Prefazione
C'è sempre un tempo e un modo quando ti rendi conto che questo spazio nel quale nasciamo, queste quattro mura foderate solo di rimpianti non bastano più.
E molte volte ce ne rendiamo conto tardi.
Quando siamo troppo lontani dalle luci di casa e ormai non c'è nessuna stella nel cielo a guidarci.
Quando questo mondo fa paura e vorremo tanto trovare un posto dove esiste solo un susseguirsi di istanti di mani che si sfiorano e sorrisi che si intrecciano mentre il vento dell'estate soffia sui nostri corpi così liberi. Tanto che ci sembra di muovere le braccia come se potessimo veramente alzarci in volo e dire fanculo a tutto quanto.
E il miracolo più grande è viverlo.
Vedere una vita cambiare, aprire gli occhi in una nuova stanza che ha il sapore dell'infinito, che è piena di quel profumo di dolci baci che cancellano tutte le ferite.
Ferite di chi, come me, è stato un lottatore che subisce, subisce senza mai dare.
Ormai è ridotto all'angolo, ha le ginocchia piegate sul ring, il sangue che pulsa e scorre impetuoso come la voglia di lasciarsi andare e vedere se dopo tutti quei pugni presi esiste un posto dove ricominciare. Ma proprio allora che si avvicina la fine, qualcosa ti spinge a rialzarti prima del tempo. A rimetterti i guantoni, pulirti le ferite, riaprire gli occhi.
Si tratta di istanti, secondi dove capisci che la vita non è lottare per morire, ma lottare per vivere. Per raggiungere quelle luci che ti riportano in piedi quando tocchi terra.
Per essere in questo sterminato casino e non perdersi nemmeno una delle voci, delle storie che ci circondano e ci chiedono solo di essere scoperte.
E più combatti, più ti rendi conto che c'è un senso dietro il respiro che si fa corto e agli occhi che si chiudono.
E il mio senso ha un nome e un volto.
Lei che mi ha insegnato ad amare in un mondo d'odio.
Lei che mi ha recuperato dall'inferno e mi ha fatto sfiorare l'infinita meraviglia di un domani che, per pochi istanti o una vita intera, rende ogni cosa perfetta anche se non lo è.
E a lei io dedico queste parole anche se, come diceva un vecchio amico, "Per quanto significato possiamo dare a quei segni sulla carta, alla fine non resta nulla se non un nome, una frase che ha senso solo se la vivi nelle dolci parentesi di una notte come questa. Quando la musica trema sotto di noi e sopra di noi c'è solo un cielo infinito di stelle e dei loro corsi."
C'è sempre un tempo e un modo quando ti rendi conto che questo spazio nel quale nasciamo, queste quattro mura foderate solo di rimpianti non bastano più.
E molte volte ce ne rendiamo conto tardi.
Quando siamo troppo lontani dalle luci di casa e ormai non c'è nessuna stella nel cielo a guidarci.
Quando questo mondo fa paura e vorremo tanto trovare un posto dove esiste solo un susseguirsi di istanti di mani che si sfiorano e sorrisi che si intrecciano mentre il vento dell'estate soffia sui nostri corpi così liberi. Tanto che ci sembra di muovere le braccia come se potessimo veramente alzarci in volo e dire fanculo a tutto quanto.
E il miracolo più grande è viverlo.
Vedere una vita cambiare, aprire gli occhi in una nuova stanza che ha il sapore dell'infinito, che è piena di quel profumo di dolci baci che cancellano tutte le ferite.
Ferite di chi, come me, è stato un lottatore che subisce, subisce senza mai dare.
Ormai è ridotto all'angolo, ha le ginocchia piegate sul ring, il sangue che pulsa e scorre impetuoso come la voglia di lasciarsi andare e vedere se dopo tutti quei pugni presi esiste un posto dove ricominciare. Ma proprio allora che si avvicina la fine, qualcosa ti spinge a rialzarti prima del tempo. A rimetterti i guantoni, pulirti le ferite, riaprire gli occhi.
Si tratta di istanti, secondi dove capisci che la vita non è lottare per morire, ma lottare per vivere. Per raggiungere quelle luci che ti riportano in piedi quando tocchi terra.
Per essere in questo sterminato casino e non perdersi nemmeno una delle voci, delle storie che ci circondano e ci chiedono solo di essere scoperte.
E più combatti, più ti rendi conto che c'è un senso dietro il respiro che si fa corto e agli occhi che si chiudono.
E il mio senso ha un nome e un volto.
Lei che mi ha insegnato ad amare in un mondo d'odio.
Lei che mi ha recuperato dall'inferno e mi ha fatto sfiorare l'infinita meraviglia di un domani che, per pochi istanti o una vita intera, rende ogni cosa perfetta anche se non lo è.
E a lei io dedico queste parole anche se, come diceva un vecchio amico, "Per quanto significato possiamo dare a quei segni sulla carta, alla fine non resta nulla se non un nome, una frase che ha senso solo se la vivi nelle dolci parentesi di una notte come questa. Quando la musica trema sotto di noi e sopra di noi c'è solo un cielo infinito di stelle e dei loro corsi."
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