Appuntamento
23 giorni prima.
Volevo chiedere un consiglio a Darkness: okay, forse non era la persona più adatta a questo tipo di aiuti, ma era l'unica ragazza con cui avessi un rapporto abbastanza stretto. Se le avessi chiesto di darmi uno schiaffo o pettinarmi i capelli in una cresta punk non avrebbe avuto nessuna difficoltà, ma non intendevo domandarle cose di questo genere di cose.
La raggiunsi nella sua soffitta, nel mondo sotterraneo, perché lei amava rifugiarsi lì e suonare la sua chitarra elettrica: era un passatempo che non approvavo, perché non erano concessi hobby ai cimiteriali, ma lei non mi dava ascolto. Diceva che se non avesse potuto sfogarsi neanche così, avrebbe combinato un disastro ben più grande.
Però chi ero io per darle consigli?
Avevo appena finito di salire le scale. Mi appoggiai alla ringhiera e feci un respiro profondo. Il frastuono della sua musica mi spezzava i timpani: era qualcosa di bello, di energico, ma di esagerato. Stava sfogando tutta la sua rabbia sulle corde e stava liberando anche le parti più profonde del suo spirito selvaggio.
Mi drizzai. La musica sembrava produrre delle scosse di terremoto sotto di me. Aprii la porta e sbirciai l'interno, per vedere se la sua espressione fosse davvero così feroce, ma lei smise subito di suonare. -Gravey? Ma chi ti credi di essere per interrompere il mio unico momento di libertà!
Entrai lo stesso. Era sempre scontrosa, ma sapevo che era disposta ad ascoltarmi. -Comunque stavi suonando molto bene, ma eri ... Accanita come una tigre. Ti ha fatto arrabbiare quella chitarra, eh?
Mi lanciò un'occhiata truce. - Mi hai fatto arrabbiare tu. Dimmi che avevi una buona ragione per venire qui, altrimenti ti caccio fuori.
In effetti quello era proprio il suo regno: il legno delle pareti era occupato da grandi scritte ribelli e poster vari, ma anche da disegni di teschi e altri mostri. Le finestrelle lasciavano entrare poca luce, che filtrava a fatica attraverso i veli scuri che Darkness aveva messo al posto delle tende. Sul comodino era sistemato un grande candelabbro con il piedistallo di metallo nero. Insomma, quella stanza era un mix di punk e gotico spaventoso. Io non avevo l'abitudine di personalizzare la mia camera, visto che ogni volta che cambiavamo incarico noi cimiteriali dovevamo trasferirci.
Alzai le mani in segno di innocenza. -Va bene, va bene.
Il mio stomaco si attorcigliò su sé stesso. -Non so se è una domanda sensata, ma...
Girò gli occhi. -E siamo alle solite! Senti Gravey, non sono di buon umore oggi, quindi muoviti e arriva al punto.
Le mie guance scottavano: di sicuro erano diventate tutte rosse. -Voglio portare Alice in un posto carino.
Darkness mi guardò con espressione malinconica. -Senti, lo so che quella ragazza ti piace, ma fino adesso ha rifiutato tutti i tuoi inviti, quindi non credo che cambierà idea all'improvviso. Ascoltami, è meglio se lasci perdere.
Qualcosa di liquido m'inondò il petto. -No, no, è solo un po' timida e spaventata, ma le passerà...
A Darkness sfuggì una risata sarcastica. -Timida? Sei sicuro che stiamo parlando della stessa persona? Quella ragazza è una saputella vanitosa, altro che timida!
-Vanitosa, Alice? No, no, ti sbagli.
Darkness agitò la testa. -Io non mi sbaglio mai.
-Beh, forse un pochino ... - Mi strinsi nelle spalle. - Ma non importa. Volevo proporle qualcosa di bello, che non possa rifiutare.
-In che senso "che non possa rifiutare"? Non vuoi rapirla e portarla là in catene, vero?
Si sdraiò sul pavimento della soffitta, con i gomiti rivolti verso l'alto. La polvere ingrigiva i suoi abiti neri. Mi coricai di fianco a lei. -Ma secondo te? Non mi permetterei mai di fare una cosa del genere, Dark... Intendevo qualcosa che la attiri molto.
