Non ti deluderò
Un grido che risuonava nel vuoto. Un alone di nebbia che prima mi abbracciava e poi mi lasciava precipitare nella voragine. Due braccia tese che cercavano di aggrapparsi a qualcosa, a qualsiasi cosa che le salvasse dall'abisso, dall'oscurità, dalla morte. Ma alla fine continuavano a contorcersi nell'aria gelida e io sprofondavo sempre più giù, sempre più giù, mentre il mio cuore saltava con me in un singulto infinito che lo portava sempre più su, sempre più su nel mio petto.
-Cassie!
Eccolo di nuovo, quel dannato grido che rimbombava nel burrone. Corsi fino al cancello, corsi all'improvviso dopo essere rimasto paralizzato troppo a lungo. - Cassie, ti prego, non puoi farlo!
Ma lei se n'era già andata, se n'era già andata da un pezzo. - Cassie... - Questa volta singhiozzai e mi aggrappai al cancello, alle sue dannate sbarre identiche a quelle di una prigione. In cima erano appuntite, ma le strinsi fino a non sentirmi più le mani e a farmi sbiancare le nocche. - Cassie, non puoi essertene andata davvero, non puoi... Cassie! Io ti voglio ancora qui con me, io ti voglio, ti voglio, ti voglio così tanto che...
Presi fiato. Respiravo a malapena. - Non hai idea dei rischi che correrei ancora per te, solo per averti vicino, solo per accarezzarti di nuovo, perchè sei l'unica che riesca a ripulirmi da quel fottuto senso di colpa e...
Continuai a piangere. - Non mi hai rovinato la vita, Cassie. Mi hai salvato. - Mi asciugai le lacrime con un gesto sprezzante, poi sollevai le mani per guardarle tremare in preda a scosse violente che non riuscivo a controllare. - E tutto questo non te l'ho mai detto. Che razza di idiota! Dovevo aspettare di perderti per...
Mi sfuggì una risatina isterica. - Per ammettere di essere sempre stato così dannatamente umano da amarti.
Allungai le mani per stringerla tra le braccia anche se ormai non c'era più, ma il sospiro dell'aria fredda mi svegliò come una sberla in faccia. Fu una tortura. Intanto il mio cuore galoppava per lei, per lei che mi aveva cambiato, mi aveva fatto diventare umano e poi aveva deciso di abbandonarmi per sempre.
Mi tornò in mente papà, quando il suo corpo era svanito per sempre. Mi tornò in mente ciò che mi raccomandava quando era ancora in sé, prima di smentire tutto quello che mi aveva insegnato. Mi conficcai le unghie nei palmi delle mani e trattenni il fiato per impedire che il suo profumo mi entrasse nelle narici. "Perché me lo metto ancora, diamine? Sarà sempre peggio, se sento il suo odore."
Mi sembrava di soffocare, allora feci un respiro profondo. I ricordi mi travolsero.
Mi rimboccò le coperte e me le tirò su fino al mento: erano tiepide e le fiamme mi pizzicavano il corpicino con le loro scosse. Lo guardai, annusando il suo aroma nell'aria. Sapeva di maturo, sapeva di alberi, sapeva di legno e... Che schifo! A me non piaceva l'odore del legno. Se lo sopportavo era solo per papà.
I suoi occhi indugiarono sui miei, con un'incertezza che quasi quasi stonava con quel luccichio che li adornò di amore, il gioiello migliore che potessero sfoggiare.
-Devi essere orgoglioso di essere ciò che sei e di tutto il bene che farai per il prossimo!
Annuii e, anche se il cuore mi rimase immobile, mi sembrò che qualcosa di liquido lo inondasse: era stima, ne ero sicuro. Io stimavo tanto il mio papà.
-E ricordati sempre una cosa: non esaudire mai richieste crudeli, perché siamo al servizio dei terrestri e non dobbiamo fare del male a nessuno!
Agitò l'indice in aria per aggiungere enfasi alle frasi e alla fine, con quel dito, con il dito circondato dall'anello con inciso il mio nome, mi solleticò il nasino. Mi dimenai, contrassi l'addome dalle risate e cercai di scacciare la sua divertente arma di tortura. Appena mi diede un attimo di tregua feci un respiro profondo. Le mie palpebre erano pesanti: stavano per abbassarsi da sole. -Non ti deluderò. - mormorai. - Non ti deluderò.
Sprofondai nel sonno.
