelli più refrattari, dosando con sapienza una serie di numeri e dati relativi a una non meglio precisata idea di supremazia tecnologica ed energetica degli Stati del Sud.

E il risultato era stato che ci avevano creduto quasi tutti.

Tornò alla scrivania fissando con rabbia i fogli sparsi sopra.

Non importava quello che sarebbe accaduto, lui si sarebbe opposto con qualsiasi mezzo alla promulgazione di una simile legge e avrebbe usato tutti i possibili espedienti politici per rallentare la richiesta del Senatore.

Si rimise a sedere, leggermente più tranquillizzato dalla sua risolutezza.

Adesso non era il momento di lasciarsi andare ai turpi pensieri, era invece il momento di mettersi al lavoro.

La proposta di Lee era stata accettata in identico testo dalla maggioranza del Congresso, per cui lui si trovava, ora, nella spiacevole situazione di disporre solo di dieci giorni per pronunciarsi in un senso o nell'altro.

E dato che non avrebbe mai concesso la sua approvazione, l'unica alternativa che gli restava era quella di respingere la proposta rimandandola alla Camera e al Senato per una seconda votazione.

Era l'unica via.

Gli serviva tempo.

Doveva raccogliere informazioni, elementi, prove, qualsiasi cosa servisse a screditare Lee sul piano politico.

Ci aveva riflettuto a lungo nei giorni scorsi, prima ancora di ricevere la bozza del Senatore, e aveva capito che quella era l'unica soluzione per porre fine a questa incresciosa faccenda eliminando il problema alla radice.

E si era anche attivato in tal senso.

Se infatti il Congresso avesse votato nuovamente la proposta a maggioranza dei due terzi, allora avrebbe avuto le mani legate e sarebbe stato costretto a promulgarla facendola diventare legge.

Doveva evitare una simile eventualità, e per farlo aveva necessità di un piano B.

Diede uno sguardo all'orologio.

Erano quasi le cinque del pomeriggio. Aveva ancora un discreto margine prima dell'arrivo di Jonathan Pinkerton.

Accese quindi il computer, inforcò gli occhiali e iniziò a buttare giù le motivazioni del rigetto.

***

«È tutto chiaro?» disse il Presidente fissando l'uomo negli occhi.

Aveva trascorso gli ultimi quindici minuti a fare un riassunto completo della situazione.

Jonathan annuì.

«Come avrà capito, si tratta di una faccenda estremamente delicata» riprese Daniel poggiando le mani sulla scrivania «e pertanto deve essere gestita con la massima discrezione. Posso contare su di lei?»

«Assolutamente. Se ciò che cerca sono le prove per incastrare il Senatore Lee» proseguì Pinkerton accavallando le gambe «stia pur certo che io le troverò.»

«Non ho mai nutrito dubbi sull'affidabilità dell'Agenzia. Conoscevo suo padre e sono sempre stato ammirato dalla sua tenacia e dal suo senso dell'onore. A quanto pare, deve aver trasmesso gli stessi valori anche al figlio» si alzò in piedi. Fece qualche passo intorno alla scrivania, poi tornò a fissare l'uomo che aveva di fronte. Aveva il volto contratto dalla tensione. «E' dalla fine della guerra che il nostro Paese combatte contro il sentimento di secessione. Tutti noi sappiamo benissimo che per molti è ancora vivo, ma io sono sempre stato convinto che la minaccia di un conflitto fosse stato un incentivo più che sufficiente per tenere a freno uomini come Lee. Evidentemente mi sono sbagliato.»

«La storia tende a ripetersi, purtroppo.»

«Già, e noi non impariamo mai dagli errori del passato» commentò Daniel scuotendo la testa. Tornò a sedersi. «Nel 1861» riprese «la sua Agenzia divenne famosa per aver scoperto e sventato il complotto ordito ai danni di Abramo Lincoln» la sua voce era quasi un sussurro. «Mi auguro, Pinkerton, che oggi possa fare altrettanto.»

Jonathan annuì.

«Dovrò farle firmare un documento di riservatezza» spiegò Daniel più rilassato «ma non è ancora pronto. Tuttavia, per questa volta, vorrei che iniziasse il prima possibile. Subito, magari. Il tempo è tiranno.»

Per tutta risposta l'uomo si passò una mano sui capelli neri pettinati su una parte e sorrise. «Ha già un dossier su Lee?» domandò. «Sa, faciliterebbe molto le cose, per il momento.»

Daniel afferrò al volo. «Glielo farò avere quanto prima, completo di tutto.»

«Molto bene» Jonathan fece per alzarsi, ma il Presidente lo bloccò con un cenno della mano.

«Un'ultima cosa, Pinkerton. Non una parola su questa storia fuori dalla Casa Bianca. Con nessuno. Riferisca solo ed esclusivamente a me per qualsiasi cosa.»

