Tre azioni, tre battiti di ali

Tum. Tum. Tum. Il rumore dei proiettili era secco. Secco, sì, ma allo stesso tempo potente come un boato che mi scendeva nello stomaco e mi faceva rabbrividire fin nelle ossa. Era un macigno che mi sprofondava nel petto fino a scavarmi dentro una fossa, una fossa dentro la quale mi sarei seppellita volentieri. Non importava come. Non importa se sarei marcita dentro. L'importante era sparire.

Tum. Tum. Tum. Non c'era nessun proiettile, in realtà: solo quell'odioso suono dei miei battiti. Tum. Tum. Tum.

Mi voltai nel letto, trascinando le coperte. Sussultavo, mi agitavo, mi spostavo da una parte all'altra e stropicciavo le lenzuola, ma l'unica cosa a essere stropicciata ero io: la ero dentro, la ero dentro dove nessuno vedeva prima di entrare a far parte della mia vita e di rovinare per sempre la sua. Forse Burald non sapeva che le mie pieghe avrebbero fatto male anche a lui. Forse non lo sapeva, ma alla fine avrei rovinato le parole che aveva ancora da scrivere, proprio come era successo con Diamond.

Affondai il viso nel cuscino: il sudore si mischiò alle lacrime e si riversò sulla federa. Era umidiccia. Ma c'era qualcosa che mi muoveva, qualcosa a cui ero legata come un burattino, qualcosa che mi spostava a comando nel buio della notte. - È sempre stata tutta colpa mia, è stata tutta colpa mia!

Nella stanza risuonava il rumore dei colpi che tiravo al materasso. Mi girai su un fianco e l'incubo diventò un'inondazione che mi fece affogare dentro me stessa come un naufrago che cerca uno scoglio a cui aggrapparsi ma alla fine agita le braccia a vuoto.

Avanzavo tra le nuvole di fumo, facendomi largo con ampie bracciate, ma trovavo solo quelle maledette fiamme viola e le loro espressioni arcigne. Ovunque. - Burald, dove sei? Sono venuta a parlarti!

I miei piedi si attaccavano al suolo come se avessero avuto dei chiodi sotto le scarpe. La mia pelle era appiccicosa di sudore. - Burald, io... - Sospirai. - Vieni fuori, per favore. Devo dirti una cosa: è importante.

Ma c'erano solo fiamme sghignazzanti e fumo. Fumo e fiamme. Ovunque. Senza eccezioni. - Burald, non sto scherzando! Per favore...

Abbassai lo sguardo sulla rosa che stringevo tra le dita. Era per Diamond. Aprii la porta di una cappella. Caddi all'interno, sbalzata in avanti da una sorta di forza esterna che non riuscivo a controllare, e le mie ginocchia sbatterono sulle piastrelle di granito. La mia pelle si sbucciò: trattenni un gemito e strinsi più forte le dita attorno al fiore.

Sussultai. Sul gambo erano apparse tante spine affilate. Ora dalla mano mi colavano gocce di sangue che atterrarono sul pavimento e infransero la sua tinta chiara, mentre anche la rosa precipitava a terra e spargeva macchie rosse sulle mattonelle. Sembravano segni di sorretto, sagome di labbra contorte in smorfie di dolore, sagome di labbra che a un tratto iniziarono a emettere grida simili a uno stridio di artigli su un dannato specchio.

-Burald, non sei nemmeno qui?

Singhiozzai. L'ammasso di fumo che mi appannava la vista si diradò all'improvviso e scoprì la piccola foto di Diamond sulla parete. La accarezzai con i polpastrelli, ma ora dal suo viso angelico scendevano gocce di sangue. Anche la sua pelle grondava di un liquido rosso, denso, e questa era solo colpa mia, ma... Il suo faccino era già deformato dalle ferite e dalle ustioni.

-No, no, è tutta colpa mia! È tutta colpa mia! Perdonami, per favore, perdonami.

Ma anche lui iniziò a gridare. La sua vocina acuta si mescolò a quelle che già risuonavano nella cappella. C'era solo un insieme di grida che mi bruciavano sulla pelle come se fossi stata io a essere piena di ustioni, come se il fuoco viola avesse iniziato a divorare anche il mio corpo proprio come aveva fatto con quello di Diamond. E quel frastuono mi stringeva le tempie come una tenaglia, come se mi schiacciasse le vene fino a farle scoppiare. Mi tappai le orecchie con le mani. - No, no, no, per favore! Smettetela, smettetela subito!

E Diamond, Diamond... Il Dio dei cimiteriali lo stava ancora torturando? Era così che era morto? Bruciato? Incenerito?

-Lascialo stare, lascialo stare! Maledetto, maledetto... - urlai. - Se devi punire qualcuno, quella sono io. Punisci me, ti scongiuro!

Mentre attraversava il marmo bianco, la tinta del mio sangue appassiva come un sorriso spezzato da un'espressione di dolore. Poi il liquido indugiò sulle insenature di un'incisione, riempiendo i solchi e facendoli brillare di un rosso intenso. Riportava una sola parola, ma parlava chiaro. Fin troppo. Il fiato mi si strozzò in gola. Mi abbandonai a un pianto disperato. - Lascia stare Diamond, per favore... Ti supplico! Farò come hai detto. Farò qualsiasi, davvero qualsiasi cosa, ma ti prego...

Mi chinai sul terreno fino a prostrarmi di fronte a quel Dio crudele. Era lì, era lì davanti a me: me lo sentivo. Feci per allungare la mano e toccare la scritta, ma le mie braccia si erano trasformate in ali, nere come il peccato. -Sono diventata uno di quei corvi! Sono la colpevolezza, la crudeltà e la vendetta. Un conato di vomito mi salì dallo stomaco. Che schifo. Ero davvero uno schifo.

-Me lo merito! - Mi nascosi la testa e il becco tra le piume. - Devo sprofondare nella vergogna.

Mi svegliai di soprassalto e mi misi a sedere sul letto. Ero tutta sudata e respiravo a fatica. "Non sono uscita dall'incubo: ci sono appena entrata."

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