Domande

Cercai di sollevare le palpebre, ma dopo una notte insonne erano così pesanti... Le sfregai a lungo con le mani. Se solo fossi riuscita a non pensare a Burald, magari avrei dormito di più. E poi, perchè mai sarei dovuta andare a scuola, adesso? Affondai la testa nel cuscino. "No, prima devo togliermi dei dubbi su di lui!"

Scostai le coperte e mi alzai: anche mentre divoravo la colazione, non abbandonai la progettazione dell'impresa. Scelsi dal guardaroba dei pantaloni di tuta e una felpa, mi vestii, mi lavai i denti, raccolsi i capelli nella solita treccia e m'incamminai verso la scuola. Sarebbe stato difficile tirar fuori di bocca delle informazioni a uno come Burald, ma mi sarei impegnata.

Si era insinuato in un abisso già aperto dentro di me, mi aveva inquietata con quel suo fascino magnetico. Adesso basta.

                                                                                           ❤❤❤

Alla ricreazione lo cercai con un'occhiata rapida, ma attorno a lui si era raggruppata una folla di curiosi: seduto sul banco, Burald concedeva risposte vaghe e ogni tanto sorrideva per scusarsi del suo silenzio. I ragazzi lo studiavano con attenzione e gli occhi delle ragazze si accendevano di eccitazione quando parlava. "Per adesso niente..."

Mi girai, sospirando. Ginevra posò i pugni sui fianchi. -Cassandra, conosci la madre di Burald, per caso? Ieri ha risposto al telefono della segreteria. Sembra una donna giovane ma piuttosto severa, a giudicare dal tono di voce.

Anche quella mattina sfoggiava l'uniforme della scuola in maniera impeccabile, senza una singola pieghetta, e agitava la penna in aria per dare enfasi alle notizie. Io invece scossi la testa: Burald, nell'altro lato della stanza, era scomparso.

"È da tre ore che Alice gli sta addosso. Ora che si sono divisi, se ne va anche lui!"

Il prof di arte entrò in classe. -Buongiorno, ragazzi. Oggi andremo in paese per realizzare dei disegni dal vivo!

L'insegnante aveva già in mano l'album da disegno, la matita e i pastelli, e non rimaneva fermo un secondo: picchiettava i piedi sul pavimento, tamburellava le dita sul suo album da disegno, aspettava solo che ci alzassimo per seguirlo. Senza rinunciare ai nostri sbadigli e trascinando i piedi per terra, ci dirigemmo verso la meta.

Ritrarre il paesaggio, tuttavia, non era affatto la mia priorità: i vicoli di Castell'Arquato erano perfetti per un dipinto quanto per una conversazione, vista la loro ricchezza di angolini tranquilli. Aspettai che il professore e i compagni si distrassero e feci un cenno a Burald, con la testa, per fargli capire di avvicinarsi.

La comitiva avanzava, ma noi ci appartammo sotto al cornicione di una casa di mattoni. Aveva una colorazione calda, con le pietre che, incastrate vicine, si completavano l'un l'altra. Dietro alla mia schiena scendeva una grondaia arrugginita. -Che c'è, Cassandra?

-Mi devi delle spiegazioni. Riguardo a come mi hai perseguitata negli ultimi due giorni.

Serrai i pugni. Lui inarcò un sopracciglio: più il mio respiro si affannava e il cuore batteva veloce, più stringevo con forza. Ero di nuovo sotto esame, scalfita da mille artigli, come se non potessi più nascondere ciò che provavo alle altre persone o, almeno, non a lui. Mandai giù il groppo in gola. -Ti potrei denunciare, lo sai?

"Oh... Come sembro sarcastica. In realtà non sono poi tanto divertita dalla situazione."

Lui abbozzò un sorriso e continuò a guardare la grondaia alle mie spalle: quando rideva con me sembrava divertirsi per conto suo, come se non esistessi, come se non mi vedesse nemmeno. Ma era proprio così: lui non mi vedeva. Non vedeva la mia iride destra azzurra come il cielo e quella sinistra verde come una gemma. Non vedeva i miei capelli castani raccolti in una treccia, sempre, ogni giorno. Non vedeva nulla di me. Non mi prestava attenzione. Eppure sapeva già tutto.

Alzò le spalle. - Senti, non sopporto proprio le domande. Se vuoi arrestami pure, ma niente domande. Ti prego.

Mi appoggiai al muro: i miei polpastrelli vennero a contatto con la polvere e il muschio umidiccio. -Come scusa?

Mi porse le sue mani, i polsi incrociati l'uno sull'altro, in segno di sconfitta, come se dovessi mettergli le manette. - Non proverò nemmeno a giustificarmi.

Le mie guance diventarono bollenti come due bracieri. Si avvicinò. Teneva lo sguardo puntato sui nostri piedi e lo spostava di tanto in tanto per guardarsi in giro. Voleva evitare di incrociare il mio, era evidente. Anch'io feci un passo verso Burald, che continuò a porgermi le mani.

