1.2
Capitolo 2
Ottobre 2020
Occhi fermi e persi nel cielo ruvido della stanza, seduta su di un letto morbido e sfatto, osservi la tela bianca su cui dipingi una via di fuga, mentre avverti sulla nuca lo sguardo del demonio. Sai ch'è lì, ma che non vi è mai entrato. Sai anche ch'è stata l'ipnosi poiché prima di oggi non eri mai riuscita ad avvertire la sua presenza per quanto ci provassi. "Devi mangiare qualcosa." la voce del coinquilino non riesce a distrarti sebbene ti rassicuri, non sposta la tua attenzione dalla minaccia di cui solo tu sei a conoscenza. Non se ne rende nemmeno conto, non sa a che morte lenta tu stia partecipando, a qual tipo d'attesa ti divori o a chi tu abbia lasciato accesso al tuo corpo. Matthew prende posto al tuo fianco, si siede composto, guardando la stessa tela nella speranza di veder ciò che riesce a ipnotizzare te. Ma è chiaro non possa farlo, non potrebbe mai e questo in fin dei conti è un bene poiché, per quanta consapevolezza tu possa avere dell'affetto nei tuoi riguardi, tremi all'idea che possa scappare dalle tue visioni.
"McCabe mi ha chiamato. Dice che hai chiesto di riprovare l'ipnosi, che hai visto Gonshiro. Intendo... visto. In mezzo alla strada." sta per farmi la paternale, pensi tu e alzeresti gli occhi al cielo, ma sei esausta, troppo esausta anche solo per muover le pupille. "Ho saputo anche com'è finito il primo tentativo. Non so perché tu non me l'abbia detto e non mi interessa. Solo..." Quel rivolo di sangue che dalla narice tracciò una riga fino al labbro, per te era solo stata la testimonianza di quanto Gonshiro fosse potente anche sepolto tre metri sottoterra. Nessuno può comprender a pieno quella contrastante sensazione che provi nel rivederlo, nel sentirlo tanto vicino a te e alle tue fragilità. "Vuoi parlarne?" no, non vuoi, ma apprezzi la mano tesa dell'amico, apprezzi la sua testarda voglia di correrti in soccorso. Cos'è che vuol sapere? In che modo quell'incubo ti segue in strada quando te ne vai in giro? Come ogni tecnica di controllo che avevi imparato diventasse inutile dinanzi a lui?
"Josh dov'è?" cambiare argomento è l'unica arma che puoi utilizzare, incapace di proseguire quella conversazione e tornando a puntare le iridi sulla parete.
"Se non lo sai tu, di certo non lo so io." Risponde scuotendo la testa con aria affranta. Non è che non si aspettasse quel tuo tentativo di sviare la conversazione, ti conosce, ma il fatto che sia realmente successo lo turba.
"Ho bisogno di lui." un'esigenza che fa sospirare Matthew, che riesce a irritarlo più di quanto immaginassi. Sa quanto sia vera la frase che hai appena pronunciato, non è una novità, ma stavolta avverti una rabbia repressa, forse frustrazione, nel tuo coinquilino. Matthew aggiusta il ciuffo moro con la mano destra e si alza dal materasso, prendendo le distanze. Sempre pronto ad aiutarti, capace di sfidare intemperie pur di vederti felice, rivela quello come suo punto debole. Ma tu non sai, non conosci il reale motivo di tale reazione e neppur ti fai domande, perché in fin dei conti sai quanto sia sconveniente approfondire quell'argomento.
"Be', dovrai accontentarti di me. Posso cucinare qualcosa di buono. Che ne dici?"
"Non voglio mangiare, voglio il mio amico."
"Ha il telefono staccato, V. Non andrò a cercarlo per te."
"No?" gli occhi azzurri abbandonano il vincolo con la parete della camera, lasciando che lo sguardo scivoli sulle tue stesse mani, giunte tra loro sulla stropicciata gonna dell'abito autunnale. Una recita, forse, poiché abituata ad esser viziata da lui, affinché ogni tuo capriccio venga soddisfatto. Ma quel che ricevi in risposta, oggi, è una tesa titubanza di lunga durata seguita da due lettere che tu non ti saresti aspettata di sentire. "No."
Un oltraggio, uno scandaloso diniego che ti indigna e ti fa lanciare uno sguardo di fuoco all'uomo che ora è al sicuro di fianco alla porta semiaperta della stanza. Con che faccia tosta ti sta guardando, consapevole della pericolosità della sua negazione e d'un tratto divenuto un fiero pavone. "Devi trovarlo! E se fosse in pericolo?"
"E se fosse in dolce compagnia? Ci hai mai pensato? Se avesse trovato una donna?" una domanda che ti spiazza, un contrattacco che ti colpisce in pieno stomaco. Per qualche istante ci rifletti davvero, avvertendo quella morsa di gelosia tipica del vostro malato rapporto, ma la sola idea ti disgusta. Il tuo orgoglio fa harakiri, mascherando quel suicidio con un'amara risata.