Darkness diventò pensierosa e iniziò a tamburellare le dita sul legno del pavimento. -Portala a fare shopping. Verrà di certo. Magari non verrà per te, magari verrà per farti sborsare tutti i tuoi soldi, ma verrà. Sempre se sei sicuro di non voler tornare al verde da questa piacevole uscita, intendo.
Sorrisi. -Ma no, è una brava ragazza, non farebbe ....
Lei mi interruppe. - Sì, aspetta e spera! A proposito, poi portala da "Mangiademoni", è un locale molto alla moda in cui fanno bevande alcoliche. Così avrai qualche speranza in più!
Mi diede una pacca sulla spalla. Okay, magari Alice non stravedeva per me e si fidava poco, ma non ero messo così male. Questa volta sarei riuscito a farle cambiare idea.
▪️▪️🖤▪️▪️
Quel negozio era proprio come me lo ricordavo: Darkness mi ci portava sempre, perché era il suo preferito. Ma forse non avrei dovuto ascoltare il suo consiglio: lo sguardo di Alice scivolava da un posto all'altro, ma non trovava un luogo confortevole su cui posarsi. Sembrava che tutto attorno a lei scottasse: se sfiorava un oggetto per sbaglio sobbalzava, e la sua attenzione non rimaneva mai sullo stesso punto per più di mezzo secondo. Schivava i divanetti con disinvoltura: riproducevano bocche di demoni spalancate, con tanti dentini aguzzi che in realtà erano fatti come i cuscini, morbidi e avvolgenti. Evitava tutti i ragazzi che incontravamo. Rasta, capelli di ogni colore, creste strane, piercing, tatuaggi ovunque... Si vedeva di tutto, e lei ogni volta scuoteva la testa con una smorfia di disgusto. Però era sempre graziosa. Quel pomeriggio era così: trepidante e graziosa.
Andava avanti e indietro: non pareva proprio a suo agio, ma ogni tanto mi guardava e si sforzava di sorridere, e allora mi scioglieva il cuore. Ricambiavo, aprendo i miei sorrisi più ampi e luminosi, ma in realtà mi sentivo impacciato come non mai: inciampavo in tutti i porta appendini che trovavo sulla mia strada e tutte le volte facevo cadere un bel po' di abiti.
Ecco, anche in questo momento dovetti chinarmi a raccoglierne due e rimetterli sulle loro grucce: mi ero scontrato con loro perché stavo fissando Alice. Era meravigliosa, con i capelli ondulati che le svolazzavano dietro la schiena, al ritmo dei suoi movimenti fluidi... Con le ciglia che sbattevano mentre mi osservava dall'alto... Con quelle labbra carnose ...
Mi persi di nuovo ad ammirarla. Lei aveva la fronte corrugata. -Ma la pianti di far cadere quei poveri vestiti? Sono l'unica cosa degna di rispetto, qui dentro.
Mi alzai e li riappesi. -Davvero? Ti piacciono?
-I vestiti? Ma scherzi?! Sono favolosi. È tutto il resto che fa schifo.
-Oh, bene... Sono contento.
Mi scaricò addosso una pila di indumenti che aveva accumulato attraversando il negozio: era altissima, ma spostando la testa a destra e a sinistra riuscivo comunque a vedere dove mettevo i piedi e a sbirciare Alice. "Okay Gravey, il suo mondo sono i vestiti. Se le piacciono quelli hai vinto."
-Adesso andiamo ai camerini: devo provarli tutti.
-Certo, credo che siano... Eccoli, a destra! Ti faccio strada.
-Attento a non schiantarti contro qualcosa, però.
-Tranquilla, ho le ossa dure io.
Lei ridacchiò. -Mai quanto la testa.
Raggiungemmo il luogo prestabilito e io rimasi fuori, in piedi, a tenere la montagna di maglie, magliette, pantaloncini e topless. Spostavo il peso da una gamba all'altra, ormai sfinito, ma resistevo per Alice. Tutte le volte che usciva, camminava proprio come una modella sulla passerella, ondeggiando i fianchi, spostando i piedini con leggerezza e sorridendo allo specchio, davanti al quale a volte assumeva anche altre pose.
Solo alla fine si girava verso di me e mi chiedeva: - Beh? Non dici niente?
A quel punto dovevo annuire. -Sì, ti sta molto bene.
Oppure: - Davvero carina quella gonna.
E a volte: - Mi piace quella giacca... Ti dona.
