La speranza che lenisce la sofferenza
Era notte, ma i ricordi non mi lasciavano in pace... Accadeva spesso che tornassero, così, dal nulla, e che mi accarezzassero l'anima per poi distruggerla.
Diamond mi porse un fiore candido, un giglio per la precisione, che mi abbagliò con la sua luce divina e si specchiò nei suoi occhi: erano l'assemblaggio di minuscoli frammenti di cristallo, adornati dal riflesso di un vortice di lucine, o di una costellazione di sogni. Mi chiesi perché non potessi averli uguali, visto che eravamo nati dagli stessi genitori, ma su di lui stavano meglio. Era giusto così. La sfumatura azzurra, contornata da una linea argentata, era qualcosa di prezioso: il mio cuore si lasciava lambire come una costa dal mare delle sue iridi, perché mi trasmettevano tranquillità.
-Grazie. È meraviglioso.
Gli sorrisi e lui ricambiò: sollevò le labbra carnose, rivelando delle fossette deliziose sulle guance e arricciando il nasino all'insù solo un poco. Ciocche di capelli neri gli cadevano sulla fronte e ai lati degli occhi, e incorniciavano il suo visino chiaro. Una pennellata rosa sbocciò sulle sue guance e disegnò petali di velluto.
- Questo fiore è come te, sorellina. Profumato e sensibile.
Avvicinai la treccia alla faccia e inspirai il profumo del balsamo al gelsomino e alle mandorle. "Davvero gli piace?" Incrociai il suo sguardo, che si riempì del mio: fu come se le nostre essenze si stessero amalgamando. La sua luce entrò dentro di me.
Mi girai nel letto, emettendo un mugolio sommesso e tirando le lenzuola: gli occhi di Burald mi ricordavano quelli di Diamond. Diamond. Il mio angelo custode. Un angelo così buono da concedermi un altro amore forte e passionale dopo quello che avevo provato per lui, fraterno, innocente e timido come un'allucinazione. Accarezzai il cuscino e continuai a sognare.
-Mi piace tanto.
Sfiorai la piantina. Il verde pallido del nucleo si disperdeva nel bianco dei petali, grandi e lisci, piegati verso l'esterno.
-Lo so.
- Perché?
- Perché ti conosco, sono tuo fratello. E poi... ogni tanto vado in un villaggio dove si possono trovare delle "letterine cangianti" su cui sono scritti i tuoi pensieri.
Diventai tutta rossa. -Ehi, hai spiato i miei pensieri? Non è possibile, non è possibile! Sai tante cose, ma di questo non sei capace!
-Davvero, non mi credi? Vuoi che te ne porti una?
Battei i piedini sul pavimento. - Certo, immediatamente! - strillai.
Così mi lasciò sola e se ne andò: non lo vidi mai più tornare, a dare un senso al mio sorriso infantile. Tra l'immagine offuscata del suo viso e quella del giglio, conservavo anche il ricordo del suo funerale. Agitai le braccia e strinsi il cuscino. Non riuscii a fermare l'incubo.
La sua piccola tomba si allontanava, sfocata dalle lacrime e ricoperta di fiori.
Stringevo la mano di mia madre. L'avevo perso per sempre? Mi aveva abbandonato ai miei opachi colori terrestri, al mio mondo ordinario e privo di quelle spiegazioni fantastiche che mi dava? Non avrei più incontrato qualcuno come lui... Anche se era mio fratello e avrei dovuto conoscerlo come le mie tasche, ero sempre rimasta alla giusta distanza per essere affascinata dal suo mistero e stupirmi ogni volta che mi rivelava qualcosa in più su di sé. E i momenti passati insieme... Beh, quelli erano insostituibili: nessun altro mi avrebbe più fatta sentire così.
-Tu! - Una donna in mezzo alla folla mi puntò un dito contro. -Sei stata tu a ucciderlo!
