Le frasi del destino
Il nero della sera aderiva ai contorni del cielo come un abito di seta, e lo vestiva di eleganza. Anch'io indossavo un abito scuro, cosparso di brillantini sul corpetto e sulla gonna, che mi scendeva morbida lungo i fianchi e svolazzava qua e là mossa dal vento.
Mentre camminavo tra le tombe, minuscole scosse mi percorrevano il corpo e mi aprivano crepe nel cuore. Il mio petto venne tagliato in due da una fitta. I miei occhi erano così tremanti che non riuscivano a soffermarsi su un punto preciso nemmeno per un istante. Sulle piastrelle erano distribuiti tanti petali appassiti, come gocce di sangue che, con il loro colore acceso, spezzavano il letargo del cimitero. Quel luogo era sempre stato così silenzioso, così spento... Come se fosse stato avvolto da un mantello di nebbia. Adesso, invece, c'era qualcosa al suo interno che lo faceva apparire più vitale, più caldo, come se una nuova fiamma si fosse presa l'incarico di rinnovarlo e soffiare via la polvere che lo rivestiva.
Burald non si vedeva ancora, però aveva tracciato il percorso da seguire con una scia di ceri: assomigliavano a rubini, sormontati da fiammelle scarlatte che si allungavano in forme irregolari. Proseguii lungo il sentiero fino a quando giunsi, con un brivido lungo la schiena, di fronte alla cappella della mia famiglia.
"Anche le romanticherie di Burald riescono a essere inquietanti!"
Spinsi la porta e lei si spalancò con un cigolio. Entrai. Rimasi con la mano appoggiata alla parete, trattenni il respiro e mi morsi un labbro in silenzio.
La pelle del giovane, alla luce delle candele, sembrava di quarzo bianco, anche se una sfumatura arancione si spalmava lungo le sue braccia e il suo collo come un olio cosmetico. Gli spigoli del mento erano messi in risalto dal modo in cui la luce, simile a una colata d'ambra, gli scendeva lungo i lineamenti.
Stava osservando il soffitto della cappella, ma chiuse gli occhi un istante, respirò e si passò il viso tra le mani per scacciare via il debole chiarore con cui sembrava farsi la doccia: lo splendore, però, gli rimase incollato lungo le guance, nei capelli e negli occhi.
Si voltò. Il suo sguardo indugiò a lungo, prima di entrare nel mio, ma quando lo fece fu una freccia che mi trafisse. -Ben arrivata, Cassie.
Ai lati della stanza c'era una composizione di fiori, così carica di colore che pareva sul punto di esplodere, di far schizzare ovunque i suoi petali: sopra i crisantemi rossi e le rose, che stavano morendo ma erano ancora soffici come velluto, s'innalzavano delle candele.
Non distolsi i miei occhi da quelli del cimiteriale, anche se Diamond era vicino, o forse era impresso su di me, nella mia essenza. Ma lo lasciai scivolare via, perché ora c'era Burald a regalarmi il benessere che un tempo mi regalava lui. Diamond mi aveva fatto sentire bene come solo un fratello poteva fare, e anche Burald mi stava sollevando dal dolore e dall'insicurezza, mi stava facendo volare, ma in modo diverso, in modo speciale, e io... Non ero mai stata così leggera.
-Allora? A cosa devo tante decorazioni?
- Beh, vedi, stasera...
Indugiò ma, anche se nelle sue iridi ruotavano vortici di luci ed emozioni, continuò a guardami con dolcezza. Con le dita della mano destra si disegnava tanti minuscoli cerchietti sull'altro polso, forse per mantenere la calma.
-Così mi preoccupi. -Feci per portarmi la mano alla bocca, ma mi ricordai di Darkness: non potevo buttare all'aria i miei progressi e rovinare il nuovo smalto. -Che tipo di serata?
- Vorrei dirti che lo scoprirai, però... - Alzò le spalle. - Okay, okay, non arrabbiarti. So già cosa mi risponderesti.
