La moglie di Denim


«...Ecco perché Lorena mi odia! Era più grande e ricorderà tutto molto meglio di me. Eppure nel '96 avevo già dieci anni, avrei dovuto avere un'immagine chiara anche io...» disse Susanna, mentre passava le mani sul viso madido di lacrime.

«Credo che il cervello sia come un filo di capello. Magari il tuo ha voluto cancellare una parte dei ricordi perché troppo dolorosi... mi spiace, non deve essere facile per te. Sono sicuro che Lorena non ti odia, dalle solo un po' di tempo» rispose, mentre prendeva l'uscita per Mazara del Vallo.

«Quindi Leo e Rossella si separarono e Lorena smise di parlare col padre.»

«Sì, per moltissimi anni. Finché Lorena conobbe me, ci sposamno e rimase incinta. Leo mi cercò. Voleva conoscermi per capire se potevo essere un bravo marito per sua figlia.»

Susanna sorrise dolcemente.

«Voleva solo presentarsi a me, ma iniziammo a chiacchierare sempre più spesso, quando veniva a Catania, e legammo. Quell'uomo aveva un gran cuore. Rinunciò a tua...»

«Già... A mia madre!»

«Sì a lei. Ma solo per riconquistare la fiducia di Lorena. Ci provò per anni!»

«Perché non tornò a Catania?» chiese Susanna curiosa.

«Non lo so, la storia con tua madre finì allora, non so dunque perché non lasciò mai Mazara.»

I due smisero di parlare. Arrivarono finalmente in caserma. Corsero dentro e cercarono subito il maresciallo.

«Sia la signora Gaspare che la figlia Lorena sono qui. Separate. Ognuna è in una stanza diversa ma nessuno delle due dice niente. Ho interrogato personalmente la signora Rossella, per ore, non ha aperto bocca!» spiegò ai due appena arrivati.

«Maledizione!» esclamò stanca Susanna.

«Fatemi parlare con mia moglie. Le racconterò ogni cosa, magari così...» stava spiegando Alessandro.

L'ispettore lo interruppe: «Ottima idea! Dille tutto, falle capire chi è sua madre, dalle questo» concluse porgendogli il peluche.

Appena un giovane carabiniere venne chiamato per portare Alessandro dalla moglie e i due rimasero soli, la donna consigliò al maresciallo di aspettare che Alessandro parlasse con Lorena e di mettere a confronto subito dopo la madre con la figlia.

«Ci avevo già pensato, come sempre un ottimo lavoro!»

«Mi tenga aggiornata, Maresciallo, torno a casa per rinfrescarmi un po'.»

«La faccio accompagnare da due dei miei, ne avrà di bisogno per entrare in casa, attualmente è circondata da giornalisti.»

La donna sospirò infastidita. La stampa stava esagerando, ma non poteva fare nulla. Annuì e accettò.

«Resteranno avanti casa sua tutto il tempo necessario, se deve uscire verrà scortata da loro.» Bastò un cenno con la mano per far avvicinare i due carabinieri al maresciallo.

Comandò loro di non lasciare mai l'ispettore. A Susanna srmbrò un po' esagerato, ma capì presto che lui aveva ragione.

In effetti non fu così semplice rientrare. La storia degli Amanti di Mazara era diventata una sorta di ossessione comune. Tutta Italia stava col fiato sospeso per le sorti della piccola Susanna, e non solo, persino i personaggi secondari a tutta quella storia erano seguiti dai media. Nessuno escluso. La stampa era l'unico mezzo per tutto il Paese di scoprire sempre più cose. Tutte le reti televisive non parlavano d'altro, ogni programma che utilizzava l'argomento faceva picchi di ascolto esorbitanti. A farne la pelle, però, non furono solo i protagonisti della storia, ma gli stessi giornalisti, che a furia di scovare lo scoop, stavano ore e ore sotto il sole appostati in qualunque luogo possibile e immaginabile, in condizioni estreme.

«Liana!» esclamò Susanna appena entrò in casa.

L'amica era visivamente provata, stanca e ancora in lacrime. Stava seduta dietro il tavolinetto con i fogli in mano. «Ho sbagliato tutto, ti chiedo perdono, la vera vittima in tutta questa storia è proprio tua madre. Sono un mostro!» urlò gettandosi addosso Susanna. L'abbracciò forte.

La bruna ricambiò l'abbraccio e le diede un bacio sulla guancia. «Hai almeno dormito un po'?»

