Solo contro te stesso
Cominciai a salire la scala. Ero sul secondo gradino, mentre il cimiteriale aveva ancora entrambi i piedi piantati nel regno sotterraneo. La porta era spalancata: dall'alto arrivava un fascio di luce che mi baciava la fronte e iniziava ad accogliermi nel mondo esterno. Chiusi gli occhi per un istante e mi lasciai accarezzare da quel calore piacevole. Feci un respiro profondo. Li riaprii.
Vicino all'uscita comparve un'ombra: riproduceva una figura con il braccio allungato verso la maniglia, la mano tesa e tremante. La sagoma nera proiettata sul pavimento oscillava come un foglio di carta sottile e imitava il contorno di un ciuffo di capelli ricci. -Graveyard?
La porta sbatté. Dall'esterno provenivano dei rumori metallici, che si interruppero poco dopo. Stava sigillando l'uscita? Rimasi immobile di fronte alla sua facciata di ferro. Sobbalzai all'indietro. Mi voltai verso Burald: i suoi occhi erano fissi, le labbra tese, i denti stretti.
-Graveyard! - Molte ciocche di capelli mi caddero in faccia, ma io le scostai e continuai ad agitare la testa. -Graveyard... È stato lui: ci ha chiusi dentro!
Sbarrò gli occhi: le pupille si dilatarono talmente tanto che per un istante sembrò che mi balzassero addosso. -Graveyard? Cosa gli è saltato in mente?
Burald passò tra me e il muro e salì in fretta le scale. Appena fu di fronte all'ingresso iniziò a picchiarlo con forza e a far dondolare la porta, che però non cedeva.
Mi guardai intorno: ombre informi spuntavano da ogni angolo, le espressioni dei teschi diventavano sempre più assenti, e le loro orbite vuote erano nere, contenevano un buio tanto intenso da risucchiare anche lo spazio esterno. I mucchi di ossa parvero oscillare, come le corde di una chitarra quando stanno per strapparsi, e minacciarono di cadermi addosso. I brividi disegnarono vortici sulla mia pelle e iniziai a sudare. Caldo. Freddo. Caldo. Freddo. Mi venne una vertigine. Allungai le braccia in cerca di un sostegno, tuttavia i crani, i femori e gli altri resti aprirono un buco nero nel mio stomaco e presto anche nel mio petto. Ero vuota, e più ero vuota più ero smarrita: iniziai a barcollare. Adesso che ero costretta a rimanere chiusa in questo luogo, il suo silenzio era diventato più inospitale che mai.
"Non devo avere paura: loro due sono qui, insieme, uniti, per me. E io sono forte, sono forte... Ho affrontato tanti problemi fino adesso, ho fatto molta strada e sono quasi arrivata a stare bene, perciò... Posso ancora farcela."
-Maledetta entrata! - gridò Burald. Sbatté i palmi sulla porta.
-Ehi, calmati... Non risolverai nulla così.
Si allontanò di qualche passo, sospirò, negò con la testa, ma niente riuscì a calmare il fuoco che gli infuriava dentro. - Non è possibile, noi... non possiamo rimanere intrappolati qui! È quasi sera: nessun visitatore verrà a esplorare l'ossario di notte. Nessuno si accorgerà di noi.
La sua voce perdeva fermezza ogni secondo. Camminava avanti e indietro. I suoi passi sollevavano la sabbia del pavimento. Si toccò il ciuffo.
Osservarlo peggiorava i miei giramenti di testa, allora guardai altrove e feci un respiro profondo. Strinsi entrambe le braccia contro il cuore e ascoltai il mio battito, che non era silenzioso, non era immobile come tutti quei resti, e faceva defluire nel mio petto sangue e calore. Prestai attenzione anche al mio respiro affannato e, piano piano, lo regolarizzai. Era incredibile come riuscissi a trovare nella mia semplice umanità un conforto così grande: forse avevo solo un bisogno disperato di trovare la forza. Dovevo controllarmi, dovevo prendere io il controllo ora che Burald stava perdendo la sua risolutezza.
