Il diario
«Ispettore, dimenticavo, ho l'indirizzo dell'Hotel Ester in cui la vittima alloggiava. Ho scoperto...»
«Cosa? Giorgio! Quando volevi dirmi che l'uomo avesse preso una stanza qui a Mazara?» lo interruppe con voce stentorea.
«M-mi scusi... io... non ho avuto il tempo di...»
«Va bene! Va bene, Giorgio! Mi darai tutte le altre informazioni che hai dimenticato mentre ci dirigiamo in hotel» continuò la donna leggermente più pacata.
«La struttura si trova in periferia, verso Contrada Serroni, è in una zona molto isolata, immerso nei campi...» Il poliziotto schiarì la voce. «Credo affittino le stanze anche... a ore!» Concluse mentre salivano sull'auto.
Susanna lo osservò per un attimo in silenzio prima di chiudere con forza lo sportello. «Andiamo!» comandò.
«Ispettore...» sussurrò l'uomo mentre guidava verso la strada provinciale.
«Che c'è, Giorgio?» chiese lei, continuando a osservare fuori dal finestrino.
«Gaspare, ehm... la vittima ha avuto la stanza affittata per parecchio tempo...»
La donna si voltò con uno scatto del viso e cominciò a osservarlo confusa.
Giorgio ricambiava lo sguardo a tratti, poi riportava le iridi verso la strada.
«Da quando, Giorgio? Da quando viene qui a Mazara? Quando l'ha affittata? »
«Da trent'anni! Dal 1993...»
Susanna, ancora con la bocca semichiusa dallo stupore, ebbe difficoltà a ingoiare un po' di saliva. Di riflesso abbassò le ciglia più volte, come se fosse ritornata in sé dopo un paio di secondi di riflessione. Nulla poteva eliminare l'ovvietà della situazione, quei due stavano riflettendo proprio sulla stessa questione: l'uomo aveva preso la camera lo stesso anno in cui Susanna si era trasferita a Mazara. Ma perché?
L'imbarazzante silenzio non dava fastidio all'ispettore, intenta com'era a rimuginare su tutta la faccenda. Non smetteva di osservare il paesaggio, le strade, le case e le persone, seppur con disattenzione, mentre pensava e cercava di dare risposte alle sue domande.
«Rallenta!» urlò improvvisamente Susanna. Si sporse con il volto verso la scuola elementare. Le lezioni erano finite. I bambini erano fuori, stavano andando verso i genitori. «Accosta qui!» comandò, mentre già apriva lo sportello.
Si mise in piedi sul marciapiede e socchiuse gli occhi, come per mettere a fuoco ciò che in lontananza aveva intravisto.
Il vociare dei bambini rintronava nella strada alberata, le loro risate raggiungevano la donna che, impietrita, poggiò una mano sul tettuccio della macchina, per non cadere, intontita a causa di un cedimento.
Denim era lì con le braccia aperte e le ginocchia piegate, in attesa che quella bellissima bambina, dai lunghi capelli biondi, gli saltasse addosso. Una donna, dallo stesso colore dei capelli, gli era vicino e teneva la mano sulla sua muscolosa spalla, messa quasi a nudo dalla sottile maglia aderente.
«Ispettore, sta bene?» chiese Giorgio che scese dall'auto e le si precipitò accanto. La sorresse per un braccio e la spinse a rientrate in macchina.
Susanna sospirò più volte, come se tentasse di non piangere. «Sto bene! Parti...» biascicò, passando una salvietta fresca sul viso.
Il poliziotto non fece domande, preferì il silenzio e girò il quadro. Muto per tutto il tragitto, anche Giorgio provava una strana sensazione angusta e fastidiosa allo stomaco. Era sempre stato un tipo empatico, fin da adolescente, soprattutto da quando aveva deciso di rendere nota la sua omosessualità. Aveva avuto comunque l'appoggio dei genitori, ma non quello degli amici, che lo avevano isolato da tutto. Ogni tanto spostava lo sguardo sulla donna per assicurarsi che stesse bene, per poi tornare a guidare.
«Siamo arrivati» disse a un tratto. Entrarono in una stradina sterrata, contornata da un verde fitto e acceso. Alla fine della viuzza ergeva quell'hotel angusto e per niente elegante. Al centro di un terreno giallastro, quell'edificio era più somigliante a un ospedale a più piani, dalle pareti bianche e le finestre di legno chiaro.