Mi sforzavo di mantenere un'espressione seria, come se fossi davvero concentrato sugli indumenti e stessi giudicando in modo oggettivo, ma la verità era che non me ne importava niente: sarebbe stata stupenda con qualsiasi cosa avesse addosso.
▪️▪️🖤▪️▪️
Tenevo tutte le sue borse, ma lo facevo volentieri. Non dico che avesse proprio svuotato il negozio, ma più o meno sì. Però non mi aveva fatto pagare, come pensava Darkness. Alice mi rivolse uno sguardo luminoso, con i suoi occhioni da cerbiatta, e sorrise. -Comunque Graveyard...
-Puoi chiamarmi Gravey, se ti va.
-Allora Grevey, questo negozio non era poi tanto male. Non hai dei bei gusti, ma pensavo peggio.
-Grazie.
Uscimmo attraverso le porte automatiche e avanzammo verso la strada. Lei camminava in modo così sciolto che sembrava saltellare. Per fortuna dovevo portare le borse, altrimenti non avrei saputo dove mettere le mani, come tenere le braccia...Insomma, avrei avuto un mucchio di problemi.
-Ti andrebbe di andare al "Mangiademoni" a bere qualcosa? È un posto pazzesco, devi vederlo! È pieno di tipi strani, come questo negozio, ma non devi spaventarti. Preparano cocktail buonissimi. L'ultima volta ne ho preso uno all'occhio di coccodrillo.
Sgranò gli occhi. -Cosa?
-Non è come pensi. In realtà l'occhio di coccodrillo è solo nel nome, non è che si sono messi a spremere il suo...
Lei sobbalzò. -Oh no, per carità. Lasciamo perdere, Grevey! Che ne diresti di una normalissima gelateria? Ce n'è una qui vicino.
-Sei proprio sicura? Ci saremmo divertiti, c'era anche una pista da ballo con la musica. Tu mi sembri perfetta per...
Mi afferrò per un braccio, perché stavo per finire in mezzo alla strada. Trattenni il fiato: altrimenti il suo profumo all'acqua di rose mi avrebbe spento le rotelle del cervello.
-Perfetta per..? Ballare sul cubo di una discoteca? Siete tutti così superficiali, voi maschi, cimiteriali compresi! Con qualche occhiata pensate già di aver inquadrato una ragazza. Invece a me non piace ballare.
-Ma se balli anche quando cammini?
Alzò il mento di qualche grado e mi sbirciò con aria scaltra, come se in quel momento mi avesse letto il cuore e sapesse tutto quello che mi stava passando per la mente. Scosse la testa. -Sei sicuro di non averlo già bevuto il cocktail al coccodrillo, Gravey?
Per un attimo diventai di pietra, immobile e impacciato, ma poi mi ripresi e le parole iniziarono a uscirmi a fiumi: più stavamo insieme e più il mio imbarazzo svaniva. Anche Alice si stava sciogliendo: lo sentivo da come la sua voce perdeva quella punta di acidità, lo sentivo da come ogni tanto rideva alle mie battute, da come la smetteva di starmi a metri di distanza e si lasciava avvicinare.
Forse era tutto merito della gelateria in cui mi aveva portato: le pareti erano rosa confetto, e ovunque si trovavano divanetti di pelle bianca e tavolini di vetro, con sopra piccole composizioni di fiorellini delicati per decorare il piccolo locale. Una grande vetrata lasciava scorgere la strada, che con il suo grigio era in netto contrasto con i colori pastello dell'interno. Forse anch'io apparivo fuori luogo, lì dentro: insomma, ero tutto vestito di nero, avevo la pelle spenta, gli occhi spenti, ero un cimiteriale. Ma quel pomeriggio forse me lo scordai e mi lasciai trascinare da Alice nel suo mondo speciale. Un mondo fatto di colori, di sinfonie delicate, ma anche di un po' di sano egoismo e di amore per sé stessi.
-Sei tutto sporco, lo sai?
I suoi zigomi erano sollevati in un'espressione divertita, i suoi occhi un po' schiacciati per il modo in cui sorrideva. Aveva le guance arrossate, e il rossetto era sparito nel mangiare il gelato. Ma il colore delle sue labbra era vivace e naturale: in altre parole, ancora meglio. Mi porse il suo fazzoletto.
Era di stoffa, ricamato, come quelli d'altri tempi. Lo rifiutai. - Grazie, ma... Non posso rovinarlo. È troppo raffinato. Lo farei diventare tutto nero.