L'altra scosse la testa. «Fai una doccia, poi vieni, ci sono cose che è meglio tu legga...» sussurrò addolorata.

Susanna annuì, sospirò. «Credo che una doccia serva anche a te!» esclamò sorridendo.
Liana si asciugò le lacrime, annusò l'ascella, chinando il viso, e rise, mentre ancora strizzava gli occhi.

Susanna si fece nuovamente seria e si diresse verso il bagno per rinfrescarsi.

«Aspetta. Devo dirti una cosa, riguarda Denim...»

«Poi ne parliamo, adesso ho cose più importanti a cui pensare.»

Susanna stava per chiudere la porta del bagno, dopo averla varcata.

«Sua moglie è morta in ospedale... poco fa!»

L'ispettore rimase all'interno della piccola stanza. Portò la sua mano sulla bocca, provò un grande dispiacere per quella donna dal grande cuore, e per la piccola Bella. Sapeva perfettamente cosa significava restare senza mamma, per lei sarebbe stato ancora più faticoso vivere una vita senza la sua, perché ancora piccola e indifesa. Non disse neanche una parola, chiuse la porta e si denudò per fare una doccia.

Le gocce dell'acqua si miscelarono alle lacrime.

Liana prese tra le mani la fotocopia in cui si vedeva la parte strappata. Passò un dito come ad accarezzarla. Prese un profondo respiro e lo rigettò.

Spostò di poco la mano e strisciò un'altra pagina verso di sé.

Non possiamo fare altro che vivere separati. Lo facciamo già da mesi. Da quel maledetto giorno. Leo mi ha cercata tramite Pina. Quella donna è meravigliosa, farebbe di tutto per noi due. È venuta fino a Catania, ci siamo viste in un bar della zona del Porto. Mi ha consegnato un piccolo pacco regalo. L'ho scartato e ho pianto appena ho visto quel bellissimo ciondolo d'oro: tre chiavi concatenate. Vi era un piccolissimo bigliettino dentro con una frase che lui stesso aveva scritto: una chiave per la mia mente, una chiave per la mia anima e una chiave per il mio corpo. Non c'era altro scritto, solo quelle bellissime e toccanti parole. A voler dire che solo io l'avrei posseduto interamente per sempre, che lui mi apparteneva... e che io ero sua.

Liana ricordò della medaglietta che Aurora aveva regalato a Susanna poco prima di morire, tre chiavi incastonate al centro. Si diresse in camera da letto e aprì il portagioie dell'amica. Il ciondolo era visibile tra tutti perché di oro giallo. L'unico che Susanna possedeva di quel colore. Lei adorava l'oro bianco, diceva che quello giallo sapeva di antico. Liana invece lo usava spesso. Lo prese tra le mani e lo strinse in un pugno. Tornò a leggere il diario.

Ma non posso più tornare da lui. Ho il cancro. L'ho scoperto qualche giorno fa... Se dovesse andar male Susanna deve avere un padre e non può essere Leo, perché lui deve pensare a riacquistare il rapporto con Lorena. Non posso chiedergli di mettersi contro Arturo anche per mia figlia. Alla fine lui non è stato un buon marito, ma un bravo padre sì. Non ho detto questa mostruosa verità a Pina, né tantomeno dovrà mai saperla Leo.

Liana lesse più volte quella parte, stranita e stupita. Aurora era morta solo da quattro anni eppure già nel '97 parlava di cancro.

«Deve essere stato terrificante per Susanna, visto che non me ne ha mai parlato!» bisbigliò tra sé e sé.

La bionda sentì che l'amica stava uscendo dal bagno. Corse verso di lei. La bruna uscì con una tovaglia avvolta sotto le braccia. La guardò con la fronte corrugata.

«Che succede?» chiese l'ispettore, notando che l'altra le si era parata di fronte, ma non parlava.

Liana alzò la mano, all'altezza delle iridi di lei, aprì le dita. Il ciondolo stava in mezzo al palmo.

«La medaglietta di mia madre! Non se ne separava mai. Ne era piena, ma quella era l'unica che non toglieva mai dal collo... Perché l'hai presa dal portagioie?»

Liana sganciò la sottile catenina che teneva al collo. La porse a Susanna. «So che non ti piace l'oro giallo, ma vorrei che tu indossassi questo gioiello di tua madre. Usa la mia catenina dello stesso colore, considerala un mio regalo, e porta questo ciondolo sempre con te!»















Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top