CAPITOLO 10 - NEW ORLEANS
New Orleans
10
«Ruba un chiodo e sarai impiccato come malfattore. Ruba un regno e sarai Duca.»
Alexander non poteva essere più d'accordo con Chuang Tzu, il filosofo cinese vissuto nel 300 avanti Cristo cui era attribuita quell'antica massima. E ne era talmente convinto da averla fatta persino incidere su una targa in ottone che teneva appoggiata sopra la scrivania di mogano, nello studio della sua villa.
Situata nel suggestivo Garden District, un elegante e signorile quartiere di New Orleans, l'edificio storico apparteneva alla sua famiglia da diverse generazioni. Era il suo rifugio, il luogo dove poteva riorganizzare le proprie idee lontano dalle aule del Congresso, quello in cui aveva trascorso gli ultimi venticinque anni della sua vita con la moglie e i figli.
Si versò un bicchiere di brandy invecchiato cent'anni proveniente dalla sua riserva personale e lo portò all'altezza del volto rimanendo a fissarlo per qualche istante senza berne una goccia, assorto nei propri pensieri. Alla fine, lo poggiò sul tavolo e afferrò il cellulare intenzionato a chiamare Russell, ma all'ultimo si trattenne. Se il suo uomo ancora non si era fatto sentire era molto probabile che non avesse novità da riferirgli e lui non voleva sembrare troppo impaziente.
Riprese quindi il bicchiere e stavolta scolò tutto d'un fiato il liquore, assaporando la benefica sensazione di bruciore allo stomaco subito seguita da quel leggero intorpidimento che serviva a rilassarlo. Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Per il momento non poteva fare molto altro. Le pedine erano già state tutte posizionate sulla scacchiera, adesso si trattava solo di dare inizio alla partita finale.
Si alzò e si diresse verso l'ingresso dello studio. Sua moglie si sarebbe svegliata tra non molto e come ogni mattina sarebbe andata al lavoro nello studio legale della città, mentre i suoi figli, ormai ventenni, avrebbero gestito gli studi universitari in totale autonomia. Tempo mezz'ora e avrebbe avuto l'intera villa tutta per sé, almeno fino al primo pomeriggio quando aveva in programma l'ultimo comizio alla Louisiana State University. Doveva quindi sfruttare la meglio quella situazione e c'era un unico modo per farlo.
Chiuse la porta e tornò alla scrivania. Accese il computer e inforcò gli occhiali, pronto a buttare giù la versione definitiva della prima bozza della proposta di legge che nei prossimi giorni avrebbe presentato al Congresso.
Non sarebbe stato un compito facile e anche se si sentiva confidente non poteva comunque rischiare di prenderla sottogamba. Il processo di approvazione di una proposta era un iter alquanto complesso e insidioso e se le due camere avessero notato, già in prima istanza, qualche dubbio o perplessità sul contenuto, avrebbero ritardato la loro decisione, servendo su un piatto d'argento l'opportunità al Presidente di bloccarne l'avanzata tramite una motivazione privata. E questa era l'ultima cosa che lui desiderava.
Quell'uomo era sempre stato manifestatamente contrario alle sue idee e se avesse avuto anche la ben che minima possibilità di rimandare indietro una sua proposta costringendola a passare attraverso le forche caudine dei due terzi della maggioranza, non se la sarebbe di certo lasciata scappare.
Stirandosi il collo, aprì il documento che aveva appena abbozzato, ma proprio in quel momento la vibrazione del cellulare lo distolse dall'intento di scrivere.
Lo afferrò e rispose usando la solita linea sicura.
«Finalmente. Novità?»
«No. Non sono riuscito a trovare il disco da nessuna parte. Ho controllato in ogni angolo della cabina. Nulla. Ero sicuro che lo avesse lei, ma evidentemente mi sono sbagliato.»
«Non mi interessano le tue scuse, Russel. Ho bisogno di quell'oggetto e tu sai bene perché. Devi trovarlo, anche a costo di rovistare in ogni pertugio della nave.»
