La caduta degli angeli

Si dice che gli angeli non possono vincere le fiamme degli inferi.

Prima poi diventano demoni o muoiono lasciando solo fievoli luci che nulla possono contro quell'oscurità rabbiosa e affamata.

Così eravamo noi un tempo.

Angeli caduti sulla terra, nell'inferno perchè potessimo avere un significato.

Per metterci in cammino e trovare un modo di raggiungere il cielo e tornare quindi a essere quelli di un tempo. Puri e splendenti. Fari che bruciano come meravigliose comete in un mondo di ombre.

Ma accade che quando si perde la via, quando ci si ritrova abbandonati e soli ci allontaniamo da quell'immenso azzurro e cerchiamo di incatenarci alla terra, tra bestemmie e insulti, per aver anche solo creduto di poter arrivare alla fine.

E così vivere diventa sopravvivere, amare diventa dipendere, sogno diventa illusione.

"Troviamo risposta nelle cose sbagliate non perchè non sappiamo dove cercarle, ma perchè vogliamo dimenticare dove si trovano." diceva il vecchio Jake, un omaccione africano che accompagnava le mie fredde serate tra lampioni mezzi rotti e marciapiedi sporchi della sofferenza di chi ha smesso di credere. Penso che anche Jake fosse tra di loro, distrutto com'era dalla coca e dalle allucinazioni che la sua mente spezzata continuava a mostrargli. Eppure, in quell'anima derelitta, c'era la coscienza di un credo che il più ricco di tutta Chi, dell'America, del mondo non avrebbe nemmeno potuto avvicinarsi, nemmeno con le sue ville a Miami Beach e una ragazza diversa ogni sera.

E io, che ero solo un disperato figlio di nessuno, un fuggitivo da un passato rinnegato, ne rimasi subito affascinato.

Sapevo davvero dove trovare le mie risposte?

Ad esempio al perché non fossi con quei ragazzi che, ogni sabato sera, vanno da Daniels a ballare per poi, ubriachi di vita e di amore, girare per le strade di Chicago urlando canzoni che si perdono nel vento e sorridendo ai passanti che li vedono sfrecciare quartiere dopo quartiere.

Oppure sul motivo che aveva fatto partorire quella studentessa promettente, rovinata da un amore maledetto con un imbroglione del poker che l'aveva messa incinta in una fugace parentesi d'amore per poi scappare su una Honda per chissà quale buco di questa pazza America che è grande, ma mai abbastanza per contenere quei viaggiatori che sognano un futuro tra le sue terre e poi tornare indietro delusi e impauriti.

Ma quel gran figlio di puttana che mi aveva messo in un mondo troppo duro e ostile per viverci, aveva portato con sé anche il futuro di una ragazza già in viaggio verso cammini lontani da quella luce, da quella cometa a cui aveva voltato le spalle.

E fu così che si trascinò, vivendo per morire, ma troppo codarda per farlo davvero. E mentre io iniziavo a muovermi, a cercare la mia strada, c'erano sempre quelle mura del cazzo a frenarmi. Mura che aspettavano ancora quella famiglia di cui il mio vecchio e mia madre parlavano tanto nelle loro notti di passione e follia, non ci sarebbero mai state.

"La mia casa è tra quel tetto a cui dico sempre addio e quella strada dove le mie gambe mi portano sempre" diceva una vecchia canzone di quelle sere da fuggiasco all'ombra della saggezza cieca e perduta di Jake.

Ma anche se cercavo di convincermi, sapevo che non ero fatto per voltare le spalle a quel muro perciò tornavo sempre lì.

A vedere attraverso quel volto stanco della vita allontanarsi dal finestrino di una Honda scassata mentre si levava ruggente il suo canto di libertà tra la polvere dell'America infinita che potresti girarla per tutta la vita senza mai saziarti delle luci che accendono persino i più sperduti posti oltre al deserto.

Oltre alla paura di quello che sarà quando quella forza che ci incendia le vene finirà e noi saremo in balia della tempesta senza sapere la via del ritorno.

Come mio padre o mio madre.

Come il vecchio Jake.

Come tutti noi che desideriamo il giorno e temiamo il tramonto.

Ma un giorno decisi di mandare tutto a puttane, di accettare di perdermi se questo significava trovare un senso a qualcosa che ancora non sapevo. Quindi sfondai quella dannata tela e lo dipinsi come volevo io. Come immaginavo che sarebbe stata.

Una nuova vita verso un domani eterno e senza confini.

E già mi vedevo, vagabondo che ha negli occhi la luce delle stelle che non si stancano mai di ardere. Neppure quando sono le uniche luci nelle ombre della notte.

Mi sarei spinto per le calde strade del Texas, avrei girato i locali della pazza Los Angeles, sarei salito in cima all'Empire State Building e avrei ascoltato le voci che mai dormono della grande Mela. E se anche lì non avessi trovato quello che cercavo allora sarei andato oltre. Avrei assaporato le notti magiche di Las Vegas, accarezzato il mare mentre il sole cala sul Golden Gate di Fran, lì dove si ferma quell'orizzonte al di là del deserto che brucia i nostri passi.