Aveva i capelli argentati e il volto corroso dalla vecchiaia, mentre una raggiera di rughette le circondava le labbra increspate e i solchi dell'età le scavavano fronte. I suoi occhi erano allontanati dal dolore. Era la signora che abitava sotto casa mia, che si intratteneva ore e ore a parlare con Diamond e a giocare con lui. Gli voleva bene come fosse sua nonna e spesso discutevano di cose che io non capivo nemmeno. Era rimasta vedova pochi anni prima e Diamond era stata l'unica fonte di vita in casa sua. Io non le ero mai andata a genio a causa del mio carattere vivace e mi sgridava di continuo per il baccano che facevo corricchiando qua e là.
- È stata tutta colpa tua! Stava parlando con te, poco prima di essere investito, sei stata tu a farlo andare via, verso la strada!
Singhiozzai, nascondendomi dietro alla gonna della mamma. Era stata davvero colpa mia?
❤❤❤
Se la vecchia signora aveva ragione, dovevo evitare di meritarmi altro rancore e chiedere perdono a Diamond. Perché non ci avevo mai pensato prima?
Mi soffermai a osservare i fiori che tenevo in camera. "Voglio fargli un regalo, ma non posso reciderli". Sarebbe stato come tagliare a pezzi ciò che mi rimaneva di Diamond, che ormai era solo un ricordo conservato con ostinazione e alimentato dalle lacrime. No, non potevo: avrei portato anche la terra in cui erano cresciuti.
La struttura centrale era un po' ingobbita per il peso dei rametti e delle foglioline. Avevo sistemato i vasetti di gigli e gelsomini negli angoli della stanza e i fiorellini sembravano tutti gemelli, accomunati dalla malinconia con cui posavo l'attenzione su di loro e assaporavo la morbidezza dei petali. Ogni carezza era un morso nella pancia, un brivido, il profumo della sua presenza che mi vibrava sulla pelle.
Mi infilai la giacca, raccolsi un vasetto e andai verso la porta. Premetti il pomello ma poi indugiai, senza aprire. -Mamma?
Stava gironzolando per la casa in cerca degli occhiali quando, lanciandomi uno sguardo distratto, si accorse che stavo per uscire e la fissavo. Si bloccò. -Sì, Cassandra. Che c'è?
Sul suo viso apparvero tante rughette, come sentieri tracciati dagli anni e dalla preoccupazione che la stava invadendo all'improvviso.
-Vado da Diamond. Al cimitero.
Cercò di abbassarsi la montatura per guardarmi da sopra, ma non l'aveva ancora trovata, quindi spostò solo aria. Rimase paralizzata, con la fronte corrugata e la mano sospesa. Si gettò di nuovo le braccia lungo i fianchi. -Davvero te la senti?
Annuii. Si avvicinò di qualche passo. -Forse è stato merito dell'altro giorno... è stata dura per te, ma ti ha spronata.
Strinsi le dita intorno alla terracotta del contenitore. -No, mamma. Hai fatto un errore, non cercare di giustificarti!
-Va bene, va bene... Sono orgogliosa di te!
Gli occhi si illuminarono. Mi avvolse con le sue braccia robuste, che odoravano di cucina e giardinaggio.
❤❤❤
Ero raggomitolata nel letto e mi tiravo i capelli fino a farmi male. Affondavo la faccia nel cuscino e la premevo contro la federa umida: il mondo circostante era sparito, inghiottito da una luce tagliente e da immagini di me e lui, me e lui, me e lui che ruotavamo all'infinito, come pianeti che s'inseguivano lottando contro la forza di gravità che li separava. Che alla fine era riuscita a separarli.
Un buco nero risucchiava tutto: la forza di reagire, di alzarmi, perfino di gridare. Mi uscì solo un verso strozzato. "Non importa se soffoco, me lo merito! È stata tutta colpa mia!" Faticavo a respirare e ansimavo contro il tessuto ormai fradicio. "Sono una bambina cattiva!"
Presi il giglio che mi aveva donato tra le dita sottili, ma il dolore era così aggressivo... Stringevo troppo forte, quasi con violenza, così tanto che lo stelo si spezzò e i petali si staccarono: caddero e si posarono sul pavimento, di fianco al comodino. Il gambo era piegato in due nella mia mano, e il polline giallo sulla sommità si era chinato verso il pavimento. Ricominciai a piangere e lasciai precipitare anche ciò che rimaneva del fiore. Ripresi a tirarmi i capelli.