Susanna scese dalla vettura, respirò quell'odore di vegetazione, misto a quello di acqua stagnata. Giorgio la osservò per capire se si era ripresa. La donna chinò il viso più volte.
«Sto bene, Giorgio, stai tranquillo.»
Oltre le siepi vi era una grossa fontana con dell'acqua viscida e verdastra, che emanava un forte odore acre.
Il sole batteva cocente e dalla fronte di lui continuava a grondare sudore. La donna si apprestò a entrare, seguita dall'uomo sempre in divisa.
«Salve, sono l'ispettore Arena, siamo qui per vedere la stanza dei signor Leonardo Gaspare, ha una camera qui da diverso tempo!» disse mentre scrutava l'anziana donna che stava dietro il bancone della Reception.
«Povero uomo! Ho saputo alla TV della sua morte, sono tanto dispiaciuta.» La donna, piccola di statura e magra, afferrò la chiave dalla cassettiera alle sue spalle. Quasi con difficoltà la teneva tra le dita, storte dal tempo e probabilmente dall'artrosi. Passò la mano sul suo volto raggrinzito e pieno di solchi. I suoi occhi cerulei splendevano grazie ai raggi del sole che penetravano dalla grande porta a vetrata, unico punto illuminato.
«Ci pensiamo noi, aspetti qui!» ordinò Susanna mentre tendeva il palmo verso l'anziana che subito le porse la chiave e annuì.
«La numero venticinque, ultima porta a destra, secondo piano» spiegò. Si diresse nuovamente dietro il bancone. Spostò lo sguardo su Susanna e le sorrise dolcemente.
Lei ricambiò in maniera istintiva, per poi farsi subito seria.
Attraversò il cupo corridoio, ingiallito e sporco, oltre che poco illuminato. L'odore di chiuso e di vecchio era pungente, intenso... quasi fastidioso.
«Eccola!» esclamò il poliziotto, fermandosi davanti una porta. «La numero venticinque!»
I due entrarono nella stanza quasi stupiti dalla luce che vi entrava dalla finestra. I loro occhi si erano abituati a quella penombra che abitava tutto l'hotel, che quasi erano accecati dai raggi.
Iniziarono a osservarsi attorno, non c'era molto in quella stanza tinta di vernice bordeaux. Un letto matrimoniale, dalle lenzuola bianche e ben tirate; due comodini di legno scuro e un armadio dello stesso colore. Nulla di importante era a vista. Nulla.
Il poliziotto aprì un'anta dell'armadio dal quale si potevano vedere solo vestiti ordinatamente appesi e qualche paio di scarpe in basso.
Susanna sembrava paralizzata. Era rimasta in piedi al centro della stanza e non si muoveva, osservava il poliziotto e i suoi movimenti senza quasi battere ciglio. Giorgio lentamente aprì un cassettino del comodino sulla sinistra del letto, il lato opposto in cui la donna era piazzata. Abbassò lo sguardo verso quello spazio nascosto, per poi riportarlo su di lei.
La meraviglia e la sorpresa erano chiari nel volto dell'uomo che, a rilento, tese la mano verso il comò. Da lì spinse fuori una foto. Susanna, rimanendo con un'espressione indecifrabile in viso, gli si avvicinò a piccoli passi. Afferrò la foto tra le dita e la portò all'altezza del viso. I suoi occhi sgranati si riempirono di lacrime. Una cadde con forza fino alle labbra, che lei raccolse con la punta della lingua, mentre tentava di riprendere a respirare con regolarità.
La foto di Leonardo Gaspare, sorridente e felice, con accanto una donna, scivolò sul tappeto, mentre Susanna infilò la mano nel cassetto per prendere un'agenda...
Il poliziotto si chinò e raccolse quell'immagine gioviale della coppia. La osservò con grande stupore.
«Questa donna le somiglia molto, Ispettore» sussurrò ancora incredulo.
Susanna sospirò, mentre ancora guardava la copertina dell'agenda.
Sollevò le spalle, arricciò le labbra, asciugò le lacrime e singhiozzò: «Quella donna è mia madre!»
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