A BORDO DELLA CSS NEPTUNE

A bordo della CSS Neptune

L'Ironcled confederata aveva appena lasciato le acque tranquille del porto quando un tremendo boato squarciò l'aria circostante.

«Date ordine di preparate i cannoni!» ordinò subito Buchanan temendo il peggio all'ufficiale in seconda che lo aveva raggiunto trafelato nella sua cabina. «E, Cooper, dite ai fuochisti che abbiamo bisogno di tutta la potenza che i motori possono sprigionare» continuò poi stringendo i pugni. «Dobbiamo abbandonare le acque della baia di Galveston prima che sia troppo tardi.»

«Subito» rispose l'ufficiale, poi si voltò e uscì dalla cabina.

L'Ammiraglio invece si avvicinò al piccolo cassetto della scrivania e ne estrasse una specie di cassaforte di ferro all'interno della quale aveva nascosto il cofanetto datogli dal Generale. Nonostante l'espresso divieto decise comunque di aprirlo, almeno per il tempo necessario a dargli un'occhiata. Era solo e nessuno lo avrebbe saputo mai. Con mani tremanti sollevò il coperchio fissando i suoi occhi sul piccolo disco bronzo composto da due cerchi concentrici sui quali erano incise le lettere dell'alfabeto. Più di una volta si era chiesto come funzionasse quello strano marchingegno, ma non ne aveva davvero idea. Lee gli aveva confessato che rappresentava la chiave del futuro della Confederazione, e lui ci credeva anche se non riusciva proprio a capire come.

Scosse la testa. Forse aprirlo era stato uno sbaglio. Richiuse subito il cofanetto e la cassaforte, invaso da una strana inquietudine, nella mente un'unica semplice domanda: come avrebbe potuto consegnarlo nelle mani di Jefferson Davis se la sua nave fosse stata affondata?

All'improvviso sentì tutto il pesante fardello di quella missione ricadere sulle sue spalle e si sentì quasi vacillare.

Le sorti della guerra dipendevano da lui e dalla sua nave, ma qualcosa, purtroppo, non stava andando per il verso giusto.

«Signore!» la voce di Johnston, entrato all'improvviso, interruppe di nuovo il flusso dei suoi pensieri. Richiuse il cassetto e si voltò verso di lui.

«Abbiamo avvistato un paio di battelli a poca distanza dalla nostra rotta» gli comunicò con voce tesa. «Quali sono gli ordini?»

Buchanan rifletté per un istante. «Siete riusciti a capire se si tratta di navi confederate?»

«No. Il fumo e la foschia sono troppi fitti e non si riesce a distinguere molto.»

«Allora non fate niente» ordinò. «Non sparate, per nessun motivo. Per adesso limitiamoci a proseguire e speriamo che nessun cannone colpisca la Neptune.»

«Ma, signore» replicò Johnston trattenendo a stento la rabbia. «Là fuori potrebbero esserci dei nostri fratelli che hanno bisogno d'aiuto.

Non possiamo fare finta di nulla.»

Buchanan strinse i denti. Il suo ufficiale aveva ragione, ma gli ordini erano ordini e lui non avrebbe messo a rischio la missione, per nessun motivo.

«Faccia come le ho detto, Johnston» replicò con voce ferma. «Non attaccheremo, a meno che non sia strettamente necessario. È tutto.»

«Sì, Signore.»

In quel momento, quasi la corazzata avesse intuito i suoi pensieri, la Neptune aggredì l'acqua del mare spingendosi in avanti come un cavallo di razza spinta al massimo dei suoi sei nodi.

«Perdonatemi» mormorò allora l'ammiraglio a bassa voce una volta rimasto solo rivolgendosi ai suoi fratelli. «Perdonatemi tutti.»

Aveva il cuore gonfio di tristezza.

Un boato.

Dall'interno del mostro di ferro udì distintamente un rumore sordo e cupo come di fasciame spezzato, seguito subito dopo dal crepitare continuo di spari e dal fracasso assordante e inconfondibile dei cannoni Dahlgren da otto pollici.

«Mio Dio!» esclamò, ma non ebbe nemmeno il tempo di mettere a fuoco la realtà che un altro enorme scoppio seguito da un lampo rosso sangue lo fece cadere a terra. L'Ironcled venne squassata da una potente onda d'urto mentre il mare si gonfiava sotto lo scafo.

