Sei come tua madre

Il sole era sorto da un po', i raggi oltrepassavano le fessure della porta semichiusa del terrazzino, fino a scontrarsi sulle palpebre di Susanna. Dopo uno sbadiglio e alcuni movimenti con le braccia per stirarle, la donna si strofinò gli occhi più volte con le dita, fino ad aprirli leggermente. Sentì uno strano rumore provenire da dietro la sua schiena. Si voltò e vide lì Denim. Aggrottò le sopracciglia, era convinta che l'uomo, dopo quel sesso estremo e la sua strana confessione, avesse lasciato la casa per tornare dalla moglie. Invece era ancora disteso accanto a lei con il suo corpo perfetto e tutta la bellezza che il suo volto esprimeva in quei dolci lineamenti. Mettendosi supina portò i suoi palmi sul viso e pensò: Che cazzo ho fatto?!

Era immersa così tanto nei suoi pensieri che, appena suonarono il campanello, si alzò e andò ad aprì senza riflettere.

«Ma che ci fai ancora in vestaglia? Oggi torna tuo padre, ricordi? Volevi andarlo a prendere in aeroporto per potergli parlare, o no?» esordì Liana mentre entrava in casa. «Meno male che sono venuta. Vatti a vestire che preparo il caffè!» concluse mentre inseriva la polvere nera nella moka.

Liana portò le sue iridi sull'orologio. In effetti era davvero tardi. Non aveva grande desiderio di rivedere Arturo, ma doveva assolutamente parlargli e capire come mai le avesse mentito spudoratamente.

Il vociare e i rumori in cucina svegliarono Denim, il quale si alzò dal letto con fare veloce e si vestì. Oltrepassò la porta della cucina, mentre ancora si strofinava gli occhi. «Buongiorno, Liana» biascicò.

La bionda si voltò di scatto e, appena vide l'uomo, sgranò gli occhi, sconcertata. Gli fece un sorrisino forzato, osservò un'ultima volta la caffettiera sul fuoco, sospirò, le mani si chiusero in pugni tremanti, la rabbia l'assalì. Lasciò la cucina e si diresse in bagno, dove l'amica si stava vestendo. Aprì senza bussare e richiuse la porta dietro le spalle.

«Chi ci fa ccà?» (*) chiese con tono duro, cercando di bisbigliare per non farsi sentire da lui.

«Non fare così, voleva solo parlarmi...» sussurrò Susanna.

«Ma che ti sei messa in testa? Vuoi fare come tua madre? Io non ti riconosco più. Non sei più la persona rispettosa e con grandi principi che conoscevo!» affermò con le lacrime agli occhi.

«Senti, io capisco che la storia di Luca ti ha fatto del male, ma ora stai esagerando nei miei confronti. Sono abbastanza adulta da prendere le mie decisioni. E poi... te l'ho già detto, voleva solo parlare!» farfugliò Susanna.

Liana annuì ironicamente, arricciò le labbra. «E ci hai parlato?» chiese, perpetuando il suo tono ironico.

Susanna abbassò lo sguardo. Imbarazzata e incapace di capire il suo stesso stato d'animo di quel momento. Non rispose.

Liana annuì ancora, più volte, accompagnando il gesto di stizza con le labbra, in una risata sarcastica. «Io me ne torno a casa, fatti accompagnare da lui all'aeroporto a prendere Arturo e la sua famiglia. Perché non gli presenti il tuo ragazzo? Magari pranzate pure insieme! Potete giocare alla famiglia felice! Ti raccomando però, porta anche quell'anima innocente di sua figlia e la moglie con voi!» disse, alzando la voce.
Uscì con furia dal bagno, si diresse verso l'uscita senza nemmeno rivolgere lo sguardo a Denim e sbatté dietro di sé la porta.

«Va tutto bene?» domandò Denim, raggiungendola in bagno.

Susanna lo osservò da testa a piedi. Sì sarebbe catapultata di nuovo addosso a lui se avesse potuto, adorava il suo corpo, amava la sua voce... ma finalmente il buon senso tornò a prevalere.

«Come si chiama tua figlia?» chiese teneramente.

Denim rimase a bocca aperta, non si aspettava quella domanda e tardò qualche istante a rispondere. «Bella. Si chiama Bella» sussurrò, abbassando lo sguardo.

Susanna annuì. «Corri da Bella, Denim... Ti prego, non cercarmi più» disse con le lacrime agli occhi.

«No, aspetta, io non sono sposato... sì, lo sono, ma...»

Susanna portò il dito sulla bocca di lui, fermò le sue parole in un lampo. «Fa' come ti ho detto, ti prego» insistette.

L'uomo, con l'espressione del viso arresa,  annuì e si allontanò, percorrendo quella stessa via di Liana... La via dell'addio.

Susanna stava per lasciarsi andare a un pianto che le avrebbe permesso di sfogarsi, ma l'odore di bruciato la destò da quei pensieri dolorosi e dal forte senso di colpa.

«Cazzo, il caffè!» urlò mentre correva verso la cucina.
Il manico della moka, fatto di un materiale gommoso, si sciolse, colando sulle piccole fiammelle che fuoriuscivano dalla piastrella, creando quel filo di fumo che si diramava verso l'aspiratore. Quel forte odore di bruciato si espanse in tutta la cucina.
Susanna aprì le porte maledicendosi per la disattenzione. Quando posò il suo sguardo sul diario della madre ricordò che doveva andare a prendere Arturo.
Ma ancora una volta la sensazione di desiderare silenzio e di non voler parlare di ciò che stava accadendo prese il sopravvento.
Afferrò il cellulare e gli scrisse un messaggio.

"Papà..."

Stava per continuare, quando notò che quell'appellativo, che da sempre aveva usato, le risvegliava un magone nello stomaco.

Cancellò quella parola e iniziò di nuovo a scrivere il messaggio a quell'uomo che aveva tanto amato, ma con cui, in quel  momento, non sentiva più alcun legame.

"Ciao, so che avevo promesso di venirvi a prendere nel mio ultimo messaggio, ma sto lavorando e non posso venire. Ci sentiamo in questi giorni!"

Spense poi il telefono per non essere disturbata. Aveva voglia di stare con se stessa e con i suoi pensieri. Era stanca, Susanna, troppo stanca dentro. La solitudine non la spaventava in quel momento, ma avrebbe tanto voluto che sua madre fosse lì, pronta ad abbracciarla, a cantarle la sua nenia, a consolarla come solo lei sapeva fare. Ma lei non c'era, mancava già da un po' e sarebbe stata assente per tutto il resto della vita di Susanna.

C'era solo un modo per sentirla vicina. Solo uno.

Le sue iridi si fermarono a osservare quel diario.







*Chi ci fa ccà? --> Che ci fa qui, lui?

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