Il rito

Appoggiai una spalla a una colonna del porticato. La luna creava una sfumatura argentata sui contorni delle croci. Le fiammelle si erano spente a una a una, e non rimaneva che qualche candela a batteria nelle cappelle. Mi lasciai inghiottire dall'oscurità. Cassandra se n'era appena andata, sconvolta. Ero disgustoso. Avevo sempre finto di accettare la vita a cui ero destinato... Le avevo mentito. Indossare quella maschera mi dava soddisfazione, perché rispecchiava ciò che avrei dovuto essere, ma la stavo prendendo in giro. La stavo solo prendendo in giro. Era il momento di smetterla.

Mi infilai le mani in tasca, prima che congelassero.

Eh no, no, non ero solo disgustoso, ma ero anche egoista e, ironia della sorte, questo era l'unico difetto che i cimiteriali non potevano avere. Lo ero sempre stato, fin dai primi incarichi, quando mi tiravo indietro da qualsiasi azione buona ma facoltativa che potessi evitare, come il volontariato: Diamond invece aveva trovato la maniera di fingersi umano e condurre una vita migliore. Solo che non si sfugge al proprio dovere, non si sfugge al proprio destino, e lui ne era stato la prova.

La mia schiena scivolò fino a quando mi trovai seduto sulle mattonelle. A quel punto m'immersi nei ricordi.

Graveyard correva verso di me e agitava le braccia in aria. - Andiamo a leggere le letterine cangianti?

Il visino era rosso come una fragola e attraversato da goccioline di sudore. Mi bloccai sul fondo della via e aspettai che mi raggiungesse. -Ovvio, ai pensieri delle terrestri non si dice mai di no!

Quelli dei morti ce li avevamo nella mente, mentre quelli del mondo di sopra potevamo leggerli così: avevamo la chiave per aprire le anime altrui.

Dopo la faticosa salita ci fermammo in piazza a riprendere fiato e guardammo il castello, che si innalzava con torri e fiamme immense: le pareti erano mosaici di tonalità tra il marrone e il rosso, mentre le finestre solo fori sottili. I tratti della costruzione conservavano un velo di eleganza tra le righe dritte: ci sarebbe dovuto essere un ponte levatoio, lì, ma era chiuso. Un fosso di acqua torbida separava la strada dall'ingresso. Il castello era stato utilizzato dai cimiteriali per ospitare i loro capi, quelli che lavoravano secondo gli ordini di Dio.

Entrammo in un edificio vicino e ci trovammo in una sala sommersa da foglietti incendiati: erano sparsi sul pavimento, sui tavoli e sugli scaffali, ma svolazzavano anche da soli per la stanza. Assomigliavano a piccoli draghi sputa fuoco. Graveyard tentò di afferrarne uno, ma il biglietto fluttuava troppo in alto. Non ci riuscì. -Uffa, volevo leggerlo...

-Non importa, prendiamone un altro.

Afferrai una lettera posata sul pavimento: le sue linguette viola si stavano spegnendo a poco a poco e le orme delle suole che l'avevano calpestata erano ancora impresse su di lei. Tentai di ripulirla e distenderla. Mi vibrò tra le mani e, dandomi la scossa e facendomi ritrarre in fretta le mani, partì alla rincorsa come un cavallo galoppante. Si rifugiò vicino al soffitto.

Scoppiammo a ridere: eravamo venuti solo per le riflessioni delle ragazzine. Come sarebbero state? Con quegli occhi pieni, così penetranti da trafiggermi il petto? Con quei capelli opachi dove, invece della luce, si annidava la libertà? Oh, cos'avremmo dato per saperlo... Non ci importava se, senza quelle lettere, saremmo stati all'oscuro dei loro pensieri, disarmati e strani. Non importava.

- Graveyard, vorrei tanto incontrarle, un giorno!

-Anch'io!

Diamond varcò la soglia dell'ingresso e si posizionò in mezzo a noi con passi leggeri: sembrava un angelo dell'inferno, con i capelli corvini che facevano contrasto con la luce che li abbracciava, e gli occhi celesti come lo sfondo dietro alle nuvole del paradiso. Era un vero e proprio gioiello in mezzo al carbone e alle fiamme di quel regno.

Però quel giorno aveva due solchi bluastri che gli sottolineavano gli occhi. Era ancora più pallido del solito. I suoi movimenti oggi erano più goffi, o forse più secchi, più scattanti, come se un'energia negativa lo divorasse dentro. Mi avvicinai a lui. -Diamond, va tutto bene?

Annuì, ma la sua espressione era troppo vacua perché fosse vero.

-Hai dormito stanotte? O sono arrivati ancora i ricordi delle tue vite passate?

Mi raccontava spesso di come a volte, nella sua mente, apparissero scene delle sue esistenze precedenti, scene in cui obbediva a Dio a testa bassa, ma stringendo i denti con un'enorme frustrazione che gli bruciava dentro, oppure scene in cui doveva rinunciare ad amare, a vivere, per fare ciò che tutti si aspettavano da un cimiteriale.

