La lettera di Renata

«Senti, Susanna, io ti adoro ma sono le sei del pomeriggio, siamo in macchina da quando siamo uscite dalla centrale e questo tuo doloroso mutismo comincia a stancarmi. Divento estremamente indifferente alle emozioni positive senza il mio caffè!» disse Liana, sbuffando più volte.

«Quella donna sa molto più di quello che dice!» mormorò Susanna mentre posteggiava l'auto dell'amica di fronte casa.

Scese dalla macchina e si diresse all'interno dell'abitazione, lasciando l'altra lì.

Liana la osservò in ogni suo movimento, sganciò la cintura e sospirò. «Sta diventando proprio un'abitudine!» mormorò mentre scendeva dalla vettura.
Entrò in casa e si posizionò subito di fronte ai fornelli. Pronta dalla mattina, finalmente riuscì a mettere sul fuoco la caffettiera.

«Allora quando vuoi sai farlo!» esclamò la proprietaria di casa con un ghigno.

La bionda la guardò con sfida, per poi sorridere soddisfatta.

Susanna si sdraiò sul divano e rovesciò la testa su un lato, osservando il diario sul tavolinetto.

L'altra le si avvicinò e si sedette sul tappetone. Le iridi erano a un metro le une dalle altre. «Cosa ti fa credere che Lorena non abbia dichiarato tutto ciò che sa?»

«Beh, per cominciare Berretta mi ha raccontato che la donna ha ammesso di non parlare più col padre da decenni.»

«Cosa c'è di anomalo?» chiese Liana piuttosto confusa.

«Nulla, solo una strana sensazione.»

Distratta dal rumore della stessa caffettiera, Liana si alzò ed eccitata riempì tre tazzine che portò sul tavolinetto.

Susanna era presa dal racconto, notò la tazzina in più ma non fece domande al riguardo. Si mise in posizione seduta per bere la bevanda e nel frattempo continuò: «Inoltre, attualmente la donna, con la figlia e la madre, hanno preso una stanza all'hotel Ester!»

Liana stava sorseggiando il suo caffè, ma appena sentì quel nome il liquido le andò di traverso e lo sbuffò su tutto il divano. «Cosa?!» urlò.

«Esatto! - rispose la bruna mentre con una mano asciugava le gocce di caffè che le erano arrivate sul braccio - Anche io ho reagito così quando pomeriggio ho fatto le ricerche sulla vita di Lorena e della figlia. Ancora coincidenze? Quanti hotel ci sono a Mazara? Perché vanno a finire tutti lì?»

Liana ascoltava l'amica e continuava ad annuire. Poggiò la tazzina vuota sul tavolinetto, afferrò l'altra ancora piena e bevve la bevanda tutta in una volta.

«So che tutta la verità, se non addirittura la soluzione per questo caso, sta in quel diario... ma ho il terrore di continuare a leggere!» le confidò.

Per un attimo il silenzio si fece forte e le due ragazze si osservarono ancora una volta con la solita sensazione di capirsi senza parlare.
Liana abbassò le iridi verso la tazzina che l'altra teneva ancora in mano.
«Non ne vuoi più?»
Susanna scosse la testa.
«Ok!» Liana prese il caffè dell'amica e lo finì in un secondo. Poggiò la tazzina vuota accanto alle altre e prese tra le mani il diario. «Ora sono pronta!»

La Bruna sorrise. Liana era l'unica persona al mondo che riusciva a darle serenità anche quando la pace sembrava non esistere. Non c'era bisogno che si dicessero quanto bene c'era tra loro, erano consapevoli di completarsi a vicenda da sempre.
Il telefono di Susanna squillò quando l'altra stava per iniziare a leggere.

«Arena!»

Le iridi si riempirono di lacrime e con voce spezzata disse: «Arrivo subito.»

«Che succede?» chiese Liana preoccupata.

«Mia nonna...»

A quelle parole prese le chiavi e la borsetta. «Vieni, ti accompagno da lei.»

«Liana, vai a casa è da due giorni che sei con me, non voglio riempire il tuo tempo con i miei problemi, tu hai già i tuoi.»

«Giammai! Luca ha la sua vita, non ho figli, solo il mio lavoro...  e te. Andiamo da Renata!»

Susanna asciugò una lacrima e l'abbracciò. Le due donne si diressero nella casa di cura in cui l'anziana era ospitata. Per tutto il tempo della strada rimasero in silenzio, rispettando il grande dolore che Susanna si portava dentro.

Mazara non era un piccolo paese, ma la loro vita si svolgeva tra quelle poche strade che bastavano per condurle nei vari luoghi in modo semplice e veloce. Bastarono pochi minuti per raggiungere la destinazione.

«Ci dispiace tanto!» disse la direttrice della casa di cura appena le due entrarono.

Susanna chinò il viso come ringraziamento e cominciò a percorrere i corridoi per arrivare nella stanza della nonna. Appena varcò la porta vide Renata distesa nel letto, già sistemata con il suo abito nero, cucito proprio da lei qualche anno prima. 

Questo è l'abito per il mio funerale! diceva sempre. Perché lì, non solo a Mazara, ma in tutta la Sicilia, l'usanza era quella: essere pronte anche per quella circostanza. Per gli anziani era un obbligo essere preventivamente in ordine.  L'abito non avrebbe dovuto quindi destare alcuna emozione a Susanna, in fin dei conti lo aveva visto tante volte prima di quel giorno, ma non fu così. Vederglielo indosso le ricordò la cerimonia di addio alla madre. 

Erano passati quattro anni, ma la morte di Aurora aveva lasciato un immenso vuoto in lei, e per riprendersi ci erano voluti mesi. Tutti erano consapevoli che avrebbe fatto quella fine, il tumore aveva già invaso tutto il corpo e nessuna cura poteva più aiutarla. Proprio per quel motivo le vicine di casa più anziane le avevano cucito un abito simile a quello che indossava in quel momento la nonna:  un vestito nero leggero, con piccoli fiori bianchi sul petto. 

Susanna si gettò su quel corpo già freddo e rigido, abbracciando la nonna e con essa quei pochi ricordi vissuti con lei. «Perdonami! Perdonami se ti sono stata lontana. Non capirò mai perché tu e la mamma non eravate in buoni rapporti, e non lo saprò mai...»

«Ispettore...»

Si girò verso la voce che la chiamava. Era la direttrice e teneva in mano una busta bianca. Si asciugò le lacrime e percorse i pochi passi che la separavano dalla donna.

«Sua nonna mi consegnò questa lettera subito dopo la morte di Aurora. Mi disse che avrei dovuta darla a lei dopo il trapasso.»

Susanna tese la mano verso quella lettera ma, stravolta, la ritirò, con la paura di conoscere verità mai dette, la stessa che accusava ogni volta che prendeva tra le mani il diario della madre.

Lentamente si avvicinò a loro Liana che, con cautela, allungò le dita e afferrò quel pezzo di carta. La strinse mentre ancora osservava l'amica negli occhi.

«Sto bene...» affermò Susanna con voce mozzata. Sapeva che Liana stava cercando di capire se fosse vicina a un attacco di panico. «Sto bene!» ripeté poco prima di svenire proprio tra le sue braccia.

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