«Ho paura che nutra dei sospetti, Alexander» rispose invece lui riferendosi a Bianca. «Sono riuscito a sviare la sua attenzione su di me con un piccolo espediente, ma non credo che reggerà a lungo.»
«Non posso coprirti oltre con il comandante, Rus, mi sono esposto fin troppo.»
«Forse non ce ne sarà più bisogno.»
«Spiegati.»
«Stamani se ne è andata dalla nave, insieme al suo ragazzo. Adesso sono a Houston, all'aeroporto. Ti sto chiamando da lì.»
«Hai idea di dove stiano andando?»
«No, ma non me li lascerò sfuggire, stavolta. Quella ragazza potrebbe essere davvero un problema.»
«Allora te ne devi sbarazzare, Rus. Ma fallo sembrare un incidente e soprattutto non lasciare tracce dietro di te.»
«Ricevuto.»
«Hai visto se per caso hanno portato il disco?»
«No, ma sono più che certo che la loro improvvisa partenza ha in qualche modo a che fare con la questione. Potrebbero benissimo averlo nascosto nello zaino. Non appena ne avrò l'occasione verificherò, stanne certo.»
«Ascolta, ho un piccolo hangar a Houston dove tengo un elicottero e un jet. Cerca, con discrezione, di capire dove sono diretti, io intanto avvertirò il personale di preparare al decollo il Falcon 900. Tu preoccupati solo di seguirli e vedi di chiudere questa faccenda il prima possibile.»
***
Russel chiuse la comunicazione e tornò a osservare, a una decina di metri di distanza, le persone in coda alla biglietteria. Quei due erano circa a metà, ma sembrava che la fila scorresse molto lentamente. Finì di bere il caffè che aveva preso al bar poco prima e gettò via il bicchierino di carta, tenendo sempre un occhio puntato su Bianca. La sera prima aveva fatto qualche ricerca su di lei usando anche i canali privilegiati che un uomo come Alexander Lee metteva a disposizioni dei suoi dipendenti, ma quello che ne era uscito fuori non era nulla di buono. Una tipa piuttosto singolare, per così dire, stando almeno alle imprese che aveva portato a termine nell'ultimo anno. Avventuriera, giramondo, era stata anche in carcere a Siviglia per aver rubato un documento dalla biblioteca della città. Non aveva genitori, morti in un incidente aereo molti anni prima, ma solo un fratello, prete per giunta, che attualmente dirigeva la biblioteca di piazza San Marco a Firenze. Anche lui un soggetto niente male considerando tutte le volte in cui era stato citato in giudizio dal Tribunale apostolico di Roma.
Insomma, una bella coppia.
Scosse la testa domandandosi ancora una volta per quale fortuita coincidenza quella ragazza si fosse trovata invischiata in una faccenda decisamente molto più grande di lei, ma poi lasciò perdere. Ormai il danno era fatto e spettava a lui porvi rimedio. Notò che la fila adesso stava avanzando un po' più rapidamente per cui si avvicinò di qualche metro confondendosi fra la folla. Prima di lasciare la macchina parcheggiata all'aeroporto si era comunque premurato di recuperare da una piccola valigia che teneva sempre nel bagagliaio dei baffi finti, una parrucca e un paio di spessi occhiali con la montatura in tartaruga. Nessuno lo avrebbe mai riconosciuto camuffato in quel modo.
Guardò l'orologio. Neanche le nove, era ancora presto. Tornò allora a osservare la fila che pareva di nuovo bloccata, stavolta da una coppia di giovani che evidentemente doveva avere qualche problema con la validità del passaporto.
Poco male. Il fatto che Alexander possedesse un jet privato a Houston pronto a condurlo da qualunque parte rendeva senza dubbio le cose molto più semplici, quindi, poteva anche permettersi il lusso di prendersela con calma.
E poi non aveva ancora fatto colazione.
Decise perciò di fare una piccola pausa in un bar poco più avanti, prima di recarsi dalle signorine al bancone e sfoggiare tutta la sua abilità nel reperire le informazioni di volo.
A stomaco pieno rendeva decisamente di più.
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