E ricordava spesso anche di com'era morto, con le voci dei defunti che gli stringevano le tempie e diventavano sempre più forti, sempre più forti... Ricordava che ogni volta succedeva così. Ogni volta, negli ultimi istanti della sua esistenza, le richieste si accavallavano l'una sull'altra e le voci gli urlavano contro fino a schiacciarlo. Gli ricordavano che non sarebbe riuscito a fuggire nemmeno con la morte. Lo aspettavano nella prossima esistenza, in cui lui avrebbe dovuto soddisfare tutti i loro desideri. E sarebbe andato avanti così in eterno.

Certe volte, invece, non vedeva scene precise, ma veniva invaso da sensazioni: avvertiva delle manette che gli stringevano i polsi, l'aria pesante, la ruggine delle sbarre che gli graffiava la pelle, la paura di non poter uscire da una bara troppo stretta, come una prigione, mentre andava avanti e indietro da un regno all'altro. Eravamo incatenati al nostro destino.

-Sono arrivati eccome! - uscì dalla stanza e iniziò a camminare per un corridoio. Lo seguii. -Stanotte è stata peggio delle altre, ma ho trovato una soluzione.

Avevo il fiato sospeso. Diamond era gentile, simpatico.... Ma non era mai stato come gli altri.

-Nella mia ultima vita stavo preparando un rito per scappare via, quando sono morto. Ma era tutto pronto. Dovevo solo andarmene, e invece non ho fatto in tempo. Però questa sarà la volta buona!

Mi immobilizzai in mezzo al corridoio. -Ma come... Tu.... Non ci vedremo più?

I miei occhi si riempirono di lacrime. Graveyard, Darkness... A parte loro era l'unico con cui avessi legato davvero. Giocavamo insieme di nascosto, perché perdere troppo tempo in cose inutili non era concesso ai cimiteriali, e poi facevamo passeggiate nei boschi, in posti strani e nei cimiteri degli animali mentre lui mi raccontava dei suoi ricordi. Ma la cosa era reciproca: lui poteva confidarsi con me, e io potevo confidarmi con lui.

-Non dire così, Burald... Ci vedremo ancora e ancora, tutte le volte che vogliamo!

-Davvero?

-Sì. Quando salirai sulla Terra per i tuoi compiti, puoi venire a trovarmi.

Il mio petto diventò un po' più leggero. -Adesso dove stai andando?

Sorrise: nei suoi occhi luccicavano la soddisfazione per ciò che stava per fare ma anche tanta, tanta speranza. Per lui questa vita non era altro che la cella di un carcere: era un sogno liberarsene. -In una stanza segreta. Lì ci sono tanti libri che ha scritto Dio, quando stava facendo delle ricerche su di noi, solo che poi li ha nascosti perché erano pericolosi. Ce n'è anche uno che mi aiuterà a fare un rito per diventare un po' umano. Dopo potrò scappare.

-Un po' umano?

-Sì, solo un po'. Al resto penserò più avanti.

Percorremmo diversi corridoi e scale: mi sembrava che uno stormo di api mi stesse pungendo in quegli istanti. Il mio sguardo scivolava incerto di qua e di là. L'ambiente era avvolto da una strana semioscurità, come se ci fossimo addentrati in un labirinto così profondo che nemmeno il sole riusciva a raggiungerlo. -Come fai a sapere la strada?

Alzò le spalle. -Nella scorsa vita l'ho fatta tante volte.

Ci bloccammo di fronte a una porta massiccia. Era blindata. Diamond disegnò un simbolo su un mattone del muro, e poco dopo si aprì. All'interno le pareti erano coperte da librerie altissime, avvolte dalla penombra: nella parte alta del muro si apriva una finestrella da cui entrava un fascio di luce. Il chiarore ricadeva su un tavolo al centro della stanza, sul quale era appoggiata una pila di libri. Rimasi immobile, con i piedi paralizzati su un vecchio tappeto polveroso. Diamond invece si arrampicò su una scala a pioli appoggiata alla libreria. Prese un volume dalla copertina argentata.

Una volta sceso, lo sistemò sulla scrivania e lo aprì. -Ecco, Burald, questo lo ha scritto il nostro Dio. Dice come ha preparato l'inchiostro magico che ha usato per i nostri tatuaggi. Se non avesse fatto proprio come dice il libro, non potrebbe darci la nostra punizione quando facciamo i bambini cattivi. Ma il libro parla anche di una specie di pozione o... Beh, non so come si chiama, comunque una cosa liquida per cancellarli. Deve essere usato dopo qualche mese dal rito che farò oggi, quindi dovrò tornare giù fra un po' di tempo.

Annuii, anche se non avevo capito molto. Diamond si guardò intorno, come se cercasse qualcuno. -Maria, vieni qui. Ci sei?

Una sagoma violastra entrò dalla finestra e fluttuò fino a raggiungerci. Mi saltò il cuore in gola. -L'anima di un'umana? - Sgranai gli occhi. -E lei cosa c'entra?

Diamond si inchinò di fronte a lei. - Ciao Maria, finalmente sei arrivata!

