La figlia della vittima
«Cazzo, è tardissimo!» sbottò l'ispettore appena aprì gli occhi.
Con uno slancio, anche l'amica si alzò dal letto. Con gli occhi semichiusi, la bocca impostata e il fragile equilibrio, si vestì, seguendo con lo sguardo, seppur ancora appannato, la bruna che nel frattempo rispose al telefono, dirigendosi verso la cucina.
«Arena!»
Di lì a poco la donna cambiò espressione, si mosse con lentezza e si sedette sul divano. Chiuse la chiamata senza salutare.
«Che succede?» chiese Liana, mentre tentava di accendere il gas del fornetto per fare il caffè.
Susanna, con lo sguardo fisso verso la parete, biascicò: «Sta sempre lì, il pulsante per il fuoco!»
Liana, che si stava muovendo convulsamente per ricordare come fare, si fermò e, senza voltarsi, riuscì finalmente a mettere su la bevanda. «Allora... chi era al telefono?» chiese quando ancora era eretta di fronte alla caffettiera, come se osservarla avrebbe aiutato quel liquido scuro fare il suo corso e presentarsi magicamente all'interno della tazza.
«Era Giorgio. A quanto pare la figlia della vittima in questo momento si trova in centrale! Berretta la sta interrogando.»
«Quel Berretta? Il maresciallo? E che diavolo ci fa alla centrale di polizia?!» chiese sconvolta la bionda mentre perpetuava lo sguardo sul fornetto.
«Non l'hai ancora capito? Vuole il caso e l'avrà se non mi muovo! Forza, accompagnami.»
L'ispettore, determinata, si mise nuovamente in piedi e si diresse verso l'amica per afferrarla dal polso. Liana scosse la testa. «E no! Senza caffè non posso uscire di casa, eh!»
Susanna roteò la manovella del gas e spense il fuoco. «Pignata taliata non vugghi! (*) Non lo sai? Ti offro il caffè in centrale, andiamo!»
Le due donne si catapultarono in auto. «Guido io!» ordinò l'ispettore.
«No, no. La mia macchina ha un solo padro... - la bionda si bloccò notando lo sguardo cagnesco dell'altra - sì, guida tu, senza caffè non saprei neanche trovare l'acceleratore!»
Susanna ingranò la marcia e partì in velocità, mentre l'amica stava sbadigliando. Liana sbarrò gli occhi e tese le braccia verso il cruscotto per tenersi.
«La cintura!» esclamò la prima.
«Certo, Ispettore!» biascicò la seconda cercando di non ridere.
Arrivarono in pochi minuti alla centrale, Susanna abbandonò l'auto in doppia fila, quasi in mezzo alla carreggiata e, senza dire una parola, lasciò lì la vettura con a bordo l'amica che rimase senza parole, con la fronte corrucciata e gli occhi sgranati. «Senza caffè e - cercò la sua borsa nel sedile posteriore - senza patente! Cazzo!» borbottò quando si accorse di averla dimenticata a casa di Susanna. Sganciò la cintura e allargò la coscia per passare nel lato guidatore. Posteggiò l'auto ed entrò in centrale. Raggiunse l'amica che già era dietro il vetro ad ascoltare l'interrogatorio.
«Quindi lei non ha sospetti su nessuno?» chiese il maresciallo con tono secco.
«Le ho già detto che non parlavo con mio padre da anni. Non so nemmeno perché mi ha fatto arrivare fin qui, non posso esserle utile!» rispose la donna mentre annodava i lunghi capelli neri in un elastico.
Liana socchiuse gli occhi e si avvicinò allo specchio che le separava dalla stanza degli interrogatori. Iniziò a scrutare quella donna dalle leggere curve e dal fisico atletico. «Che strano... molto diversa dalla madre» sussurrò.
«Shhh» sfiatò l'ispettore che per un attimo fu distratta dall'amica. Riportò lo sguardo verso il vetro, quando la figlia della vittima si voltò verso quella stessa lastra.
«Signorina Gaspare...» chiamò il maresciallo. «Siamo soli, non c'è nessuno dietro quel vetro.»
Susanna sobbalzò, per un attimo, si sentì come osservata. Era palese che la donna non potesse vedere le due oltre quella parate, ma la sensazione fu così forte che l'ispettore si sentì in imbarazzo. Appena si riprese da quella strana percezione, si accostò all'amica e iniziò a osservare meglio la donna oltre la barriera trasparente...
Liana si voltò e bisbigliò: «Susanna... hai notato la forte somiglianza con...»
Ma la bruna sibilò nuovamente quel suono per farla smettere di parlare. «Shhh, fammi sentire!» ordinò. Ingoiò un po' di saliva e cominciò a respirare pesantemente.