E mentre viaggiavo nella mia mente assaporando quei momenti che sarebbero stati e immaginando le facce che mi avrebbero accompagnato in questa ricerca della vita, perché dopotutto era di quello che si trattava.

Ecco, mentre il mio sogno mi sussurrava il cammino, il passato si ripresentò e quella strada la lasciai lì. Come un faro da vedere in lontananza, da cercare nei tramonti solitari e nei libri abbandonati di Kerouac e Salinger.

E nel frattempo altre mura si alzavano. Ben più oscure e pericoloso di quelle che mi ero appena lasciato alle spalle.

L'ultima avventura di mia madre, infatti, era stata con un gran figlio di puttana povero, ma potente in quel quartiere dimenticato di Chi.

Lo odiavo e non perchè era l'incarnazione di quanto la vita potesse essere una merda se nasci nel posto sbagliato.

Ma perchè lui mi aveva fatto conoscere il dolore della prima catena che ti lega alla terra e ti impedisce di volare in alto a cercare il tuo paradiso tra quelle nubi grigie.

Quel grande stronzo, quando non era impegnato a vestire i panni di uomo di potere o quelli di padrone violento, si faceva di ogni cosa gli capitasse a tiro. Erba, oppio, acidi, coca, ero.

Qualunque frutto dannato di questa terra giungeva su quel tavolo di mogano crepato da quando, in un litigio, quell'animale aveva impresso la sua rabbia su me e mia madre.

Perché gli angeli, quando rimangono troppo tempo all'inferno, diventano demoni senza più nulla da perdere.

E questa è una verità che non ti insegnano perchpè per capirla devi viverla giorno dopo giorno, muro dopo muro finchè o tenti un'ultima salita o scendi sempre più verso quel baratro che uccide la vita del momento, quella che possiamo vivere tra un sorso di bourbon e un bacio fuggente mentre i nostri corpi si muovono sulle note di una melodia che incendia, per un breve, perfetto attimo, il mondo intero.

Io scelsi la via sbagliata, eppure quella stessa tra curve e deserti, cadute e corse, mi ha fatto arrivare fino qui. Quindi, forse, n'è valsa la pena.

Solo che, all'epoca, non sapevo che il cielo che mi sembrava così immenso e azzurro era solo un'illusione, un prodotto di quella merda che vuole imitare le vita. E sembra riuscirci, ma dentro ti mangia i sogni, le foto già sbiadite di quel viaggio nell'America selvaggia dove avrei trovato le mie risposte.

"Partirò e la smetterò con questo schifo. Cambierà ogni cosa." mi dicevo mentre sorridevo a quegli angeli che scendevano dal cielo per salvarmi mentre l'anima mia si coricava attorno alla tazza del cesso impregnato della cruda realtà su cosa stavo diventando.

"La droga è la voce del diavolo che promette il paradiso." era un'altra delle Grandi Frasi di Jake mentre ci spingevamo per le strade di Little Italy della vecchia Chi.

E io lo sapevo, cazzo se lo sapevo, ma quando tutto va di merda senti davvero il bisogno di qualcosa che ci pompi un po' di quell'esistenza per le strade del mondo alla ricerca di un senso e uno scopo. E, pur di averlo, stringiamo patti con il diavolo che ci incatenano, lentamente, a questa terra che abbiamo maledetto e sputato e su cui ora strisciamo inermi.

Perciò quando ruppi quel muro, era già troppo tardi e bastò un pensiero per rovinare ogni cosa. Per frenare quella corsa e voltare le spalle al traguardo.

Ogni mese la gente dell'uomo di mia madre gli passava l'incasso di quanta di quella merda avevano venduto ad anime che, come me, cercavano di sopravvivere per un giorno fare qualcosa che poi non avremmo mai realizzato perchè il domani ci sembrava troppo lontano e difficile mentre un buco era roba che bastava poco per avere.

Comunque, quei soldi sporchi di esistenze singhiozzate e violentate venivano distribuiti e sapevo dove quel figlio di puttana ne teneva una parte. Mi dissi che era per il viaggio fino a Frisco, perchè non avevo un cazzo e non si poteva partire così, ma sapevo che erano tutte stronzate. Non stavo già più pensando alle caldi notti americane in un pub qualunque a urlare e ridere giusto per il gusto di farlo. La mia mente, malata, divideva ogni banconota per riaprire quella ferita, accettare quella condanna che disprezzavo eppure amavo di un amore paragonabile a quello di mia madre verso quegli schifosi che si susseguivano nel suo letto.

Semplicemente né io né lei potevamo farne a meno.

Perciò, in quella scelta tra essere angelo ed essere demoni, io scesi all'inferno senza possibilità di tornare indietro.

Perché è da quella mano che si allungava sulla borsa piena di contanti e da quella corsa nella notte senza stelle di Chicago che mi portava lontano dal buco nel quale mi ero sempre rintanato.

E ora ero fuori ... ero fuori completamente.


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