Il cimitero
Notti passate a cercare informazioni in rete su di lui, su creature sovrumane con gli occhi che si animavano solo in determinate situazioni, con il cuore che non batteva... Le mie guance erano solcate dalle occhiaie. Sbadigliavo di continuo. Avevo perfino chiesto alla segretaria se poteva darmi l'indirizzo di Burald, dicendo che volevo andare ad aiutarlo con i compiti, ma lei mi aveva chiesto perchè non lo domandassi direttamente a lui. Eh sì, aveva ragione. Ma cos'avrei dovuto fare? Dirgli: "Oh, ciao Burald! Che ne dici se mi dai il tuo indirizzo? Così posso venire anch'io sotto casa tua a portarti dei crisantemi..." ? Basta, era ora di decidermi. Dovevo seguirlo.
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Mi guardai intorno in cerca di qualcosa di familiare, ma non c'era nessun punto di riferimento che potesse aiutare il mio senso dell'orientamento. Dietro di me una stradina dall'asfalto rovinato si apriva tra campi incolti, dominati da erbacce, alberi imponenti e arbusti che producevano lunghe ombre sul cemento.
Appoggiai le mani alle ginocchia e mi piegai in due: i muscoli delle mie gambe erano doloranti. Avevo il respiro affannato. "Caspita, è davvero veloce... e silenzioso! Non ho mai sentito il rumore dei suoi passi."
Premetti e arrotolai la mia treccia, per liberarla dalle mie emozioni fastidiose, come fossero un liquido concentrato al suo interno sotto forma di goccioline. Persi di vista Burald.
Proseguii da sola e davanti a me apparve un piccolo parcheggio, con un lampione solitario che spiccava proprio al centro: forse chi lo aveva costruito sapeva già che lì non avrebbe mai sostato più di una macchina per volta e, quindi, il lampione non avrebbe dato fastidio. Ma non c'era da stupirsi: lì di fianco si trovava l'ingresso di un cimitero. Il cielo era quasi buio. Rabbrividii. Per farmi luce avevo solo il cellulare, che per giunta era quasi scarico!
"Perché ho deciso di seguirlo?"
❤❤❤
Mentre aprivo il cancello di ferro battuto, una miriade di brividi mi attraversò la schiena. Anzi, quelli erano scossoni violenti, l'incarnazione di un mostro che mi ficcava gli artigli nella carne.
All'ingresso spiccava un albero secco che assomigliava a uno scheletro, con le braccia che si contorcevano come serpenti nel tentativo di mordersi a vicenda, ma erano esili, grigie... Durante una vera lotta si sarebbero spezzate con uno scricchiolio di ossa rotte.
A terra erano sparse foglie secche, alcune marce e umide, altre ormai ridotte in briciole. Il cemento del muretto che delimitava il cimitero era attraversato da crepe così profonde che sembrava sul punto di cadere a pezzi. Avanzai nel buio della notte, col cuore in gola: l'unico chiarore, oltre a quello del mio telefono, veniva dalla luna.
Il vento ululava, faceva muovere i fili d'erba e i cespugli e dava vita a ombre che danzavano al ritmo delle sue grida.
Illuminai il prato, ma tra le tombe e le croci regnava un silenzio assoluto. I nomi dei defunti erano nascosti sotto una patina di polvere.
La cera delle candele, ormai sciolta sul marmo, assumeva la forma di macchie giallognole e appiccicose. La luce del mio cellulare mi abbandonò e mi lasciò divorare dalla notte, con la nebbia che produceva veli grigi sull'oscurità e braccia inconsistenti che mi avvolgevano. Era il momento di andarmene. I miei movimenti erano esitanti, e anche l'anima della nebbia mi ostacolava, rendeva più pesanti le mie gambe e... Mi bloccai di colpo. Il cuore che mi saltò in gola.
In lontananza due occhi gialli come limoni si spostavano autonomi nel nero delle tenebre, e venivano verso di me. Che strana creatura era, anche questa volta? Non riuscivo a scappare, dannazione, non riuscivo a scappare! Raccolsi tutte le mie forze, ma il pelo ispido dell'animale mi toccò, la coda colpì la mia gamba con una frustata e il naso umido sfiorò la caviglia.