- Ecco, esatto!
Qualcosa s'incrinò nei suoi occhi. -Devo farti vedere qualcosa di importante. Prima non ero pronto, ma adesso... - Fece un respiro profondo. -Voglio provarci. Per te voglio provarci.
- Quanto dovrò aspettare ancora?
Abbozzò un sorriso e fu sufficiente, come uno schizzo di opera d'arte, per sollevargli le guance pallide e donare loro un tocco di vitalità. -Dimmi tu. Quanto vuoi aspettare?
-Io? Nemmeno un altro secondo!
Sorrise di più, piegando la bocca su un lato. Alzò lo sguardo. Il mio cuore batteva veloce e il sangue mi pulsava forte nelle vene: per fortuna l'abito scollato mi permetteva di respirare.
Si tolse la giacca scura e portò la mano al colletto della camicia. Iniziò a sfilare i primi bottoni dalle loro asole, per poi continuare a scendere e quindi ad aprire anche quelli più sotto. Dovette riprovare diverse volte prima di riuscirci: tremava così tanto... Le sue mani si muovevano con piccoli scatti, come scosse elettriche fuori controllo.
-Cosa stai facendo?
Ormai il suo petto candido era scopert. Mi specchiai nei suoi occhi: avevo un'espressione piuttosto sbigottita e le pupille dilatate, mentre le sue parevano battergli al posto del cuore. -Ti voglio mostrare le frasi sul mio corpo.
Finì di sfilarsi l'indumento e lo lasciò scivolare sul marmo del pavimento, accompagnato dalla luce fioca delle candele, che gli rivestiva i contorni del torso con una sfumatura dorata. La tensione emergeva dai suoi movimenti, ad esempio nel modo in cui girò il braccio con uno scatto per mostrarmi l'interno.
La sua pelle sembrava un gioco di luci, un motivo indecifrabile di disegni piccolissimi, di un colore a metà tra l'ocra e il bronzo: una persona distratta avrebbe potuto scambiarli per cicatrici, ma più li osservavo più splendevano e si differenziavano dal resto.
Alcune forme mi erano famigliari, altre no: mi soffermai su una specie di occhio, una L rovesciata, una R squadrata che però non era una R, e così via. Provai a decifrarli, ma non ci capivo niente.
-Sono rune, un antico alfabeto usato dai celti e altre popolazioni prima che si diffondesse il latino. - Si accarezzò la pelle, ma poi ritrasse la mano di scatto, come se avesse appena toccato una piastra bollente. Per un attimo si incupì, ma poi tornò a cercare il mio sguardo. - "Runa" vuol dire "segreto", "sussurro".
Corrugai la fronte.
-Venivano usate per capirne di più su sé stessi e la propria energia. L'alfabeto è diviso in tre gruppi: il primo è legato alla capacità di essere in pace con sé stessi, il secondo alla capacità di superare le difficoltà e mettersi in discussione, il terzo alla crescita... dell'anima.
-Questo cosa c'entra con i cimiteriali?
-Beh, i cimiteriali devono esserne capaci. Basta pensare al rito in cui Dio si presenta a ognuno di noi e ci fa giurare di far bene il nostro lavoro. Quello rappresenta la crescita. - La sua voce continuò a parlare in automatico, in un sussurro continuo e piatto. - E poi, questi gruppi riprendono i cicli della vita: prima si arriva e si capisce il proprio ruolo nel mondo, poi si incontrano ostacoli e alla fine bisogna pensare al proprio spirito e a ciò che rimarrà di lui in eredità alle generazioni future.
- In che senso cosa... rimarrà... alle generazioni future?
Lui sospirò. -Ah, è vero, non te l'ho mai detto. Noi... Ci reincarniamo. Il nostro corpo muore, ma la nostra anima torna in un nuovo cimiteriale. Alcuni di noi ricordano tante cose delle esistenze precedenti, altri solo stralci di ricordi, sensazioni...