Lei rabbrividì. -Ah, me l'ero scordato.
Presi un fazzoletto di carta dalla tasca e lo usai per pulirmi la bocca. Possibile che mi fossi sporcato come un bambino scemo? Feci per girarmi dall'altra parte: non volevo che Alice vedesse il tessuto bianco che si macchiava di oscurità. -Non c'è bisogno. Dovrò superare questa cosa, prima o poi, altrimenti mi farà sempre impressione.
Non potevo biasimarla: d'altronde era brutto far sprofondare nel buio ogni cosa che ti mettevi. Era come essere fatti di tenebre.
-Grazie di avermi avvisata: ci tengo al mio fazzoletto. Sai, me l'ha regalato mia nonna prima di andarsene.
Il suo sorrisetto svanì. Posò il gomito sul tavolo e il mento sulla mano. I suoi occhi guardavano lontano, molto lontano, forse dove solo io e gli altri cimiteriali potevamo arrivare. Oltre la morte.
-Andarsene, in quel senso?
Lei annuì. - Quando avevo dieci anni.
- Mi dispiace. - mormorai. Quando si scherzava e si rideva sapevo sempre cosa dire, ma quando i discorsi si facevano dolorosi non mi uscivano mai le parole.
Lei agitò la testa. -Oh no, tu sei un cimiteriale. Non puoi dire "mi dispiace" come fanno tutti gli umani. Mi aspetto qualcosa di diverso da te...
Continuava a osservare qualcosa che si trovava solo nei suoi ricordi, quelli in cui sua nonna era ancora viva. Ricominciò a mordersi le labbra, ma questa volta con più forza, fino a quando quello inferiore non diventò rosso come una ferita.
-Le anime non stanno male là sotto. Sono solo lontane, ma possono raggiungervi attraverso di noi, quindi... Se anche tu la sei, tua nonna sarà felice.
Iniziai a giocherellare con la cerniera della felpa. Ero in una gelateria color confetto, come sarei riuscito a parlare del mio mondo senza essere fuori luogo? Iniziai a guardarmi intorno.
-Che c'è? - mormorò Alice.
-Se qualcuno ci sentisse...
Lei si riscosse dalla posizione rilassata. -Sai cosa penso, Grevey?
-Cosa?
-Che, se tutti gli umani sapessero che esistete, vi starebbero addosso. Vorrebbero sapere se c'entrare qualcosa con i loro cari, se avete qualcosa da dire, se conoscete qualcuno di morto che era importante per loro... Ognuno qui sulla Terra ha perso almeno una persona cara. Anch'io non pensavo che ti avrei mai detto di mia nonna, ma alla fine non sono riuscita a trattenermi. Eri l'unica persona con cui avrebbe avuto senso parlarne.
-Ma io non ti ho detto niente che tu non sapessi già.
Lei scosse la testa e i suoi capelli si scompigliarono appena. Una ciocca le cadde davanti al viso. - Non importa.
Il telefono di Alice iniziò a squillare. Osservò lo schermo. -Oh, è già sera. Sarebbe ora che andassi...
-Ti accompagno.
-Grazie Gravey, ma hai già fatto abbastanza.
Indicò le borse che avevo portato al posto suo tutto il pomeriggio.
-Ma almeno ti sei divertita, oggi pomeriggio?
Si alzò e io la imitai. Avevamo pagato prima, quindi adesso ci dirigemmo verso l'uscita. Lei si voltò verso di me e io non potrei far a meno di cascare nelle sue iridi color nocciola e lasciarmi abbracciare dal loro calore, smarrirmi nel ritmo a cui lei sbatteva le ciglia.
-Certo. Non sei così spaventoso come credevo e... Oggi sei stato gentile.
Sorrisi. Non sapevo cos'altro fare. Il mio respiro si era fermato.
-Grazie, Gravey. - mormorò ancora lei.
-Grazie a te, Alice.
A un tratto mi avvolse con delicatezza e mi accarezzò la schiena con le sue mani, piccole e curate come quelle di una fata: io rimasi paralizzato e arrossii, inebriato dal suo profumo intenso. Forse adesso non provava più così tanto ribrezzo nei miei confronti. Anch'io accarezzai la sua schiena, e mi sembrò di accarezzare il suo cuore.
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