Un gattone nero: quello era solo un gattone nero! Un vortice di lucine ruotò intorno a me, per poi trasformarsi nel nero più totale e intorpidirmi il corpo con un formicolio. "Sto svenendo?" Caddi. Non rimase più nulla.
Mi guardava con gli occhi sgranati, anche se pur sempre vuoti, e le sue labbra sottili erano tese come una linea tagliente. Mi dava degli schiaffetti leggeri sulle guance. - Cassandra, mi senti?
Dovevo essere finita in un mondo ultraterreno, perché un mantello di luce aleggiava intorno al suo viso. Allungai una mano e lo toccai, per sentire se era reale, ma un brivido mi pizzicò i polpastrelli: era come accarezzare fiocchi di neve ghiacciati.
Il suo ciuffo era una nuvoletta arruffata e i suoi occhi erano come germogli in primavera, ma attraversati da vene rosse che ricordavano le fiamme di un rogo.
Quello era l'angelo che mi aveva salvata, o il diavolo che mi avrebbe condotta all'inferno? Mi sforzai di respirare, ma... E se mi avesse portato da Diamond?
Ero sdraiata su una superficie umida, forse su un prato rigoglioso, con l'erba che mi solleticava la schiena. Raccolsi le forze per tirarmi su, ma la debolezza mi fece cadere di nuovo coricata.
Burald agitò la testa. - Dovresti stare sdraiata per un po', adesso.
Mi guardai intorno: conficcate nel terreno si ergevano delle croci di legno. Un mare di fiori, diviso in composizioni di ogni genere, dalle più delicate alle più accese, mi circondava. Rose, garofani, margherite... non mancava nulla! Nemmeno i crisantemi.
Erano voluminosi, e rendevano ancora più soffocante l'accerchiamento che i fiori avevano formato intorno a me. I petali si accavallavano l'uno sull'altro creando strati e strati che mi toglievano il respiro. Mi credevano morta, forse? Avevano innaffiato le piantine piangendo vicino al mio corpo senza vita?
-Mi avete già fatto il funerale?
Burald abbozzò un sorriso, ma nella sua espressione spiccava un velo di preoccupazione. -Cassandra, come stai?
-Sono confusa. Perché sei qui?
Dischiuse le labbra per parlare, ma poi trattenne il fiato e le serrò di scatto. -Potrei chiederti la stessa cosa.
- Smettila di trovare sempre una scusa per non darmi spiegazioni!
Indicò il gatto nero che si stava strusciando contro le sue gambe, lasciandogli una scia di peli scuri sui pantaloni. -Keeper mi è venuto a chiamare perché sei svenuta. Ti ho trovata per terra.
Le fusa riprodussero il suono irregolare di un brontolio, ma i suoi occhioni gialli come due stelle, un po' schiacciati, gli ridevano al posto della bocca. . -Ma io... mi ricordo... di essere caduta là. Sì, proprio là, in quel punto.
Indicai una zona poco più avanti del cancello arrugginito.
-Lo so, ma ti ho portata qui. - Alzò le spalle. - Un bel prato è più comodo di quelle mattonelle.
-Sei stato... gentile.
Ma in verità sarebbe stato mille volte meglio rimanere su un letto di aghi, purché sotto non ci fosse nessun cadavere. Non era rispettoso stare comodi sopra alla bara di qualche poveretto, seppellito poco più giù.
Burald si sdraiò vicino a me, con le mani sotto la testa e i gomiti rivolti verso il cielo. Venni avvolta da un odore di legno, un odore elegante, maturo, con un fondo di vaniglia che mi pizzicava: venni abbracciata, coccolata, ma poi anche divorata dal suo profumo.
Alzai di nuovo gli occhi al cielo: un'aurora di mille sfumature sormontava la volta celeste, spalmando pennellate rosa su uno sfondo biancastro. Era una tavolozza di colori ancora da mescolare: qua e là apparivano petali di peonia, in altri punti brillavano spruzzi di fuoco. La luce del sole circondava le montagne con un involucro incandescente.
