La causa di tutto
Ero su una panchina infuocata in alto paese, una di quelle rivolte verso il panorama: da lì si potevano ammirare i boschi e i rovi del precipizio sottostante, intricati come un enorme nido di spine.
-Come mai volevi parlarmi, Cassie?
Darkness era sdraiata sulla panchina: teneva le mani dietro la testa e i piedi appoggiati allo schienale, e lo sbilanciava con il peso dei suoi anfibi enormi, mentre io ero rannicchiata nello spigolo rimasto libero. Ogni volta che il sedile dondolava e mostrava segni d'instabilità, il cuore mi balzava in gola: cadere nei rovi prima di scoprire la verità sarebbe stata una pessima idea.
-Volevo parlarti perché... - Feci un respiro profondo. -Burald mi ha raccontato di suo padre e ha anche spiegato quando quei corvi neri compaiono sui cimiteriali.
Sbiancò. Ma anche il mio cuore, sotto la buccia, era un piccolo arancio marcito nella sua amarezza. -L'altra volta mi hai detto che ce li hai sempre avuti, ma non è vero.
Tamburellò le dita sulla spalliera, con un ritmo crescente, ma a un tratto le sue unghie si conficcarono nel legno nel tentativo di graffiarlo. In poco tempo si cerchiarono di rosso. -Hai ragione. Ti ho mentito. Quei simboli sono spuntati fuori circa otto mesi fa.
Sbatté le ciglia per nascondere gli occhi iniettati di sangue e si mise a sedere in modo normale. -Mr. Risen aveva cercato di coinvolgere Burald in una vendetta, perché negli ultimi tempi faceva fatica a trovare lavoro. Questa impresa gli sembrava quella buona, non poteva fallire, e poi... Che importava del marchio? Bastava che dopo facesse solo lavori onesti e non sarebbe stato punito.
Scossi la testa. "Che razza di mostro doveva essere questo cimiteriale!"
Prima aveva amato una terrestre, aveva cresciuto Burald insieme a Darkness e Graveyard, come fossero i suoi figli. Insomma, aveva fatto tante cose buone. Ma dopo, dopo si era abbandonato alla cattiveria.
Darkness si schiarì la voce per continuare. -Quindi aveva bisogno dell'aiuto di qualcuno e ha chiesto a me, perché altrimenti non sarebbe riuscito a portare a termine la missione. Suo figlio ha subito rifiutato e io sono rimasta l'unica speranza di salvezza: sarebbe finito in strada, probabilmente avrebbe riprovato anche a costo di mettere a rischio la propria vita, sarebbe andato in rovina e...
Giocherellò con una ciocca di capelli castani, ma il suo sguardo la oltrepassava, troppo assorbito dai ricordi. Se la lanciò di nuovo dietro alle spalle, ma questa volta la linea aspra delle sopracciglia rivelava un grande rimorso. -Lui ha cresciuto me, Graveyard e Burald insieme, ci ha fatto diventare come fratelli, ci ha curati e ci ha amati. Tutte le sere mi rimboccava le coperte, mi dava dei colpetti sulla schiena, mi consolava, mi sorrideva quando tutti gli altri mi davano della pazza bipolare. Lui era l'unico che non mi facesse sentire sola al mondo: gli volevo bene. Non avrei mai potuto tradirlo anch'io.
Puntò i suoi occhi nei miei: erano lucidi di lacrime, non più rinchiusi nel loro universo lontano, ma più vicini, più morbidi. Fu come se avanzassero per provare a farsi comprendere, per scappare dal regno remoto e deserto di Darkness. Il suo sguardo inaccessibile forse era quello, in fondo: solitudine. Solo solitudine. -Appena ho risposto "sì" alla sua richiesta disperata, il simbolo è spuntato sulla mia clavicola. Però io non sapevo ancora in cosa consistesse quel compito, non sapevo...
Fece un respiro profondo. - Lo sapevo, ma non abbastanza a fondo. Lo vedevo solo come un modo per mancare di rispetto agli umani, che per me non erano altro che degli stupidi privilegiati, quelli che avevano spinto i miei genitori ad allontanarmi, e quindi anche di sfidare mia madre e mio padre. Io lo vedevo solo come un modo di riscattarmi e di salvare l'unico che volesse tenermi con sé.