Si portò una mano alla fronte e se la massaggiò per un istante. - Io non ricordo molto.
Lo guardai negli occhi. - Ma davvero? Davvero ti sei dimenticato di spiegarmelo, come se fosse una cosa da niente? La tua anima... Potrebbe avere migliaia e migliaia di anni!
-Milioni. - mi corresse. Agitai la testa. Incredibile. Quante cose c'erano ancora che non sapevo su di lui? Stavo dando tutta me stessa a un'anima così vecchia, così... Ma in fondo era rinato. Si era ripulito della sua vita precedente.
Accarezzai le rune con delicatezza, per non sciupare qualcosa di così antico, di così incantevole: anche la pelle di Burald era un diario e un enigma. Avevano l'odore di un antico mistero scolpito in tavolette di legno, che emanava un profumo più rustico della carta, ma con la stessa consistenza. A tratti mi frusciavano nelle orecchie perfino sussurri lontani. Producevano un'energia unica... Era come se fossi finita fuori dal tempo, oppure in un'epoca molto, molto remota.
Subito il respiro di Burald si mozzò, ma le mie dita erano delicate nel muoversi sulla sua pelle, e piano piano la rigidità dei suoi muscoli si sciolse.
- Come faccio a capire cosa dicono?
- Ci penso io.
Mi mostrò il suo braccio sinistro. -Vedi questa? - Indicò il punto in cui iniziava la scritta, con una runa che ricordava la forma di un filo spezzato. -È la runa della morte.
Poi iniziò a percorrerle, seguendo i loro significati, fino a quando il susseguirsi di linee e cerchi svanì di nuovo nella sua pelle candida. -Dice che la morte non è la fine dei desideri. Nel senso che le anime non se li scordano. Vogliono che vengano esauditi, prima o poi.
Si girò. -Guarda dietro il mio collo.
-Ma tu come fai a leggerla?
- Conosco le mie rune, Cassie. A volte mio padre me le leggeva prima di andare a dormire. - I suoi occhi luccicavano, il suo sguardo era fisso sul pavimento, ma poi lo spostò con un brusco scatto e la luce nelle sue iridi si dissolse con un tremolio. Stava trattenendo le lacrime. - Questa dice che la morte non può uccidere un sogno. Vuol dire più o meno la stessa cosa di quella prima, ma è più forte: la maggior parte delle volte i sogni dei morti sono davvero difficili. Sono qualcosa che nemmeno loro speravano si potesse realizzare.
Girò il viso quanto bastava per sbirciare la mia espressione. Mi prese una mano e la posò sulla sua schiena, dove i miei polpastrelli sfiorarono la scritta che gli scendeva lungo le scapole. Con la loro forma triangolare, che si assottigliava scendendo verso il basso, sembravano proprio due ali nascoste, che sporgevano e non vedevano l'ora di spiccare il volo. Alla fine lui non era che questo: un angelo della morte. Mi avrebbe mai portata in cielo con lui, dove mi sarei stretta contro la sua schiena e avrei toccato le nuvole? Mi avrebbe mai...?
Trattenni il fiato.
-Sarà la tua leggerezza a mettermi le ali.
Burald si voltò verso di me e avanzò di un passo: adesso eravamo così vicini che i nostri respiri si sfioravano, si accarezzavano e volavano via insieme. Continuò a stringermi la mano, con le sue dita fredde richiuse sopra alle mie, e se la portò al petto. Lì la sua pelle era più sottile, più morbida.
"Oh cielo, quanto trema..." Le nostre mani oscillavano come corde di violino, insieme.
Le trascinammo giù, tracciando un sentiero di brividi sul suo corpo, ma anche sul mio, e quando ci fermammo io, io...
Mi sembrava che il mondo intorno a noi fosse diventato di ghiaccio e si stesse sbriciolando in mille schegge. O che si stesse sciogliendo in una colata di miele.
Le mie dita erano immobili sul suo cuore.
-La mia vita è la tua. - sussurrò.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top