Si rialzò subito, stordito, aggrappandosi al bordo del letto, poi uscì dalla cabina correndo verso la zona degli addetti agli armamenti.

«Ritirate i cannoni!» urlò cercando di sovrastare il rumore assordante sopra di lui. «Chiudete i boccaporti, subito!»

Lo fecero, ma l'acqua era già penetrata all'interno dello scafo che nel frattempo si era inclinato verso destra.

«Date potenza alle caldaie!» urlò ancora agli ufficiali. «Raddrizzate la nave! Presto!»

Per diversi minuti temette il peggio, con la corazzata che oscillava paurosamente sulle onde, sballottata dalle acque agitate del mare, poi però la forza dei motori a vapore ebbe la meglio e piano piano il peso dello scafo riuscì a stabilizzare la Neptune.

«Avanti tutta!» gridò allora stringendo i pugni. «Raggiungiamo il Ford Point!»

***

Il contrammiraglio David Farragut, al comando del battello a vapore unionista USS Clifton, stava scrutando, per quanto gli era possibile, l'orizzonte davanti a sé. Aveva ricevuto l'ordine di non seguire le altre navi in battaglia, ma di rimanere invece nello stretto di mare tra Fort Point e Pelican Split nell'eventualità che qualche nave nemica fosse riuscita a fuggire durante la battaglia, ma per adesso non aveva avvistato neanche un fumaiolo.

Stava quindi per tornare in cabina quando un rumore sordo unito a un leggero aumento del rollio del battello lo mise in allerta.

Si voltò di nuovo verso il nero del mare, stringendo il corrimano di legno con il cuore accelerato. Qualcosa stava per accadere, ma il grigio della nebbia continuava a sfumare ogni cosa.

Poi, a un tratto, la vide.

Come se fosse spuntata dal nulla, l'enorme punta di un rostro di ghisa gli apparve davanti, sinistra e minacciosa, a meno di dieci metri di distanza

E puntava dritta nella sua direzione.

***

L'ammiraglio Buchanan si avvide del battello nordista quando ormai il rostro della sua corazzata era in rotta di collisione con la nave nemica.

Non ebbe quindi scelta e ordinò di fare fuoco.

Il cannone da sette pollici Brooke sparò un proiettile da quindici chilogrammi sulla prua del battello a vapore, centrando la base del fumaiolo e facendolo precipitare verso poppa. Schegge di ferro arroventato investirono lo scafo, mentre il fuoco iniziò a divampare tutto intorno alla ruota del battello. L'urto del pesante fumaiolo fece perdere stabilità alla nave che iniziò a ondeggiare inclinandosi pericolosamente verso destra.

«Avanti tutta!» gridò allora Buchanan nella speranza di riuscire a passare indenne da quelle forche caudine.

Ma la sua speranza s'infranse quando la nave nemica rispose al fuoco. Un colpo assordante sulla fiancata sinistra lo fece vacillare nel momento in cui la palla di cannone penetrava, attraverso l'unico boccaporto rimasto aperto, all'interno della nave. Qui esplose in mille pezzi fracassando l'artiglieria, uccidendo i due addetti alle armi e provocando un enorme incendio.

L'Ironcled sbandò sotto quel tremendo colpo e finì la sua corsa contro la fiancata della Clifton sul lato di prua. Il battello nemico assorbì l'impatto ruotando sotto l'impeto del mostro di acciaio, ma lo scafo, in seguito all'urto del rostro di ghisa, si spezzò inclinandosi in avanti e avvinghiò la Neptune in un abbraccio mortale.

Buchanan non riusciva a capacitarsi.

Quando ormai stava per lasciarsi alle spalle, indenne, la battaglia nelle acque del porto, era incappato in un battello nordista che con una sola cannonata era riuscito a bloccare l'avanzata della sua Ironcled.

Dette comunque ordine di aumentare la potenza dei motori e di invertirne la rotta, ma fu tutto inutile.

Devastata dal fuoco, la Neptune non riuscì a disincagliarsi, e quando la Clifton si rovesciò sul fianco, anche lei venne trascinata sott'acqua e piano piano fu inghiottita dal mare.


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