Writing tracker? Sì, grazie!
A gennaio 2020, presa da un'illuminazione che ancora fatico a comprendere, ho deciso di iniziare un writing tracker per tentare di dare una maggiore continuità alla mia scrittura. Tenendo conto del fatto che il precedente è stato di certo un anno particolare – diciamocelo fuori dai denti: il lockdown ha permesso involontariamente di guadagnare un'immane quantità di tempo per scrivere che non credo avrei mai avuto in condizioni normali –, arrivata a gennaio 2021 con un totale di circa 330mila parole scritte mi sono chiesta quanto l'utilizzo di tale strumento mi abbia in effetti aiutato.
La risposta? Io credo tanto.
Un writing tracker consiste in una tabella dove, giorno per giorno, si segna il numero di parole o battute stese. Si può fare cartaceo, usare programmi online, segnare un goal giornaliero, definire una media mensile... l'importante, alla fine, è che effettivamente spinga a sedersi davanti al pc e lavorare. Io, forte del fatto che più le cose sono carine, decorate e piene di aggiunte, più mi distraggo, ho deciso di fare diverse cartelle di lavoro Excel con una colonna per indicare i giorni e una le parole, accompagnate da un grafico per vedere l'effettivo andamento; oltretutto, per completezza, a fine mese segnavo anche il totale e la media.
Brutto ma (forse) funzionale, insomma.
All'inizio, ammetto di aver faticato a ingranare. Il grafico di gennaio aveva la forma di un encefalogramma piatto con un'incredibile ripresa finale – dovuta al fatto che dovevo scrivere una one-shot per un contest per il quale ero molto ispirata –, cosa che non mi aveva più di tanto dato la carica. Insomma, se so che non scrivo, vederlo sottolineato non è molto simpatico.
Eppure, superato anche un faticoso febbraio da montagne russe, mi sono piano piano resa conto che l'idea di vedere il grafico piatto mi intristiva. Nonostante gli impegni dati dall'università e la vita privata, avevo in effetti del tempo da poter dedicare alla scrittura, anche solo di una manciata di parole, e quindi ho sfruttato questa convinzione nei mesi successivi, andandomi a ritagliare circa un'oretta giornaliera da sfruttare.
Ho iniziato a tenere un vero e proprio ritmo, facendo mia l'indicazione di Stephen King secondo cui è necessario scrivere ogni giorno, e questo mi ha portato ad accumulare parole su parole e a notare un'accelerata incredibile nei miei progetti – che a inizio 2020 vedevo conclusi minimo nel 2023, viste le mie tempistiche medie da bradipo.
Sotto questo punto di vista, quindi, sono stata fin da subito soddisfatta del mio lavoro, considerando che già a marzo ero riuscita ad arrivare a scrivere in effetti sempre, anche se poco. Eppure, accompagnato al piccolo successo iniziale, è arrivato come prodotto indesiderato una sorta di ansia di scrivere.
Come fare quando non è fisicamente possibile scrivere ogni giorno?
Sarò onesta: all'inizio l'unica risposta che trovavo era "Due righe le devi scrivere comunque". Sì, anche se ciò significa sedersi alla scrivania alle undici di sera e perdere il sonno.
Avevo questa sorta di ansia da prestazione, dettata dal fatto che se tanti altri ci riuscivano, perché non avrei dovuto farcela anch'io?
Inutile a dirsi quanto ciò sia sbagliato sotto tantissimi punti di vista, primo tra tutti il fatto che nessuno di noi è uno scrittore di professione che quindi deve lavorare ogni giorno con le parole, pena il non pubblicare più niente. Sicuramente ispira leggere di Stephen King e le sue cinquanta cartelle al giorno, ma per noi esseri umani che dobbiamo fare anche qualcos'altro – lavorare, studiare e prepararci da mangiare, per dirne tre – rappresenta solo un goal irraggiungibile e anche abbastanza frustrante.
È stato quindi necessario arrivare a patti col fatto che, se un giorno non riuscivo a scrivere per un qualsiasi motivo, andava bene anche così. Questo si è evidenziato in effetti a maggio, quando le restrizioni si sono allentate e ho effettivamente trascorso qualche giorno senza neppure accendere il computer – e per fortuna, visto che la DAD già mi teneva (e tiene) incollata allo schermo per ore!
Mi ha dato fastidio rompere la mia media? Ovvio, ma perché sono una persona precisa e maniacale su certe cose.
Mi ha impedito di scrivere con uguale costanza nei due mesi successivi? No, anzi: ho scritto anche di più, e facendo pure più giorni di pausa.
Ciò è accaduto per due motivi.
Innanzitutto, il fatto che ho imparato a riconoscere quando non scrivevo per pura pigrizia e quando, invece, c'erano delle cause effettive per cui non riuscivo fisicamente a ritagliarmi del tempo – sempre a meno di perdere il sonno o non pranzare. Chiaro che, nel primo caso, a quel punto scattava di nuovo la mia mania da "Ma che brutto il grafico coi buchi" che mi portava a sedermi e concentrarmi, mentre nel secondo l'accettazione mi permetteva di staccare del tutto dai miei progetti e ripartire con più carica appena ne avevo di nuovo la possibilità.
E quest'ultimo, in effetti, è il secondo motivo. È normale e umano avere la necessità di staccare di tanto in tanto e ciò fa bene, come si può vedere in tanti altri ambiti – altrimenti, a cosa servirebbero le ferie o i finesettimana?
Capiti questi due aspetti, quindi, la seconda metà dell'anno sono riuscita in effetti a viverla in maniera molto più flessibile. Ad agosto non ho scritto quasi niente e non mi sono sentita in colpa, nonostante qualche volta mi sia detta che sarebbe stato più intelligente prendermi del tempo per riaccumulare parole; ho preferito respirare, approfittare della momentanea libertà da no coviddi e mettere a tacere la vocina fastidiosa che mi diceva che, a settembre, non sarei mai riuscita a riprendere con la giusta carica. La ripartenza in effetti non è stata immediata – sarebbe ipocrita dire il contrario –, ma sono riuscita a prenderla con la giusta voglia di fare e portare avanti ciò che avevo in ballo, tanto che alla fine, durante novembre, sono arrivata a scrivere quasi cinquantamila parole.
Detto tutto ciò, non credo che il writing tracker sia utile come strumento in sé, ma più come stimolo mentale per acquistare la giusta regolarità nello scrivere.
Diciamocelo: avere il numero di parole scritte sottomano può essere soddisfacente, ma di per sé non è una cosa di cui ce ne si faccia molto – a parte tanti simpatici grafici, ma dovete avere come me il fetish per questi. Vedere, però, quanto si è riusciti a fare e quanto, quindi, si potrà dare il giorno, la settimana o il mese successivo diventa qualcosa di stimolate e crea anche una sorta di tranquillità mentale nel momento in cui ci si approccia a scrivere. Sapere che puoi stare un mese ferma, ma riuscire comunque ad accumulare molte cartelle quello dopo, è stato quasi il Nirvana per la mia mente intrappolata nell'ansia da performance.
Alla fin fine, però, l'importante è ricordarsi di avvicinarsi alla tastiera con l'idea che si sta facendo qualcosa che si ama, altrimenti qualsiasi trucco o stimolo diventerà solo un peso.
Voi avete mai provato a usare i writing tracker, o siete terrorizzati dall'ansia da caselle vuote?
Pensate che possa essere utile?
E, domanda delle domande: piacciono un sacco anche a voi i grafici, o devo ritirarmi nella mia tana in solitaria?
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