"Josh? Il mio Josh? Impossibile."
"Esce spesso ultimamente, lo hai notato anche tu." Esce spesso, sì. Negli orari dei pasti, tra l'altro, o in piena mattina, quando lui dovrebbe dormire. E se stavolta Matt avesse ragione? Se si fosse trovato una buona compagnia? È così difficile anche solo immaginarlo. "Non fare la bambina e vieni a mangiare." Conclude il coinquilino spalancando la porta e invitandoti ad alzarti da quella sedentaria posizione. Tua figlia ti aspetta di là. Il motivo più valido per cui dargliela vinta.
Il sapore del salmone esplode sulle papille gustative di Joshua, ma il volto rimane privo d'espressione. Non avrebbe mai dato a Sakamoto alcun segno di cedimento alla sua cultura, sebbene la sua sola presenza la dica lunga sulla sua opinione. Il reale motivo di quel pranzo assieme al giapponese è l'affetto che prova nei tuoi confronti. E, nonostante tu non sia al corrente di questi incontri, Josh è certo che il segreto sia necessario al raggiungimento di un lieto fine.
"So che fatica a crederci, ma Sōsuke è molto legato a Vasilisa e farebbe di tutto per proteggerla. Ci metterei la mano sul fuoco."
Non è che Joshua fatichi a crederci perché scettico in principio, ma perché sa dei sotterfugi da lui già utilizzati e della sua incredibile somiglianza con lo zio Gonshiro, del sangue che scorre nelle sue vene e dell'ossessione che prova nei tuoi confronti. Non si fida di chi possiede ossessioni, non s'è mai fidato, soprattutto se esse hanno a che vedere con te.
"Ha mentito sul motivo del suo arrivo a New York." Risponde il giovane, armato della sua classica apatia.
"E cosa disse?" domanda divertito l'uomo di mezza età dinanzi a lui. "Se la memoria non m'inganna, Sōsukele disse di esser giunto in America per lei, per aiutarla a trovare l'assassino di Gonshiro e per far riabilitare la sua figura dinanzi ai membri della Yakuza. Così è stato fatto, il patto è onorato."
"Sapeva già chi fosse l'assassino."
"Un piccolo irrilevante dettaglio."
"Non per noi. Noi non lavoriamo in questo modo."
"Non avete segreti? Vasilisa sa dei nostri incontri, dunque?"
Non c'è molto da dire. Sakamoto non ha torto, la sua obiezione è valida e Joshua riflette su di essa mostrando per la prima volta sulla sua fronte l'evidente segnale della vergogna e del fastidio. A differenza dei suoi occhi ancora fissi sul viso del suo interlocutore, quelli di Sakamoto sembrano ben più attratti dal cibo che riposa sul piatto in attesa d'esser mangiato. Le bacchette accompagnano gli spaghetti del ramen alla bocca, dimostrando ora più calma di quanta ne avesse avuta Josh fino a quella domanda. Che gran sgambetto, pensa tra sé e sé, indignato e adirato con sé stesso per essersi avvicinato a lui. Per quanto tu avessi ripetuto a più riprese di aver buoni ricordi solo di lui in tutto il Giappone, Josh sembra diffidar di quell'uomo quando cede a certe infami repliche. Eppur scalfito nell'orgoglio, al ragazzo è sufficiente che Sakamoto rinfreschi la memoria con delle lusinghe per farlo tornare placido.
"Mi lasci dire ch'io ammiro molto la sua vicinanza a Vasilisa. Il fatto che lei desideri che torni in sé e che sia felice come un tempo, mi rasserena." Lo fa davvero, pensa Josh, perché sa quanto sia conveniente per un uomo di potere come lui che, la persona di cui più ti fidi in questo mondo, approvi il vecchio stile di vita che avevi nella tua permanenza a Tokyo. "Finalmente ha qualcuno di degno al suo fianco, qualcuno che l'ama per ciò che è. E per amare la vera essenza della kitsune, bisogna avere un cuore speciale. Sono rari gli uomini come lei, mi creda."
Gli crede. Quanti ne ha visti coi suoi occhi, quante mezze calzette pensavano di poterla aver vinta con te e su quanti di loro Josh ti aveva avvertita. "Arriviamo al nocciolo della questione. Sono stanco di mangiar sushi e aspettare il momento giusto. Cosa devo fare?"
"Mangiare sushi e aspettare il momento giusto." Ripete scaldando di nuovo l'animo di Josh ma, abile a calibrare la sua ira, tiene per sé l'odio e il disgusto che il suo volto vorrebbe far trasparire. Anche mentre pone la sua domanda.