Incrociò le braccia e sulle sue guance il rosso diede forma a un magnifico corallo con diramazioni contorte, lasciando intravedere solo qua e là chiazze di pelle candida. I suoi occhi color nocciola divennero intensi come il cioccolato, ma spezzati da fulmini rapidi e violenti, che la colpivano come flagelli e creavano un'espressione sofferente sul suo viso. Serrò i pugni e si ficcò le unghie nei palmi delle mani.
-Avrei dovuto tormentare una ragazza di questo paese, ma non sapevo chi fosse. Quando l'ho conosciuta, o addirittura quando ho iniziato a guardarla da lontano per studiare le sue abitudini e pensare a un piano, ho capito che non tutti gli umani erano malvagi ed egoisti, che loro non avevano colpa per quello che mi era successo e che non potevo punirli...
Agitai la testa. - Perchè? Cos'aveva lei di diverso?
Darkness si appoggiò i gomiti sulle ginocchia e nascose il viso con le mani. - Sapeva amare. Sapeva farlo in modo ostinato, sapeva fermare il tempo pur di rimanere nel passato, pur di rimanere attaccata a quell'amore.
Agitò la testa. -Anch'io sono sempre stata attaccata al passato... Non ho mai smesso di pensare a una cosa successa così tanto tempo fa, quando sarei dovuta andare avanti.
La sua voce sembrava sulle montagne russe, in un percorso di alti e bassi, mentre il suo petto era mosso da respiri deboli e frenetici.
-I miei genitori avevano rifiutato di crescermi non perché erano impegnati a esaudire desideri, ma perché non prendersi cura di giovani cimiteriali era una forma di ribellione. E l'avevo capito grazie alla storia di quella ragazza... Non potevo farle del male. Per Burald era lo stesso, per questo ha tradito suo padre, anzi, perché aveva il compito di supportarla e renderla felice. Prima ero arrabbiata con lui, ma poi... Sono riuscita a capirlo. E mi sono pentita di aver accettato di aiutare Mr. Risen, anche se continuo a pensare che non doveva morire, non doveva finire così.
Gemette. - È stata tutta colpa nostra.
Mi alzai in piedi, con il cuore che sembrava collegato al piede di un automobilista che premeva l'acceleratore: stava sfrecciando a tutta velocità. Darkness scoprì il suo viso: le sue lacrime ancora lottavano per non scivolare giù, e i suoi pugni stretti tremavano. - Invece di dirgli di sì, dovevo provare a farlo ragionare finchè ero in tempo, dovevo impegnarmi di più, dovevo farlo, con tutte le mie forze, dovevo riuscirci. Dovevo salvarlo.
Mi cedettero le gambe e caddi a sedere sulla panchina. Per poco non si ribaltò, ma non ci badai nemmeno. "Chissà perché, gli intrecci complicati di queste questioni portano sempre a me."
"Suolo, apriti e risucchiami al tuo interno. Oh, suolo... Ti supplico!" Sprofondai dentro me stessa e le lacrime scesero copiose sul mio volto, come una pioggia di acido: le guance mi bruciavano come se si stessero corrodendo. "Perché sono nata? Perché, perché?"
Tenevo le mani sul viso. Cominciai a premerlo e graffiarlo, incidendo la disperazione sulla mia pelle: mi sembrava di essere un foglio accartocciato, con l'inchiostro che grondava e confondeva le parole. "È stata tutta colpa mia se Burald è stato costretto a voltare le spalle a suo padre!"
-Quella ragazza... - mormorai.
-Sei tu.
Negai. Era terribile. Stavo morendo dentro. Attorno a me c'era solo buio e una voragine che m'inghiottiva. "Sono condannata a essere una condanna, in eterno." Avevo le vertigini, la sensazione di cadere nel precipizio da un momento all'altro, ma non mi tenevo alla panchina, perché d'altronde me lo sarei meritato. Mi sfregai gli occhi. Burald e Diamond erano due angeli, ma non potevo tenerli con me, dovevo allontanarli anche se li amavo: sarebbe stato un bene per loro. Avevo i capelli sciolti, però "quel diamante" era rimasto con me: come facevo a cacciarlo? Avevo appena accettato le mie imperfezioni e ora dovevo sopportare la consapevolezza di essere un guaio, una disgrazia, qualcosa che non avrebbe dovuto esistere... Un fiore che andava calpestato prima che avvelenasse tutti con il suo polline.