Aprì un cassetto della scrivana e ne tirò fuori un cellulare. Glielo porse. «Usi questo per le comunicazioni. Non è rintracciabile.» Poi gli dette un bigliettino. «Questo numero invece» lo indicò «è privato e temporaneo. Lo memorizzi e poi bruci il foglio. Da ora in avanti mi chiami solo lì.»

Jonathan annuì. «Mi farò vivo il prima possibile signor Presidente» si alzò e si diresse lentamente verso la porta.

«Le mie guardie la scorteranno fuori» fece Daniel poggiando la schiena alla poltrona. «Buona fortuna, Pinkerton.»

Rimasto solo si alzò e si portò a ridosso di un piccolo mobile bar in magano. Ne estrasse una bottiglia di whiskey e se ne versò un po' in un bicchiere. Ne aveva bisogno per calmare i nervi scossi.

Fuori era calata la sera e un silenzio opprimente gravava sullo studio ovale,

Si avvicinò alla finestra e osservò fuori, in silenzio, la mente avvolta da un turbinio di pensieri.

Era la prima volta che incontrava di persona Jonathan Pinkerton, ma, proprio come aveva immaginato leggendo il suo dossier, gli era sembrato la persona giusta.

Era vero che aveva conosciuto suo padre, ma la scelta di rivolgersi all'Agenzia piuttosto che alla CIA o all'FBI, era stata dettata non dalla amicizia con Aaron Pinkerton, quanto dalla necessità di mantenere il più totale riserbo sulla faccenda.

Per l'occasione aveva bisogno di qualcuno che potesse lavorare nell'ombra, senza destare sospetti negli interessati, cosa che invece sarebbe potuto accadere se avesse fatto partire un'inchiesta ufficiale.

La Pinkerton Detective Agency, che attualmente operava come divisione di una compagnia di sicurezza svedese, era perciò proprio quello che gli serviva.

Finito di bere, si voltò, poggiò il bicchiere sulla scrivania e si avvicinò alla libreria bianca posta accanto al quadro raffigurante Lincoln. Ne tirò fuori, maneggiandolo con molta cura, un vecchio libro dalla copertina decisamente consunta.

Si trattava dell'originale delle Recollections of President Lincoln and his Administration, un volume scritto nel 1891 da Lucius E. Chittenden, politico, avvocato e banchiere del Vermont.

Daniel lo aveva letto più volte in passato e lo aveva sempre trovato illuminante.

Parlava della vita di Abramo Lincoln e di molti fatti storici che lo avevano riguardato, studiati nei minimi dettagli, ma osservati da una prospettiva diversa dal solito, con molte domande che l'autore si poneva e a cui cercava di dare una risposta.

Una di queste faceva riferimento al cosiddetto Complotto di Baltimora, un presunto tentativo messo in atto nel 1861 per assassinare lo stesso Lincoln.

La storia era alquanto interessante.

La guerra di secessione era appena iniziata, Nordisti e Sudisti erano ai ferri corti, e in molti desideravano la morte del Presidente dell'Unione a causa delle sue idee contrarie alla Confederazione e alla libertà di scelta. Per non parlare dell'abolizione della schiavitù tramite il proclama di emancipazione. Le voci di un tentativo di assassinio erano corse rapide serpeggiando fra le fila degli oppositori e pareva che l'occasione migliore per metterlo in atto fosse proprio il viaggio inaugurale verso Washington dove si sarebbe tenuta la cerimonia d'insediamento.

Un tragitto con molte tappe, un'occasione unica per i rivoltosi.

Baltimora era stata la scelta definitiva, una città dove le sommosse antirepubblicane erano assai frequenti e i focolai di ribellione così accesi da offuscare ogni altro tentativo di assassinio.

La sicurezza di Lincoln invece era stata affidata a una piccola agenzia investigativa fondata nel 1850 dallo scozzese Allan Pinkerton, durante la presidenza di Zachary Taylor. Quali ne fossero state le ragioni rimaneva ancora oggi un mistero.

Alla fine, comunque la Pinkerton Agency era stata l'unica che si era accollata il difficile compito di vegliare sull'incolumità di Lincoln e lo aveva portato a termine talmente bene che il Presidente era arrivato sano e salvo a Washington.

Contro ogni previsione.

Daniel aprì il libro e rilesse con attenzione tutti i capitoli in cui si descrivevano le idee che avevano portato al complotto e soprattutto quelli in cui si evidenziava il ruolo chiave degli agenti della Pinkerton.

Dopo venti minuti, si sentì molto più rilassato.

Aveva fatto la scelta giusta, ne era più che sicuro.

Noi non dormiamo mai.

Sorrise ripensando al motto dell'Agenzia, stampato a chiare lettere sotto il loro logo.

Decisamente appropriato.

Con un sospiro chiuse il libro e lo rimise a posto.

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