"E quale sarebbe il momento giusto? Lo attendiamo da un mese ormai."
"Ora capisco perché lei e Vasilisa siete tanto uniti. Somigliate molto, entrambi impazienti e cocciuti. Le dirò quel che dissi a Vasilisa più di dieci anni fa e mi auguro che lei sia più saggio nel tener conto del mio consiglio." Così dicendo riporta i suoi occhi neri in quelli di Josh, due buchi cosmici attorno ai quali gravita l'universo. Josh avverte a pieno cosa intendessi tu quando parlavi di influenza negativa, di legame indissolubile. Gli ha dato un dito e ora Sakamoto si sta divorando un braccio intero. "La fretta rende vulnerabili. Vasilisa ha sempre avuto un bersaglio sul petto, perché incapace di attendere quel fatidico momento. Ma lei, Fitzgerald... non se lo può permettere se vuol far da scudo alla sua amica. Starle accanto vuol dire anche questo. E se desidera seguirla, dovrà esserne cosciente."
"Altrimenti?"
Altrimenti? Non è difficile immaginare la frase che avrebbe seguito tale provocazione, anche se ci mette un po' ad arrivare. "Altrimenti, una freccia la trafiggerà in pieno petto e a quel punto la mia simpatia per lei diventerà vana. Non lasci che ciò accada."
L'ultima volta che hai visto Nana era al sicuro tra le forti e protettive braccia di Matthew. Che ormai lui sia visto dalla bambina come il padre biologico è evidente dal modo in cui lo cerca e dalla calma che segue la sola vista del suo viso spigoloso. Matt e Nana, in fondo, sono una bella coppia seppur improbabile. Si sono piaciuti dal primo istante, quando finalmente hai dato il consenso al tuo amico di toccare l'essere umano a te più caro in questo mondo. E pensavi non gli pesasse star lontano da una "sparamoccico", come li chiama lui. Ma con Nana l'intesa è stata così rapida da convincerti persino che lui non desiderasse altro che prendersene cura.
Con lui, nell'isolata abitazione, sai che Nana sta alla grande e che per qualche minuto puoi allontanarti da pianti e pannolini, dedicandoti agli affari. Certo, non senza un piccolo pit-stop alla pasticceria. Sulla 23 commerce street calchi i tuoi passi con una spensieratezza tipica del tuo carattere infantile, quasi danzi fino alla vetrina, attirando occhiate e chiacchiere di chi ti passa accanto. Dinanzi a quel muro di vetro, punti occhi ed acquolina in direzione della torta al cioccolato esposta con tanto di decorazione floreale, incollandoti con mano e fronte come un orso che assiste ad uno strabordante barattolo di miele. Dolce, fresca, carica di zuccheri... una gocciolina di bava fa capolino dall'angolo delle labbra, mentre una cassiera all'interno del negozio trasforma in pochi secondi la perplessità in ilarità, ridendo della tua incontenibile fame. La vedi, solo dopo aver studiato ogni dettaglio di quell'opera d'arte: porge una busta di carta ad un cliente e con l'altra mano, imitando una piccola conca, ritira i pochi dollari da mettere in cassa. Lei ti saluta e ti fa cenno di entrare per comprare la torta tanto ammirata, ma appena più in là il cliente attira la tua attenzione. Le tue iridi scivolano lungo la manica della giacca elegante, percorrendo una delle righe bianche e fini che si tendono tra le cuciture. Risalgono la spalla, oltrepassano il confine bianco del colletto nascosto della camicia, facendosi sempre più invadenti, fino a quando non incontrano le iridi del cliente. Ti è sufficiente vederlo sorridere per mettere in dubbio la tua sanità mentale. Lo vedi di nuovo, ma stavolta è più reale di quella precedente. A mano a mano che si fa spazio nella tua quotidianità, ti convinci che sia reale o, quantomeno, diverso dalle altre allucinazioni. Gonshiro ti vede, si sta facendo beffe di te sollevando la mano per muovere le dita in un saluto. E tu impallidisci alla sola idea di esser stata in qualche modo la responsabile della sua presenza.
Quella strada non è mai stata così silenziosa, per un secondo solo ti convinci di esser preda di un sogno e osservi confusa e affascinata la vetrina che si allontana in modo innaturale, distorcendosi assieme a tutto ciò che ti circonda. Le orecchie tappate da due colonne d'acqua che premono contro i timpani e poi arriva anche lui: il dolore. Crolli come un castello di carte sul tuo stesso posto, basta una folata di vento leggera. E il fato non sembra nemmeno esserti amico poiché, sebbene tu abbia perso coscienza sul posto, la tua nuca finisce col batter sul solido marciapiede. Ora sai ch'eri sveglia, ma lo capisci quando è troppo tardi e il buio ti avvolge con violenza facendoti piombare in un sonno profondo.
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