❤❤❤
Mi sdraiai nel letto, ormai troppo corto per me, e cominciai a fissare il lampadario infuocato che pendeva dal soffitto. La struttura centrale si divideva in varie braccia che sostenevano delle candele: era tutto incendiato, anche sulla struttura argentata e nei suoi ricami. Dalla stanza vicina provenivano il russare indisturbato di Graveyard e le proteste di Darkness. Nella camera invece c'eravamo solo il buio, il fuoco violastro e io, con un compito che mi borbottava indigesto nello stomaco.
"Non mi va di esaudire quel desiderio, non mi va! È troppo complicato!" Mi girai su un fianco. Diamond si era sempre finto devoto alle regole, ma ora era riuscito a scappare e a costruirsi la vita che voleva. Non era certo schiacciato dal peso del dovere come invece lo ero io.
Sbuffai e mi voltai di nuovo: quanto avrei desiderato essere al suo posto! Un'energia strana mi salì dalle mani e mi formicolò sulle braccia. Presi a pugni il cuscino con tutta la mia forza e lo deformai, lo colpii e lo colpii ancora fino a rimanere senza forze. "Non ti deluderò, papà. Non ti deluderò". Chiusi gli occhi: il giorno dopo mi sarei impegnato e avrei fatto tutto ciò che potevo continuando, nel mio cuore, di nascosto, a sognare una vita come quella di Diamond.
❤❤❤
Un'altra richiesta. "Non ti deluderò, papà. Non ti deluderò". Il letto che prendevo a pugni cambiò.
Un'altra richiesta ancora. "Non ti deluderò". Adesso avevo la forza per andare avanti, forse. Traslocai.
❤❤❤
- Burald. - Sussultai. Diamond era nella mia mente. Diamond, Diamond... Quel ragazzino che era stato ucciso per aver disobbedito alle regole dei cimiteriali. Quel ragazzino che aveva pensato di cavarsela, di scappare, ma invece... E io, come uno stupido, avevo desiderato fare lo stesso. E io, come uno sciocco illuso, avevo creduto che fosse possibile.
-Sì? - Le labbra mi tremavano. Lottai contro l'impulso di tacere e fingere di non sentirlo, perchè così anch'io non sarei stato ubbidiente. Se era morto e mi convocava significava che... Scacciai via quel pensiero, ma continuai a muovermi avanti e indietro per la camera.
- Sono Diamond, ti ricordi di me?
-Come no? - bofonchiai, e mi spostai dal letto alla libreria: i volumi che conteneva erano disposti in ordine alfabetico e i loro titoli mi erano sconosciuti. Forse non ci avrei mai prestato attenzione perché tanto, quando avrei cambiato di nuovo casa, non avrebbero avuto alcuna importanza.
Gettai un'occhiata all'armadio di legno, alle pareti tappezzate di poster di New York e vari cantanti rock che non mi appartenevano e non l'avrebbero mai fatto, come qualsiasi altro elemento lì dentro. Come la chitarra addossata al muro: era accasciata sul comodino al posto della solita lampada, fotografia o sveglia che avrebbe dovuto esserci.
Per il ragazzo che abitava la casa, nel regno dei terrestri, quello strumento doveva essere l'immagine che gli sorrideva al mattino, senza cornice ma ugualmente luminosa, la sveglia che suonava quando per sbaglio la urtava nel rigirarsi nel letto... Doveva essere tutto. E io? Io non mi riconoscevo in nessuna delle camere in cui avevo dormito da quando ero nato. L'unica fotografia che valesse davvero qualcosa per me la tenevo nel cuore: era di mia madre, ma tutta sfocata e frutto di fantasia, perché non l'avevo mai vista se non alla cerimonia del 31 ottobre, quella in cui avrebbe dovuto rivelarsi la mia divinità, e invece si era presentata lei.
Per quanto mi spostassi qua e là, non riuscivo a trovare un luogo dove fossi a mio agio. Non ero il cimiteriale giusto per Diamond: muovermi avanti e indietro non sarebbe servito a niente.
-Perché mi hai chiamato?
-Vorrei affidarti un compito. È importante. Per favore, prendilo sul serio.
Scostai le tende dalla finestra e rivolsi lo sguardo al panorama, con le colline, il castello, l'orizzonte e il cielo imbevuti di quel viola naturale che assomigliava al colore dei lividi. Mi ricordò il succo delle bacche schiacciate tra due polpastrelli, quando la buccia spingeva fuori il succo e rimaneva solo una pellicola insignificante. Insignificante come me in quel momento, incapace di soddisfare qualsiasi richiesta.
Nonostante tutto, però, la sua voce morbida mi fece annuire. - Dimmi. Sono al tuo servizio.
