Gelosia
Siamo tornati dal compleanno. Appena mi sono messa a letto Arturo si è avvicinato... Voleva fare l'amore. La sua vicinanza, il suo odore di tabacco da pipa, il fatto che non fossero le mani di Leo, beh... mi ha disgustato. Avevo sempre avuto rapporti solo con lui, non avevo mai potuto fare paragoni e il fatto che in quel momento il vero amore lo avevo invece conosciuto, non mi permetteva nemmeno di sfiorarlo.
"Sei nel momento più fertile del mese..." mi ha fatto notare. Ed era vero. Da anni provavamo ad avere figli, avevo comprato persino il test per l'ovulazione. Ogni volta che ero più fertile facevamo l'amore per avere più speranza di restare incinta. Ma gli ho detto che aveva un gran mal di testa e che avevo bisogno di dormire.
Mi è sembrato particolarmente confuso e provato, ma non mi è importato. Quando ci siamo svegliati Arturo era andato al lavoro senza neanche salutarmi. Credo che fosse arrabbiato. Per tutta la mattinata sono stata in balcone. Ho cercato invano l'unico viso che volevo veramente vedere. Mi sono sentita persa, non riuscivo a incontrarlo. Così ho fatto una gesto per cui non avrei mai pensato di trovare il coraggio: ho inserito un calzino nel tubo della lavatrice. Ho roteato la manovella e ho fatto partire il ciclo breve, con la speranza di allagare nuovamente la lavanderia. In effetti ci sono riuscita e questa volta sono stata io a chiamare Rossella e a chiedere l'aiuto di suo marito.
Ovviamente lei ha accettato senza indugio ma, se devo essere onesta, mi è sembrata particolarmente strana in viso. Come infastidita... Leo è venuto dopo un'ora circa, era fuori per lavoro. Quando è arrivato mi sono gettata tra le sue braccia e gli ho raccontato quello che è successo la notte prima.
"Promettimi che non lo farai, dimmi che non farai mai più l'amore con lui! Me lo devi promettere" mi ha detto. Ci siamo osservati per un paio di secondi negli occhi e ovviamente io non ho potuto fare a meno di fargli quel giuramento. Sarei stata solamente sua e per sempre, come lui non avrebbe più toccato la moglie e sarebbe stato mio. Mi ha preso dalle gambe e mi ha fatto sedere sulla lavatrice. Me le ha allargate con foga e ha portato la sua faccia in mezzo alle mie gambe. Stavo godendo così tanto che non mi sono nemmeno accorta di urlare dal piacere. Lui si è messo in piedi, mi ha spinta dal sedere verso di lui e mi ha posseduta con passione, portando la sua mano sulla mia bocca per non farmi gridare!
Mi chiedo come sia possibile, ma solo ripensandoci mi sento umida, bagnata. Che sensazione strana allo stomaco! Se non fosse che sto imparando a riconoscerla, penserei che si tratti di dolore. Invece è gioia, è pura felicità, è passione, è attrazione... è amore!
Susanna chiuse d'istinto il diario. Alzò gli occhi verso l'orologio e si accorse che erano le sei del pomeriggio. Era stata ore a leggere. Aveva persino saltato il pranzo, ma se c'era una cosa sicura in quel momento della sua vita, si trattava certamente del fatto che il cibo non era tra le priorità.
Posò il diario sul tavolinetto, fece una rapida doccia e si mise un vestitino leggero a fiori e le sue comodissime scarpette da tennis. Uno dei ricordi più vividi che aveva della sua infanzia era il luogo in cui passava del tempo con la madre: un parco pieno di giochi per i bambini, come altalene e scivoli, su un enorme tappeto di prato inglese. Da quando la madre era morta Susanna ci tornava spesso. Anche solo per cinque minuti, giusto il tempo di assaporare quell'aria che sapeva di casa.
Pensò che non le avrebbe fatto male passare qualche minuto seduta nel solito sedile del parco. Il vociare dei bambini le dava una sensazione di felicità e gioia anche nei suoi momenti più bui. Prima di andare al lavoro era, infatti, sua consuetudine passare da lì. Si rese conto però che non lo faceva da parecchio, forse da mesi. Prese le chiavi dell'auto e si diresse in quel luogo, nella speranza di ritrovare un po' di se stessa.