Ora eravamo vicinissimi, vicinissimi nella diversità: le pennellate rosse sulle mie guance si dissolsero nel nulla. Eravamo diversi dal resto del mondo. Non avevo nulla da temere, non da lui.

Afferrai i suoi polsi e me li portai dietro la schiena. Una volta avvolta dal suo corpo cadaverico, gli gettai le braccia al collo. Burald non si oppose, anzi, continuò a stringermi con trasporto.

Non avrei dovuto farlo, però... Com'era bello sciogliermi, non sentirmi strana, permettere che i miei difetti sparissero e basta... Avevo bisogno di alzare la testa e guardarlo con i miei occhi diversi senza che li notasse. Avevo bisogno di abbassare le palpebre e annusare il mio profumo di fronte a qualcuno che non mi avrebbe giudicato.

-Non ho detto che mi dia così tanto fastidio... Solo che vorrei capirne il motivo.

"Non riesco a credere di averlo detto. Nel mio petto. Nel mio petto. Qualcosa sta galoppando nel mio petto. Oddio. Sto impazzendo!"

Rabbrividii, e non per il freddo: il suo cuore non batteva. Se rimanevo in silenzio e trattenevo il respiro, riuscivo a sentire il pulsare di un solo organo: il mio. Burald mollò la presa e si allontanò. Una ciocca di capelli gli cadde sulla fronte. Aveva un angolo della bocca sollevato in un sorriso storto, ma poi si dissolse mentre faceva un passo indietro e si grattava la nuca. Inarcò le sopracciglie.

Mi guardai intorno, ma c'eravamo solo noi due. Iniziai a tremare. La classe era sparita. Mi trattenni dall'ansimare. Il suo cuore non batteva. Non batteva. E c'eravamo solo noi due. -Dove sono gli altri?

-Oh... - Abbassò lo sguardo e iniziò a giocherellare con i sassolini per terra. - Se ne saranno andati.

Mi scese una scia di sudore sulla schiena. Come faceva a rimanere così tranquillo? Oh, certo, quello pericoloso era lui, non io. - Cassandra, che c'è?

-Sono rimasta sola con...

Un mostro? Un delinquente? Non lo sapevo nemmeno io. E se fossi scappata lontano? Lontano da quella creatura a cui non batteva neanche il cuore?

Si strinse nelle spalle. - Però mi hai appena abbracciato.

I brividi mi scuotevano come un burattino. -Non importa.

Cercai i compagni e il professore con occhiate frettolose, mi spostai da sotto al cornicione e tornai dalla strada. Burald mi seguì. "Che fine hanno fatto? Mi sono distratta solo un secondo... Beh, forse un po' di più di un secondo."

-Si saranno solo allontanati un po'. Probabilmente se proseguiamo su questa via fra qualche metro ce li ritroveremo davanti.

-Okay. - mormorai, con il groppo in gola. -Allora andiamo.

Iniziammo ad avanzare tra due fitti schieramenti di abitazioni, che sfoggiavano fiorellini variopinti sui davanzali delle finestre e sui balconi. Le pietre di varie colorazioni erano sempre le protagoniste e dominavano il paesaggio.

Io imitai il suo passo, ma il ritmo lento non bastò ad allentare tutti i miei nodi alla gola. Burald tornò a perdersi in chissà quale buco nero nella mente. Il silenzio riprese a regnare, ma un silenzio agghiacciante, come se tra noi si fosse alzato un vetro separatore, comunque troppo fragile per proteggermi. Alla fine era stata colpa mia. Ero stata io a farlo avvicinare, a volergli parlare, ero stata io ad abbracciarlo. Mi sbagliavo ogni volta. Ma lui... Lui... -Perché lo fai?

Fece un respiro profondo e si girò verso di me, ma non distolse lo sguardo sui suoi piedi. Aveva la schiena dritta e le braccia rigide lungo i fianchi. Sollevò una mano e per un istante la lasciò sospesa in aria, a tremolare come una fogliolina spostata dal vento.

-Per questo.

Burald mi sollevò il mento. Con una dolcezza inspiegabile, il suo sguardo entrò nel mio e i due si mescolarono per qualche secondo. I suoi occhi vitrei, iniettati di sangue, tornarono normali. No. Molto più di normali. Si riempirono di sentimenti e profondità, facendo luccicante il loro verde puro come una gemma preziosa. "Ho già provato questa emozione, ma ora si è rinnovata ed è più speciale che mai. Quando mi è già capitato?" Trasalii. Continuavo ad avere strane sensazioni.

-Eccoli! Sono là in fondo! - gridò una voce in lontananza.

Era di Alice. Il resto della classe ci aveva trovato. O forse eravamo stati noi a trovare loro, nel momento sbagliato. Ora il mio petto era più leggero ma... Quel momento sarebbe dovuto durare in eterno, invece lei lo aveva infranto in modo brusco, come quando si lascia cadere una tazzina di porcellana e lei si spezza in mille schegge. Burald tornò a guardare la strada. Si nascose le mani dietro la schiena, come un bambino trovato con le mani nel sacco. 

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