Boris: così, de botto, con o senza senso?


«E non mi dite che con questa storia della qualità, qui nun se fanno più le cose a cazzo di cane!»

Grazie all'aggiunta della serie su Netflix, il mondo del web ha scoperto René Ferretti, protagonista di Boris. Ma cos'è, chi è, di cosa parla Boris?

Boris è una serie tv italiana prodotta dal 2007 al 2010. Inizialmente sottotitolata "La fuori serie italiana", porta in scena, in maniera caricaturale, il dietro le quinte di un set televisivo nel quale si sta girando la fiction "Gli occhi del cuore 2" (del quale vi invito ad ascoltare la sigla, un lavoro meraviglioso di Elio e le storie tese).

Racconta la storia di Alessandro, un ragazzo appassionato di cinema e spettacolo che sembra coronare il suo sogno quando riesce a entrare, come semplice stagista, nella produzione della fiction; di uno scalmanatissimo René Ferretti, regista che da tempo sembra avere perso la vena artistica per ridursi a girare prodotti televisivi di infimo livello, girati «a cazzo di cane». Ci sono poi Stanis, il protagonista della fiction, un attore mediocre e vanitoso che tuttavia si atteggia a divo hollywoodiano; Corinna, la protagonista femminile, chiamata la «cagna maledetta» poiché priva di qualsivoglia talento recitativo e che ha ottenuto la parte soltanto grazie al suo amante; il Dottor Cane, il potente capo della rete televisiva e, infine, Arianna, l'assistente alla regia, la persona che cerca di risolvere tutti i conflitti che si creano sul set, ed è forse l'unica persona davvero assennata presente nel cast della fiction.

Animano il set anche lo scontroso capo elettricista Biascica, il direttore della fotografia Duccio, la segretaria di edizione Itala e la truccatrice Gloria.

«Mi sembra che l'unico tra noi due che sta facendo uno sforzo per evitare che io ti meni sono sempre io, la stessa persona che poi, prima o poi, ti menerà.»

Boris è un progetto all'insegna dell'irriverenza e dell'innovazione, una sorta di etichetta/verità, parodia/denuncia di quello che accade nei dietro le quinte delle fiction nostrane, e lo fa con un linguaggio disinvolto e scene esplicite.

Proviamo a contestualizzare. Ci troviamo sul set de Gli occhi del cuore 2, una soap opera, la cui prima serie era stata interrotta a causa degli ascolti troppo bassi. Nonostante questo, la produzione decide di investire in una seconda stagione con ambientazione ospedaliera (set preferito per quasi tutte le fiction italiane) che vede come protagonisti due giovani attori non molto talentuosi ma ben ammanicati con la rete (Stanis e la cagna maledetta). A loro si aggiungono un direttore della fotografia cocainomane e un regista stressato e un po' isterico.

Il Boris del titolo non è altro che il pesce rosso portafortuna sempre presente sul set, il classico animale domestico che, nonostante le premure per preservarne la longevità, è destinato ad avere una vita breve, monotona e ripetitiva.

Quello che diversifica questa nuova fuori-serie dalle normali sitcom italiane è il carattere politicamente scorretto: non siamo all'insegna del buonismo, anzi! Per la prima volta si dimostra come solo chi si sa vendere e sa scendere a compromessi riesce a farsi strada. Avrei voluto aggiungere "nell'ambiente televisivo" alla frase, ma la verità è che il concetto, applicato nella serie al mondo delle fiction, è ben più esteso: dalle fiction alla pubblicità, dalla scrittura a tutti i lavori creativi, René Ferretti ci insegna senza mezze misure che "a noi la qualità c'ha rotto er cazzo! Viva la merda!".

La serie sfida il conformismo, lo squallore e la mancanza di coraggio della televisione italiana, che produce prevalentemente fiction su mafia, morti, santi e forze dell'ordine, troppo bacchettona e mai coraggiosa, mai al passo coi tempi, mai capace di sottoporre dubbi e dilemmi morali che non siano quelli dei benpensanti.

«Ricorda, in Italia vale la regola delle tre "G": la Giusta telefonata, al Giusto momento, alla Giusta persona!»

Ed è proprio per questo che ci piace Boris e che ci identifichiamo così tanto con dei personaggi di fantasia che, però, sono uguali a noi: troppo italiani con quella mentalità un po' a cazzo di cane dove si intuisce che parlar male degli altri e del piatto su cui comunque si sta mangiando è sempre meglio che mettersi in discussione.

In ogni caso, tolti gli inserti umoristici e gli sketch per alleggerire la tensione, la serie ci offre un'analisi dei propri limiti, di quanto spesso i fondi siano scarsi per poter seguire per bene un progetto e di quanto convenga arrangiarsi piuttosto che sforzarsi di fare le cose di qualità.

A tutto questo, si affianca la piaga sociale del "cugino che usa Photoshop gratis", del "lo scrivo io, tanto cosa ci vuole" e così via, dando vita ad un loop infinito di errori grammaticali e di mediocrità da cui è molto difficile uscire.

E se, da un lato, c'è chi ancora crede di poter fare qualcosa di bello (come lo stagista sognatore Alessandro), dall'altro c'è chi ha ormai perso tutte le speranze di fare qualcosa di bello e sensato, che si è arreso alla melma nella quale si galleggia, che si è adattato pur di sopravvivere e portare a casa uno stipendio anche se questo vuol dire realizzare dei progetti mediocri. Uno che, insomma, Smarmella e Apre tutto.

«Che poi a me non piace picchiarti, a me non mi piace. La benzina, dare fuoco, le botte, le schegge d'osso che vagano... non mi piacc... all'inizio sì, all'inizio sì... il fuoco, l'esperienza del fuoco, vabbè, io te la consiglio.»

La domanda, quindi, è: perché ci piace tanto Boris?

È davvero soltanto per l'irriverenza, per il sarcasmo, per il politicamente scorretto o c'è qualcosa in più?

E, soprattutto, c'è davvero qualcosa in più?

Questo non saprei dirlo, ma se oggi siamo qui a parlarne è perché ci sembra sempre di essere tutti dei piccoli Boris. E quindi...

«Vai... vai dove è andato anche il ragazzo.»

NemsisEfp


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