Presentazioni
-Vado io... - mormorò la mamma. Ma io ero già vicino alla finestra e avevo una mano sulla maniglia.
Aprii l'anta e mi sporsi dal davanzale. "Fai che non sia lui, fai che non sia lui... "
E invece no. Burald aveva lo sguardo un po' smarrito e, mentre cercava il mio, si copriva gli occhi con una mano per non finire accecato dagli aghi di pino. Infatti nel mio giardino c'era un albero che, in quella stagione, produceva sempre una pioggerellina di foglie appuntite.
-Burald? Che ci fai qua? Ci siamo visti non meno di mezz'ora fa...
-Lo so ma... Eri sconvolta, e quando sei sconvolta temo sempre che ti metta nei guai.
-Quando sarebbe stata l'ultima volta che mi sono messa nei guai? Ti sembro poco affidabile, per caso?
Si grattò un sopracciglio, come se riflettesse su un elenco interminabile di esempi. -Beh...
Ebbi un impulso di nervi e chiusi la finestra di scatto. Va bene, forse le mie reazioni erano un po' infantili, ma non avrei avuto nessuna reazione se mi avesse detto subito la verità. Lui, mia mamma... Che bugiardi. Diamond era stato l'unico a preoccuparsi di darmi un minimo di informazioni. Cosa dovevo fare con Burald? Se l'avessi lasciato fuori, avrei dovuto mentire a mia mamma e dirle che era il corriere, il postino o chiunque altro. Che male c'era nel ripagarla con la stessa moneta? Ormai però non aveva più senso nasconderlo: tanto valeva farlo entrare, presentarlo e mostrare chi mi aveva rivelato il segreto.
-Cassie, chi era?
Eccola di nuovo, a mettermi il fiato sul collo e controllarmi, per decidere cosa dirmi e cosa no, per tenermi chiusa in un piccolo mondo sicuro. Non mi lasciava i miei spazi. Mi soffocava. -Nessuno, non ha importanza.
Appoggiai la schiena al vetro. Un piccolo schianto mi fece sobbalzare: lo ignorai, ma un secondo dopo ne arrivò un altro e fui costretta a voltarmi. Dei piccoli sassolini colpivano la finestra a intervalli regolari e poi cadevano di nuovo giù.
-Cassie!
Era la voce di Burald. La mamma corrugò la fronte, come faceva sempre quando protendeva le orecchie e si concentrava.
-Cassie!
Era ancora la voce di Burald. Rimasi immobile, con i muscoli rigidi. La mamma si precipitò alla finestra e la spalancò di nuovo, sporgendosi fuori: niente da fare, si sarebbero conosciuti proprio oggi.
-Salve signora, sua figlia è ancora lì? Volevo parlarle, ma a quanto pare l'ho fatta arrabbiare.
-Oh, non preoccuparti! Oggi è stata una giornata complicata. Sono sicura che non è stata colpa tua. Vieni, ti offro un tè.
-Che piacere fare la tua conoscenza! E così tu e Cassie siete in classe insieme, eh? Non mi aveva detto di avere un nuovo compagno... Come mai, Cassie?
Mi rivolse uno sguardo truce, però subito dopo tornò a concentrarsi su di lui e sfoderò un sorriso esagerato.
- Sono arrivato da poco, signora, quindi non ne ha avuto il tempo...
La mamma lo guardò ancora e cercò di distendere la fronte, che però si corrugava di continuo: posò la tazzina di fronte a lui e si diresse verso la cucina per prendere la teiera, ma non smise di fissarlo con la coda dell'occhio. Forse aveva notato qualcosa di strano in lui: di certo chi sapeva dell'esistenza dei cimiteriali era anche in grado di riconoscerli. Lei infatti, quando lo osservava, si soffermava soprattutto sul suo sguardo e sui capelli, ma ogni tanto sbirciava anche il resto del corpo, come se cercasse qualcosa. Di sicuro non le era sfuggito il fatto che fosse vestito di nero...
Io ero ancora assorta nei miei pensieri, con la testa pesante, e me ne stavo stravaccata sulla sedia senza dire una parola: non avrebbe avuto senso rivelarle la vera identità di Burald, tanto ci avrebbe messo ben poco a scoprirla da sola.
-Ecco qua il tè! - La mamma tornò con un cabaret, la ciotolina dello zucchero e una caraffa fumante, che emanava un profumo delicato. Mi lasciai cullare dall'odore piacevole, a tratti così confortevole da alleggerire il peso della giornata.
-Quindi ti sei trasferito qui in paese, vero?
Lui annuì di nuovo e mi lanciò un'occhiata interrogativa, come per chiedermi come doveva comportarsi, ma io alzai le spalle per dirgli di fare ciò che voleva. La mamma gli versò la bibita calda e lasciò che mi servissi da sola.
-Immaginavo. Dove abiti di bello?
Sollevò un angolo della bocca e mescolò il tè con un cucchiaino. -Sotto il cimitero.
Lei non sobbalzò come mi sarei aspettata, anzi, rimase tranquilla e sfoderò un'espressione di finto stupore. Era probabile che avesse già capito tutto. -Vicino al cimitero, intendi?
-No, no, proprio sotto il cimitero.
-Intendi sotto... sotto?
-Sì, proprio sotto. - Si spettinò il ciuffo e gli sfuggì un sorrisetto. - Casa mia è un posto abbastanza caldo....
-Davvero? Come mai?