A un tratto le lacrime smisero di sgorgarmi dagli occhi. "Magari non è successo davvero..."
Non ero di fronte alla sua tomba e non potevo essere sicura che fosse morto. Quel peso che mi gravava dentro parve alleggerirsi e mi sembrò di stare meglio, di riuscire a mettermi in piedi e a sperare che tornasse da me. Mi alzai e mi raccolsi i capelli in una treccia: e se avessi usato per sempre quel balsamo al gelsomino e alle mandorle? Era un'ottima idea. "Così, se mi cercherà, mi troverà come l'ultima volta, in ordine e profumata, e mi perdonerà per ciò che gli ho fatto, per avergli detto di andare a prendermi la letterina cangiante. Non importa fra quanto tempo."
Quel ricordo venne proiettato nella mia mente e, per fortuna, svanì da solo una volta giunto al termine. Era vero che il dolore accentuava ogni difetto e, quel giorno, le mie strane abitudini avevano iniziato a conquistarsi un posto fisso nella mia vita, a dare un senso alla mia evidente diversità fisica. Ora ero accovacciata sul marmo che ricopriva la cappella, sotto alla parete su cui erano incisi i nomi dei defunti e appesi fiori e fotografie: la sua era proprio in centro. Di fianco a me erano sistemate composizioni divise in grandi vasi di girasoli, tulipani e calle, tanto alte da rendere invisibili i miei gigli. Iniziai a tremare dalle braccia, che tenevo ai lati della testa, poi al busto e alle gambe piegate sulle ginocchia. La mia fronte era appoggiata al pavimento: se abbassavo le palpebre mi sembrava di vedere la sua lapide, ma se alzavo la testa la vedevo davvero. Era come essere su una trottola rotante: solo il pavimento mi dava un minimo di stabilità.
-Diamond, io... - mormorai. -Non ti ho dimenticato, anche se non sono mai venuta a trovarti. Mi ero illusa che, se mi fossi preparata come ti piaceva, saresti venuto da me. Magari in un sogno, in un'altra dimensione, in qualsiasi posto. Non volevo affrontare la realtà.
Presi fiato. Non singhiozzavo: ero troppo concentrata sulla voce che faticavo a spingere fuori dalla gola.
-Adesso so che non lo farai, che non ti incontrerò di nuovo, non sulla Terra. Nel regno dei cimiteriali però... Insomma, tutto è possibile! Voglio solo che in quel caso tu mi riconosca e non senta più rancore nei miei confronti. Lo so che è colpa mia se non sei più qui. Scusami. Scusami tanto.
Sollevai la testa. Il mio sguardo raggiunse la sua chioma scura e, tentando di riempire i suoi occhi, rimbalzò contro il vetro impolverato e tornò a trafiggermi l'anima. Erano azzurri come diamanti ma rimasero intrappolati lì, beati ma vuoti, in un volto di porcellana che iniziava a crepare.
Una patina di polvere rivestiva la cornice. La nausea si riversò nel mio stomaco: ora era solo una macchia fluttuante o una voce nella testa del cimiteriale che esaudiva i suoi desideri, ma per me era ancora nel faccino incantato di quel bimbo.
- Non avevo il coraggio di guardarti in faccia e cercavo di aggrapparmi alla speranza che tu fossi ancora vivo. Sono stata stupida! Perdonami, è che ti sento così... lontano. -Sospirai. - Se solo conoscessi chi lavora per te....
Mi spremetti la treccia, la girai e l'arrotolai su sé stessa, la scicciai e compressi le ciocche. I contorni degli oggetti intorno a me si offuscarono e oscillarono, anzi, fui io a vacillare: caddi di nuovo e mi rannicchiai con il viso rivolto verso il pavimento. -Diamond, io...
-Ssssssh. - Due labbra ruvide si posarono sul mio collo e un fiato tiepido mi sfiorò l'orecchio. - È molto più vicino di quanto credi, Cassie.
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