La panchina era vuota. I genitori dei bambini spesso stavano accanto ai loro bimbi. Quel posto dove sedersi poteva essere occupato da qualche anziano che prendeva un po' di aria fresca, ma di solito avveniva di sera. A quell'ora del pomeriggio era sempre vuota e Susanna potè accomodarsi e respirare a pieni polmoni quel profumo di natura.
Rimase circa venti minuti, quando lo stomaco iniziò a brontolare. Si mise in piedi per raggiungere l'auto, ma a un tratto sentì che qualcuno le tirava il vestitino da un lato. Si voltò e osservò verso il basso.
«Stai di nuovo male?» chiese la piccola Susanna.
«Ciao, bellissima, sto bene, stai tranquilla... Sei qui da sola?» chiese la più grande, osservandosi attorno.
La bimba scosse la testa. All'improvviso da dietro la panchina arrivò la madre della piccola Susanna.
«Ti ho detto mille volte di non parlare con gli sconosciuti!» la rimproverò mentre l'afferrava dal polso e la tirava via.
«No, aspetti, forse non si sta ricordando, sono l'ispettore che...» tentò di dire.
Ma l'altra fece sedere la bambina sul sedile di dietro, chiuse lo sportello e si voltò di nuovo verso Susanna. «No, si sbaglia, non solo mi ricordo bene di lei, ma so e ho sempre saputo chi è e di chi è figlia! Per la mia famiglia lei resterà sempre una sconosciuta.»
Susanna rimase perplessa e scioccata. Capì: quella donna conosceva tutta la verità! Bisognava a quel punto capire se anche sua madre era a conoscenza della storia, perché chiunque sapesse... poteva essere l'assassino.
La testa iniziò a girare fortemente, gli occhi si appannarono, il buio sopravvenne. Non era un attacco di panico, ma solo fame.
Le sue gambe cedettero e cadde sul prato. Quando riaprì gli occhi, una donna, dai capelli lunghi e biondi, le era accanto.
«Beva questa, è solo dell'acqua con un po' di zucchero ma la aiuterà a riprendere le forze» disse dolcemente mentre le avvicinava il bicchiere.
Susanna obbedì. «Grazie, lei è gentile.. Non si preoccupi, è solo debolezza, ho saltato il pranzo».
Si sedette di nuovo sulla panchina, l'altra le si posizionò accanto, mise la mano dentro la borsetta e tirò fuori una merendina. «Tengo sempre una bottiglietta d'acqua con il bicchiere e una bustina di zucchero, a volte capita di sentirmi particolarmente debole. Questa merendina, invece, l'avevo portata per mia figlia, ma l'ha rifiutata. Quando gioca non pensa più a nulla. La prenda lei...» disse sorridendo con fare tenero.
Susanna scosse la testa. «Oh, no, non posso accettare, magari a sua figlia verrà fame più tardi.»
La bionda insistette. Non smetteva di sorriderle. Quel modo dolce di porsi intenerì Susanna, che a quel punto accettò. Addentò la merenda come se non si cibasse da giorni. Tanto che l'altra iniziò a ridere di gusto. Persino l'ispettore non poté che scoppiare in una fragorosa risate, nonostante il cibo continuasse ad impastarsi all'interno della bocca. «Mi perdoni!» disse la bruna, continuando a ridere.
La donna dai bellissimi occhi azzurri scosse la testa e ribadì: «Non si scusi, anzi grazie! Era da un bel po' che non ridevo così tanto.»
«Mamma!» le interruppe una delicata vocina.
«Tesoro, vieni, voglio presentarti una persona». La bellissima bambina, dai capelli uguali alla madre, si avvicinò felice. «Bella, lei è Susanna. Susanna, lei è Bella».
L'ispettore, che per reazione istintiva si chiese come facesse quella donna a conoscere il suo nome, osservò, quasi stordita, il viso di lei e poi quello della bambina. Solo in quel momento mise a fuoco bene le due e si rese conto di averle già viste... una sola volta, in lontananza... e in compagnia di Denim.
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