I suoi occhi si fissarono sul bersaglio: le pupille s'immobilizzarono, come cannoni che prendevano la mira, e nelle iridi screziate irruppe un argento affilato come una lama. I muscoli delle braccia si contrassero. Anche le vene verdastre divennero spesse e resero percepibili le pulsazioni accelerate, le sue inspiegabili pulsazioni accelerate.
Si scagliò contro la porta e la riempì di pugni: partì con una scarica decisa e dopo i colpi rallentarono. L'uscita oscillava, soffriva, ogni tanto si piegava a tal punto da lasciar entrare un raggio di sole dalle fessure, ma non mollava e alla fine tornava sempre l'oscurità. Nel tunnel risuonavano i rumori delle botte, amplificati dall'ambiente, le lamentele cigolanti della porta e i gemiti di Burald. Mi scavavano fosse nel costato, che mi bruciava come se l'acido dello stomaco gli si fosse rovesciato sopra.
"Più rabbia metterà nei colpi che tira, più si farà male!"
Il sangue gli scendeva lungo le mani, lucido come vernice. Mi strinsi i capelli fino ad avere la cute dolorante. -Basta! Per favore!
Lo abbracciai da dietro, cingendogli la schiena con le braccia e respirando il suo profumo. Si fermò e, prima di realizzare che erano reali, toccò le lacrime che gli scorrevano sulle guance fino a inumidire le sue dita e annacquare il sangue con il pianto. Le sue mani tremavano così tanto che non riuscì a tenerle ferme neanche aggrappandosi alla stoffa dei pantaloni.
-Io... - Il suo respiro era affannato. - Scusa.
- Cosa ti ha preso?
Gli afferrai le mani, le aprii dai palmi e studiai meglio il dorso: erano inzuppate di un liquido rosso come l'inferno e avevano le nocche sbucciate. Vicino alla pelle spezzata il sangue rappreso era più scuro.
-Niente, solo... - La sua voce si abbassò fino a diventare un mormorio. - Un attacco di rabbia.
-Non solo.
Ci sedemmo per terra con la schiena appoggiata al muro di ossa e gli occhi puntati in quelli dell'altro: i suoi erano infiammati da mille diramazioni rosse, ma perlomeno nelle iridi il coltello d'argento era sparito. Forse era stato scagliato contro la porta, o forse si era sciolto e si era mescolato alle lacrime.
-Beh... e di delusione.
-E?
- E di... Non lo so, Cassie. - Sospirò. - Non fare la psicologa, per favore.
Utilizzai la giacca per fasciargli le ferite e, nel momento in cui le avvolsi con la stoffa, diventò nera. -Io volevo solo capirti. - mormorai. - E poi mi avevi fatto una promessa...
- Forse non c'è niente di difficile da capire: perfino il mio migliore amico ora si è messo a farmi dispetti, - Strinse i pugni e danneggiò il mio lavoro. - e io non sto facendo il mio dovere. Invece di proteggerti e rendere la tua vita più serena, la sto complicando.
Gli occhi erano così trasparenti che mi sembrava di affondare dentro di lui. -Se non mi piacessero le difficoltà non starei con te.
Gli scompigliai il ciuffo platinato. Burald si stava dimostrando umano, e non era ciò che desideravo? In realtà mi importava solo che riuscisse a costruire con me un rapporto di scambio, di amore alla pari, e non quello professionale di un cimiteriale: io volevo finire nel suo cuore, non in un maledetto curriculum.
Burald non era il ritratto della perfezione che tutti immaginavano, ma aveva una perfezione tutta sua, così come io la immaginavo: ce l'aveva nel controllo che manteneva in modo rigido, ma solo quando gli sfuggiva, nello stato spettrale, in quel sorriso che adesso si aprì per me. Sollevò le labbra con evidente sforzo, ma il suo viso si illuminò comunque. -Mi dispiace, davvero.