Tornò a rivolgersi a me. - Burald, lei è Maria. Mi aiuterà a fare il rito perché è un'umana. Voglio dire, era un'umana. Comunque, può regalarmi cose degli umani, come quelle emozioni tanto più forti delle nostre, come quella cosa strana che i grandi chiamano "amore". E poi... Anche il mio corpo diventerà come quello dei terrestri! Deve solo entrare dentro di me.

-E poi lei rimarrà dentro di te? Tu diventerai lei?

Scosse la testa. -No, no, lei uscirà di nuovo e io sarò sempre io. Solo che sarò più umano.

Ma avevo comunque i muscoli tesi come le corde di un violino. Ma quindi... Ci saremmo separati? Lui sarebbe cambiato? La sua vita sarebbe migliorata? Era una cosa bella o brutta? Mi faceva male la testa.

-Però adesso, Burald, devi andare, così potrò fare il rito.

Mi sorrise e mi abbracciò. Ci stringemmo forte, anzi, ci aggrappammo l'uno all'altro come se fossimo due scogli in un mare in tempesta e solo così potessimo salvarci dall'affogare. I nostri cuori immobili erano uno sopra l'altro. -Sarai felice? - mormorai.

-Certo, è per questo che me ne sto andando.

-Sarai felice anche per me?

- Tutti i giorni.

Ma io non tornai di sopra davvero: mi nascosi dietro la porta, che lasciai socchiusa, e sbirciai tutto di nascosto. Lui si posizionò in mezzo alla stanza, e l'anima di fronte a lui indugiò qualche secondo. Poi si avvicinò fino a sfiorarlo e, quando venne a contatto con lui, la sua sostanza violastra gli entrò dentro.

Iniziò tutto dal suo petto, dove brillava una bolla di luce scura nel punto in cui si trovava il cuore: nel giro di pochi secondi si diffuse al resto del torace, come una rosa che fiorisce e lascia cadere i suoi petali. Prima il cuore di Diamond era immobile, ma ora... Iniziò a palpitare prima piano, poi più forte, con movimenti rapidi. Il suo battito! Il suo battito! Il suo cuore aveva iniziato a battere!

Mi sembrava che mi rimbalzasse nelle orecchie. Era successo davvero, o era solo un sogno? Quel suono, quel ritmo regolare, quel rumore caldo e deciso, ma quasi morbido... Era come se mi tirasse verso di sé con una cordicella. Ma qualcosa mi bloccava, mi impediva di raggiungere Diamond e unirmi a lui. Il senso del dovere, forse?

Il chiarore si spalmò su tutto il suo corpo e irruppe all'esterno anche attraverso i vestiti. La luce, che lo avvolgeva come un mantello, riacquistò la normale forma delle fiamme. Ma quelle non erano fiamme: era uno spirito. Diamond aveva chiuso gli occhi e gemeva: la trasformazione gli stava causando dolore. Era rigido come una statua. Il suo respiro era irregolare.

Ma poi tutto si spense. Lui si rilassò un po': non era più dritto e immobile, anzi, la sua posizione diventò più naturale di prima. Si mosse per accarezzare l'anima che adesso era di nuovo fuori dal suo corpo, di fianco a lui, ma lo fece con una naturelezza sbagliata, imperfetta, che non apparteneva ai cimiteriali. Riaprì gli occhi: erano sempre vuoti, ma meno del solito. Sembrava davvero un umano, adesso. E sarebbe stato in grado di amare come un umano, di soffrire come un umano, ma anche di ridere e di divertirsi come un umano, di essere libero come un umano, di vivere come desiderava.

Strinsi i pugni. A me cosa restava, invece? Dovevo obbedire agli ordini. Dovevo pensare solo a rendere felici i morti. Dovevo pensare solo agli altri. Diamond non aveva voluto portarmi con sé, mi aveva abbandonato nella sua prigione. Però forse non volevo sul serio scappare, perchè c'era papà ad aspettarmi a casa, papà che voleva che facessi il bravo bambino, papà che mi voleva bene e io... Non potevo deluderlo. O magari avevo solo troppa paura. Sì, avevo paura. Che codardo.

Tornai al presente. Serrai i pugni e le vene disegnarono percorsi verdi sotto la mia pelle, sporgendo appena. "Ero debole. Sì, ero debole. Un disastro in confronto a lui. Almeno aveva avuto il coraggio di ribellarsi, io invece non sto né da una parte, né dall'altra." Sospirai, fissando la polvere. "Perché continuo a fingere con Cassandra? Le dico che ho accettato il mio compito, che non soffro, ma sono pure bugiardo! È stata anche troppo buona con me, avrebbe dovuto piantarmi in asso appena se n'è accorta."

Una fitta mi pugnalò il torace. Bruciava come limone sulle ferite. Nel fondo della mia anima una manina tesa tentò di aggrapparsi a quegli istanti del passato, di afferrarli e tenerli con sé, ma scivolarono via come vortici di zucchero. Lasciarono solo un retrogusto acido.  

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