«Signora... non signorina!» esclamò la donna sulla sedia, mantenendo le iridi verso la lastra.
Quella strana sensazione tornò più forte di prima e Susanna non riuscì più a stare ferma. Fu come se le mancasse l'ossigenazione, come se un peso enorme le schiacciasse lo stomaco. Corse via da quella stanza, raggiunse il corridoio, si chinò su se stessa, poggiando prima la schiena sulla parete, per poi scivolare a terra seduta. Respirava a fatica.
«Signora, stai bene?»
Una voce piccola e sottile catturò la sua attenzione e, spostando le iridi dal pavimento verso l'alto, notò dei piedini coperti da un piccolo sandalo, un vestitino bianco sorretto da sottili spalline, i capelli lucidi e lisci fino al collo di quella bellissima bruna e alta appena un metro. Gli occhi cerulei e intensi si illuminarono ancora di più appena si scontrano con quelli di Susanna.
«Hai anche tu gli attacchi di panico? La mamma dice sempre che se le capita quando è con me devo parlarle, così lei si calma.» La dolcezza di quella tenera bimba in effetti sembrò portare beneficio a Susanna, la quale cominciò a equilibrare il respiro.
«Come ti chiami, piccola?» chiese con ancora un po' di fatica.
«Susanna. Mi chiamo Susanna.»
L'ispettore aggrottò le sopracciglia, stupita e meravigliata. «Co-come me...» sussurrò.
La bimba sorrise, le mancavano i due denti centrali e questo la rendeva ancora più dolce agli occhi della donna, che ancora tentava di riprendersi da quello strano malessere. La bambina tese la mano verso Susanna. «Dammi la mano, signora, ti aiuto ad alzarti» disse allungando ancora di più le labbra. La donna portò le iridi su quel piccolo arto, per poi notare che con l'altro teneva un peluche marroncino, un coniglio non troppo peloso. Strinse la manina e si fece forza sui piedi per alzarsi. Lasciò le dita della bimba per poi accarezzare con la punta la guancia della giovane omonima.
«Ti piacciono i conigli, tesoro?» chiese timidamente la più grande.
La bambina annuì.
«Sei sola?» continuò l'ispettore osservandosi attorno.
«No, una poliziotta è stata con me fino adesso, è andata a prendere una bottiglietta d'acqua. Mia mamma è dentro quella stanza...» Indicò con il sottile indice la sala interrogatori.
Appena Susanna seguì il dito della bimba con le iridi, la giovanissima urlò: «Mamma! Finalmente! Mi stavo annoiando... meno male che poi ho incontrato questa donna, sai... ha gli attacchi di panico come te e io le ho parlato per farla stare meglio, sono stata brava?»
La bambina si gettò tra le braccia della madre, che la prese in braccio e la baciò sulla guancia. «Andiamo in hotel, amore, la mamma deve risposare dal viaggio.»
«Salve, signora Gaspare, sono l'ispettore Are...»
«So bene chi è lei! Devo andare. Ho già detto tutto al maresciallo... Arrivederci!»
A passo svelto si diresse verso l'uscita. Appena le passò davanti e le diede le spalle, la bambina, ancora tra le braccia della madre, si voltò verso Susanna e alzò una manina per salutarla. «Ciao, signora Susanna» sussurrò.
L'ispettore, estremamente confusa, ricambiò il gesto e sorrise a quell'anima buona, fu in quel momento che Liana uscì dalla porta. «Quella bambina chi è?»
«La nipote della vittima, si chiama... Susanna!»
Liana rimase stupefatta e osservò con sguardo confuso l'amica. Alzò le mani all'altezza del viso. «Senti, ispettore, essere tua amica è meraviglioso, e in un certo senso anche divertente. Sembra quasi di leggere un giallo romanzato a puntate sulla tua vita. Ma non darmi più di queste notizie se non dopo aver preso il mio cazzo di caffè!»
Liana corse verso il distributore di bevande, mentre Susanna sorrise, scosse la testa e, facendosi nuovamente seria, sospirò, entrò nella stanza interrogatoria per ottenere tutte le nuove informazioni dal maresciallo.
Liana, felice, si posizionò davanti al distributore. Pigiò il pulsante con la dicitura "caffè" e spuntò fuori il prezzo digitalizzato. I suoi occhi si illuminarono. Si toccò all'altezza della coscia per aprire la borsetta e prendere un euro e fu allora che ricordò di non averla con sé.
Allargò le braccia e spinse poi le mani sui fianchi con stizza. «Ma che ca....»
Cominciò a osservarsi attorno alla ricerca di un qualunque essere umano capace di possedere quel maledetto euro.
*Pignata taliata non vugghi --------> L'acqua in pentola, se guardata, non bolle!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top