-Tranquilla, non ho mai iniziato a svolgere quel compito. Non ho mai pensato nemmeno lontanamente di...
-Lo so. - sussurrai. -Ma non è questo il problema.
- Oh, mi dispiace così tanto di avertelo raccontato, sore. Mi dispiace, lo so che ti farà stare male, ma meritavi di sapere la verità, dovevo dirtelo, dovevo... Ho tenuto tutto per me fin troppo tempo.
- Sono io la causa di tutto.
La mia voce si spezzò in un singhiozzo, mentre il mio sguardo diventava più fisso e vuoto di quello di qualsiasi cimiteriale. Un macigno mi pesava sulle spalle e mi spremeva come una bacca: il mio cuore si spappolò contro le costole e produsse un dolore acuto. "Come ho potuto? Come ho potuto fargli questo?"
Darkness mi abbracciò. - Non è vero. Tu non potevi saperlo, non potevi impedire i nostri errori: non ci conoscevi neanche. Sei solo finita in mezzo a questo intrigo, ma non ne hai colpa!
-Chi è che si vuole vendicare di me?
-Cassie... lo sai bene.
Sì, purtroppo lo sapevo. Il suo ricordo mi straziò: con un gemito cercai di scacciare subito la sua presenza, ma era sempre più intensa, come una puzza di bruciato che mi faceva venire la nausea.
La piccola tomba di Diamond si allontanava, sfocata dalle lacrime e ricoperta da fiori candidi.
-Tu!
Una donna in mezzo alla folla mi puntò contro un dito.
-Sei stata tu ad ucciderlo!
Aveva il corpo tozzo, i capelli argentati e il volto corroso dalla vecchiaia. Una raggiera di rughette le circondava le labbra increspate e i solchi dell'età le scavavano fronte. I suoi occhi erano allontanati dal dolore.
- È stata tutta colpa tua! Stava parlando con te, poco prima di essere investito, sei stata tu a farlo andare via, a farlo correre verso la strada...
Singhiozzai e mi nascosi dietro alla gonna della mamma.
Quell'anziana ostile, al funerale, la sua espressione arcigna, quella crudeltà nel dare tutta la colpa a una bambina... Mi ero portata tutta la vita il suo disprezzo nel cuore. Eppure si era affezionata a Diamond e potevo comprendere il suo dolore, il suo bisogno di sfogarsi su qualcuno per non dare la colpa a se stessa. Abitava nella mia stessa casa, nel piano inferiore, ma anche nel mio stesso tormento.
Il rumore delle sue ciabatte mentre si spostava dal salotto alla cucina e ringhiava tra i denti il mio nome. Il suono tremante della mia voce quando supplicavo la mamma di non mandarmi a giocare in giardino, perché sarebbe potuta uscire dal balcone e parlarmi.
Poi, finalmente, quel giorno. Era in fondo ai gradini di casa e reggeva due valigie che contenevano la maggior parte dei suoi effetti personali: quelli rimanenti li avrebbe trasportati in scatoloni. Fece una smorfia di disgusto, con il labbro inferiore sollevato che spingeva contro quello superiore.
-Me ne vado, trasloco, piccola assassina. - Sputò ai miei piedi. -Non sopportavo sentirti scorrazzare nell'appartamento, quando Diamond non potrà farlo mai più!
La mamma diventò tutta rossa. Il fumo pareva uscirle dalle narici dilatate. -Non si permetta! È solo una bambina!
I capelli le si rizzarono sulla testa: se avesse potuto, avrebbe sparato mille scintille da sopra gli occhialini rotondi. Io ero la sua bambina e, dopo la morte di Diamond, non poteva permettere a nessuno di toccarmi. Ma lei non sapeva che la sua bambina era una condanna...
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