Gli occhi di Burald si riempirono della luce del cielo, e le sue labbra si piegarono in mezzo sorriso. Anche se il suo sguardo era ormai scivolato al di là delle nuvole, le sue dita erano aggrappate all'erba e scavavano nella terra. Era come se ascoltando il terreno riuscisse a capire il mondo oltre le nuvole, come se dal basso percepisse meglio l'alto, con tutte le nuvole, gli angeli e i demoni di cui era composto.
Forse anche Diamond era da qualche parte lì sopra... Se solo avessi potuto vederlo, avrei ricambiato il suo sguardo e lo avrei ringraziato per tutto ciò che mi aveva donato. Invece eravamo separati da quel cielo in fiamme che sarei stata disposta a sfondare, pur di incontrarlo.
-Guardare il cielo da qui non è come farlo da un altro posto.
- È perché lassù ci sono le anime dei corpi che invece sono seppelliti qua sotto, vero?
Lui annuì. Il sole cominciò a salire nel cielo con i suoi raggi caldi, come braccia dorate che accarezzavano quella tela bianca. -Anche un cimitero può essere meraviglioso, sai? In realtà è molto più interessante, più profondo di come lo vedono tutti...
Iniziavo a comprenderlo, forse perché le persone strane si capiscono a vicenda. Sorrisi: se la sera prima il cimitero mi appariva tremendo e rovinato, era solo colpa delle ombre prodotte dalla torcia. Adesso era tutt'altro. Era un tempio che si riempiva dell'energia divina, era un gioiello tramandato di madre in figlia per generazioni e generazioni. Bastava scendere più a fondo, cercare quello che si nascondeva sotto lo strato di polvere.
Keeper si avvicinò con rapidi balzi e in un secondo mi fu addosso. Iniziò a farmi il solletico con la coda. - È il tuo gatto?
-No, lui è libero. E ha scelto di custodire il cimitero.
-Certo che è piuttosto strano... Cosa spingerebbe mai un gatto a prendersi un impegno simile?
-Circa un anno fa la sua padrona è morta. I famigliari hanno portato Keeper a un canile, ma è riuscito a scappare e venire qui. Si è accucciato davanti alla tomba ed è rimasto lì rannicchiato per giorni. Adesso ogni tanto va a farsi un giro, ma trascorre comunque qui la maggior parte delle sue giornate, perché questa è diventata la sua nuova casa. È una storia triste, ma anche molto bella. Quei due non si separeranno mai...
C'era qualcosa nella sua voce... Qualcosa che ricordava lo scricchiolio di un albero che si spezzava sotto il peso della neve, qualcosa che si incrinava ma cercava di resistere. Gli occhi del gatto cominciarono a brillare sempre di più. Accarezzai il suo pelo ispido, che si raddrizzò sotto i miei polpastrelli. "Oh, Keeper. Ti capisco"
-Vieni spesso qui?
-Sì. Questo posto mi piace... - Mi sbirciò di soppiatto, ma subito dopo tornò a guardare il cielo. La sua voce si ridusse a un mormorio. - E anche tu.
Mi girai a guardarlo: adesso si stava ripulendo le mani sporche di terra nei vestiti. Mi sfuggì una risatina. -Sei strano.
E sì, anch'io ero strana, forse più di lui. Ma, se associavo quella parola al suo viso, al suo profumo e al suo sorriso, non mi sembrava più poi tanto negativa. E, allora, il fatto di esserla anch'io non era più così male.
-Per il cimitero, o per te?
Ci riflettei un secondo. -Per entrambi.
Feci sgattaiolare la mia mano vicino alla sua, ma poi fu lui a prendermela in una stretta delicata: quel contatto era come il velluto, delicato e piacevole. Tornai ad ammirare il cielo, ma adesso era nuovo, diverso, come se non lo avessi mai visto prima. Burald sorrise e continuò a godersi il momento.
C'era il suo amato cimitero. C'ero io. Cosa poteva desiderare di più?
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