-No, ti prego. - Agitai la testa. - Non sentirti in colpa.
Tornammo a rifugiarci nei nostri silenzi. "Grazie Diamond, grazie di avermelo mandato, grazie di non avermi tenuta tutta per te."
Strinsi ancora un po' la stoffa attorno alle sue mani. Lui s'irrigidì. - Fa male?
-Solo un po'.
Regnava la semioscurità: quel poco di luce rimasto si era raggruppato attorno ai suoi capelli, che facevano da torcia e schiarivano solo un piccolo tratto della parete di fronte a noi.
C'era un cranio marcio, incastrato tra gli altri resti nel muro, che mi squadrava senza espressione. La cosa era reciproca. Si creò una sorte di sfida: io guardavo lui e lui guardava me con una spaventosa assenza di sentimenti e pensieri, sempre, di continuo, come in una gara eterna. Chi avrebbe mollato per primo? Ma lui sapeva meglio di chiunque altro cosa volesse dire "per sempre".
-Per quanto tempo dovremo restare ancora qui?
Tremavo come una foglia: il freddo non mi dava pace e l'abbraccio di Burald mi scaldava, ma non abbastanza.
-Non lo so di preciso, ma credo proprio che non usciremo prima di domattina.
Tirai un sospiro di sollievo. - Pensavo molto peggio...
Espirò bruscamente dal naso. - Comunque non è poco.
-È così terribile sopportarmi? - Mi voltai verso di lui. - Ci riuscirai fino all'alba?
Tentò di sorridere, anche se gli erano rimasti gli occhi arrossati e sentieri secchi sulle guance. -Non è quello. Insomma, guardati, stai congelando!
Si tolse la giacca dalle mani e, anche se le sue ferite erano ancora aperte, me la posò sulle spalle. - Lo so che è tutta insanguinata. Non è il massimo, ma meglio di niente.
-Grazie.
In risposta mi baciò la testa, poi la guancia, poi le labbra, e me ne donò un altro, di bacio, più lungo ma con una naturalezza unica. La mia bocca tremava e in breve tempo si scaldò fino a scottare. Mi teneva il viso con le dita solo appoggiate alla mia pelle: la sensazione della loro presenza era sempre sul punto di svanire.
"Non tocca mai qualcosa davvero, non lascia tracce. Questo fa parte di lui." Mi impresse il contatto più elettrico della Terra. "Solo la rabbia distrugge le porte e le sue mani."
Mi accarezzò i capelli sciolti e con la sua delicatezza mi trasportò in una dimensione tra la mancanza e la leggerezza: non rimpiangevo la mia solita treccia, perché ora ero una Cassandra tutta nuova e non avevo bisogno di una stupida acconciatura per ribadire il bene che volevo a Diamond.
Burald abbozzò un sorriso. -Certo che è buffo... Si dice che, dopo la mezzanotte, i muri inizino a parlare con la voce dei morti e spingano i visitatori ad addentrarsi sempre più a fondo, fino a perdersi. Ma io le sento sempre, queste voci, quindi che differenza fa? Non mi è ancora successo niente.
-Questa leggenda non teneva conto dell'esistenza dei cimiteriali. E nemmeno io, prima di conoscerti. - Sollevai un sopracciglio. - A parte che tu sei un cimiteriale... ecco... non so come definirti, però...
-Cosa vuoi dire?
Indugiai troppo a lungo: ogni volta le parole mi sfuggivano dalle labbra come se non volessero lasciarsi acchiappare. -Burald, abbiamo un sacco di tempo, adesso puoi raccontarmi tutto. Avevi detto di dovermi dire molte cose... Potresti spiegarmi, per esempio, perché le tue vene pulsano come se il tuo cuore battesse.
-Già. - Fece un respiro profondo. -Sarà una lunga storia.
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