- Devi prenderti cura di una persona. È tutto quello che ti chiedo. C'è una terrestre che mi riempie lo sguardo. Beh, si tratta di lei. Sono sicuro che ci riuscirà anche con te: lo fa con chiunque ami e sappia apprezzarla. Buona fortuna.
Deglutii. Era troppo, era troppo! Ma forse sarebbe stata una buona occasione, forse, con il compito giusto, sarei riuscito a rispettare le regole... Forse valeva la pena provarci. Forse... Non so cosa mi prese in quel momento, ma non fui in grado di contraddirlo.
-Grazie.
-Grazie a te. E non deludermi. Hai tra le mani qualcosa di fragile, ma di un valore grandissimo.
Il mio cuore era ancora immobile, ma qualcosa lo inondò di nuovo. "È stima, ne sono certo. Io stimo Diamond." Annuii. "Si è comportato nella maniera giusta, ha pensato a lei prima di sé. Ha deciso di condividerla e farla tornare felice, anche senza di lui. È mille volte meglio di me."
-Non ti deluderò!
Non avevo più l'innocenza e la voce acuta di un bambino, ma ero di nuovo determinato e fiero di essere un cimiteriale. Avrei aiutato Diamond perché il destino dei cimiteriali era ingiusto e lui aveva avuto il coraggio di sfidarlo, e per questo meritava un aiuto. Per questo e perché volevo conoscere la ragazza degli sguardi. E perché forse avevo ancora una possibilità.
❤❤❤
"Non ti deluderò, papà". Ormai mi veniva spontaneo pensarlo, anche se non aveva più senso. Era stato lui a deludermi. Mi spruzzai il suo profumo, fissando il letto dove trascorrevo le notti insonni, mentre mi lasciavo prendere da quel disgusto che provavo fin da piccolo per l'odore di legno. Ma forse in fondo non era così male: adesso era stato sostituito da un disprezzo ben più pesante. M'incamminai verso il regno dei terrestri, seguito dalla mia solita nuvoletta grigia.
Tornai al presente e barcollai di nuovo fino alla cappella di Diamond. Lo feci per dirgli che adesso niente aveva più senso, che adesso la mia stima per lui non aveva più alcun valore, che Cassie aveva deciso di allontanarsi da me, perchè... Mi morsi la nocca di una mano. Ero così sbagliato, ero così sbagliato, Dio... Perché dovevo essere così sbagliato?
Non mi tremavano più solo le mani: adesso oscillavo dalla testa ai piedi come un robot rotto e attraversato da potenti scariche elettriche. Ero come un burattino mosso da una forza esterna. Il mio corpo non mi sembrava più mio. Mi aggrappai al muro e appoggiai la fronte alla superficie fredda, ma fu come cadere di nuovo. Ancora quel grido, ancora quella mano tesa per poi non riuscire ad aggrapparsi da nessuna parte, ancora quell'aria gelata, ancora quei brividi.
- Torna, ti prego... - Tirai un pugno al marmo di una colonna. - Lo so che sono un disastro, lo so, ma senza di te lo sono di più!
Il tempo si fermò e mi sembrò di gridare senza riuscire ad aprire la bocca, di cadere al suolo e mischiarmi alla polvere del pavimento, di essere avvolto dalle fiamme e dalle scosse, proprio come mio padre, di essere schiacciato dal peso di tutti i miei errori, con un fiato che mi pizzicava il collo e scandiva il tempo, mettendomi fretta e ricordandomi che non potevo sbagliare di nuovo.
Mi sembrò di essere in un luogo sconosciuto: le croci, il prato, il mio riflesso sul marmo, nulla risultava famigliare e nulla, nulla mi guardava con uno sguardo di comprensione, nulla mi dava consigli. Tutto mi squadrava con aria severa.
I miei muscoli erano pronti a scattare e il mio cuore scoppiò: sì, per una volta nella vita, il cuore mi scoppiò nel petto e quella stima che lo colmava schizzò ovunque. Continuò a battere più forte che mai e rimbalzarmi fino alla gola, tenendola stretta stretta in un morso letale. Sentirsi umani era come sentirsi vulnerabili, sentirsi umani era come accettare il rischio, a ogni secondo, di non essere abbastanza.
E io avevo perso. Io non ero stato abbastanza. Ero umano, ma un umano fallito. Fallito e solo come un cane. Niente più Cassie. Niente più papà. Niente più mamma. Niente più amici. Niente di niente. Solo una stupida, odiosa solitudine che mi soffocava.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top