-Sa, scoppiano sempre degli incendi strani. E quando dico sempre, voglio dire proprio sempre.
La mamma fece un respiro profondo e posò la tazzina da cui stava sorseggiando la bibita, incrociò le braccia e guardò Burald dritto negli occhi. -Sono stanca di girarci intorno. Sei un cimiteriale?
Lui tornò serio, ma le sue iridi traballanti non si sottrassero all'analisi a raggi x a cui lo stava sottoponendo mia madre, e continuarono a fissarla a loro volta: gli angoli della bocca, che prima si sollevavano di continuo con ironia, ora sembravano sul punto di precipitare giù. I suoi occhi luccicavano. -Sì, signora.
Avrebbe preferito non esserlo: era evidente. Non c'era bisogno di mentirmi come aveva fatto, di fingersi fiero di appartenere alla sua specie, perché non potevo biasimarlo: il suo era un mondo crudele, che annientava anche le creaturine innocenti come Diamond. Non mi erano piaciute le bugie di Burald, non mi era piaciuto il modo in cui me l'aveva presentato come un posto perfetto. Mi aveva presa in giro e aveva voluto rendersi bello e attraente ai miei occhi, quando in realtà non aveva bisogno di nessun fronzolo e di nessuna finzione per esserlo.
- E signora, non è finita qui.
Evitò il contatto visivo, come faceva sempre. Adesso però non nascose le mani e le lasciò distese sul tavolo, anche se tremavano, anche se aveva i dorsi arrossati per averli tormentati fino a quel momento. Il suo petto si gonfiò e si svuotò di aria, poi alzò lo sguardo. Non poteva più costruire barriere, se mi voleva con sé. Non poteva più nascondersi. - Diamond mi ha ordinato di proteggere sua figlia. - Inclinò un po' la testa da un lato. - Anche lei si fiderà di me?
Mamma fece un respiro profondo e si abbandonò alla sedia, reggendosi la fronte con una mano e abbassando lo sguardo. Burald rimase dritto e immobile in attesa di una risposta. -Mi prometti che avrai cura di lei?
-Certo. - Mi lanciò un sorriso malinconico. - Può stare tranquilla.
Il mio cuore diventò liquido e mi inondò il petto con piccole onde: un calore tenue si diffuse tra le costole. Mi sarei abbandonata tra le sue braccia senza esitazione, anche se per l'ennesima volta non aveva voluto mostrarsi a me per ciò che era veramente. Credeva che non lo avrei accettato solo perché voleva ribellarsi anche lui al suo regno? Ma la sua protezione in fondo era anche quella di Diamond, e avevo bisogno ora più che mai di un contatto con lui per dirgli quanto mi dispiaceva.
Però lì vicino mia madre, che era sempre stata costretta a sopportare la perdita in silenzio per non farmi sentire ancora di più quel peso terribile, stava soffrendo quanto me. Aveva fatto tutto questo per proteggermi, e aveva sbagliato, aveva sbagliato tantissimo, ma meritava una seconda possibilità. Il tremore la invase all'improvviso, le sue palpebre si gonfiarono di nuovo di lacrime e gli occhi diventarono rossi, sempre più profondi e simili a fiumi sul punto di straripare. In fondo erano solo gli occhi di una madre che aveva fatto di tutto per i propri figli. Erano affettuosi. Erano... Meravigliosi.
-Mamma...
-Tranquilla tesoro, ora mi passa. - si ricompose e si asciugò le lacrime, ma io mi alzai e andai ad abbracciarla: avrei dovuto farlo molto tempo prima. Lei sorrise, coinvolgendo tutto il volto distrutto e riempiendolo di rughette e di tutti quei codici a cui non avevo mai prestato attenzione. Burald rimase immobile a osservarci con la stessa espressione di prima: gli occhi erano persi nel loro mondo ma luccicavano tantissimo, il labbro superiore era sollevato e la bocca un po' sghemba. Il suo corpo era rigido. Si sforzava di cambiare posizione ogni tanto, ma a un certo punto non seppe più come sistemarsi.
Gli porsi la mano e gli feci cenno di unirsi a noi: anche la mamma meritava la sensazione di avere vicino Diamond, dopo tanto tempo, e riprovare il contatto elettrizzante che si otteneva abbracciando un cimiteriale. Di sicuro lo ricordava bene e le mancava.
Lui venne da noi piano piano, indugiando prima di qualsiasi movimento, poi mi avvolse i fianchi e posò un braccio sulle spalle di mia madre: ci fondemmo in un unico nucleo, in un unico rifugio, e creammo con i nostri corpi intrecciati una specie di rogo di scintille, che con il suo scoppiettio sembrava emettere un lungo pianto ma che in fondo, piano piano, iniziava ad asciugarsi le lacrime dalle guance per provare ad andare avanti.
-Come ti chiami, caro?
-Burald.
-Burald, di' a Diamond che gli voglio tanto bene. È la cosa più scontata che possa dire, ma anche la più vera.
-Va bene, ora lo chiamo. Di sicuro anche lui vuole dirvi qualcosa.
-Questo non viola le regole del vostro regno, vero?
- Ho già seguito le regole per troppo tempo. - Agitò la testa. - Sono stato un codardo.
Sospirai e lo strinsi più forte. -Burald... Forse è meglio se non ti metti in pericolo. Non voglio perdere anche te.
-Non ci scoprirà nessuno: siamo al sicuro qui.
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