Coincidenze?
«Nonna, sono io...» sussurrò l'ispettore, avvicinandosi all'anziana sulla sedia a rotelle.
«Da questa mattina è strana. Guarda i notiziari alla TV e non risponde a nessuno stimolo!» spiegò l'infermiera della casa di cura. La donna in camice riassestò la coperta di cotone sul letto e lasciò la stanza.
Susanna la seguì con lo sguardo per poi fermarlo sulla parente.
«Nonna, che guardi in televisione?» chiese curiosa la più giovane mentre adagiava le mani sulle decadenti e magre spalle.
La donna non reagì, continuò a fissare lo schermo, mantenendo una posizione ferma e impietrita. Le ruvide e affusolate mani erano poggiate sui braccioli della carrozzina. La leggera vestaglia la copriva fino alle caviglie, mostrando la nudità dei piedi deformati dal tempo. Sul petto, lasciato libero e coperto da solo quella stoffa fresca, la lunga treccia bianca si adagiava.
Gli occhi di ghiaccio sembravano non chiudersi mai, così come le carnose labbra, rimaste semichiuse e che non accennavano ad alcun movimento.
L'unico momento in cui l'anziana sembrò esternare una reazione fu quando nel TG la reporter raccontò del ritrovamento di un corpo. Sullo schermo apparve un disegno del viso della vittima.
«La polizia ci ha consegnato questo identikit. Dobbiamo affidarci a questa immagine in quanto non abbiamo foto dell'uomo. Non avendo alcun dato su di lui, le forze dell'ordine chiedono aiuto a voi telespettatori. Se riconoscete quest'uomo vi prego di darci almeno il nome per riuscire a contattare la famiglia. È stato ritrovato questa mattina...»
Susanna afferrò il telecomando e abbassò il volume. Si parò davanti all'altra, nel piccolo spazio tra lei e il vecchio apparecchio.
Le lacrime solcarono il grinzoso viso dell'anziana.
«Nonna, nonna! Conosci quell'uomo? Lo conosci?» chiese, alternando un tono dolce a quello più deciso sul finire. «Santo cielo! È importante che tu lo dica. Se sai chi è, fammi il suo nome.»
«Susanna... Susanna» la chiamò dolcemente l'infermiera che nel frattempo era rientrata. «Sua nonna ha smesso di parlare da più di venti giorni, ricorda?»
L'ispettore sobbalzò come se si fosse resa conto solo in quel momento di non aver fatto visita alla donna per più di un mese. Nonostante le telefonate dalla casa di cura, in effetti, non si era recata dall'anziana. Troppo impegnata con il lavoro e il restauro dell'antica casa in cui aveva vissuto con i genitori. Non si era accorta ancora del grado di peggioramento avvenuto in pochissimo tempo dell'unica parente, da parte di madre, rimasta in vita.
Le iridi si arrossarono. In pochi secondi le lacrime le annebbiarono la vista.
L'infermiera sorrise con tenerezza. «Forza, Renata, adesso torniamo a letto...» Afferrò la sedia dalle manopole e la roteò verso il lettino antidecubito. Premette il pulsante per chiamare il collega, il quale arrivò pochi secondi dopo.
«Dai, bella donna, ora ci riposiamo un po'» sussurrò il robusto infermiere che sollevò la donna come se pesasse pochi chili.
Susanna osservava la scena con un'espressione quasi algida, spenta. Iniziò a fissare le pareti azzurrine, vuote e fredde. Poi spostò il viso verso l'unico mazzo di fiori, sostenuto da un piccolo vaso di ceramica, sul davanzale della finestra. Poggiò i palmi sul tavolino di legno chiaro su cui vi era la TV e osservò ancora quel disegno dallo schermo. Finalmente le palpebre si chiusero a scatti e una grossa lacrima si rovesciò sulle scarpette a ballerina.
Agguantò la borsa e uscì dalla stanza con una strana sensazione di vuoto interiore. Lasciò l'anziana al suo destino, mentre ancora lacrimava e tremava. Susanna era confusa, provata. Non solo per la figura di quell'uomo, per il caso che stava seguendo e per i misteri che lo attorniavano, ma anche per la nonna, per il suo stato mentale, per il peggioramento riscontrato e, forse, per il fatto che l'uomo conosciuto la sera prima se ne era andato da casa sua senza lasciarle neanche il suo numero.
Ci sono andata a letto la stessa sera che l'ho incontrato, cosa pretendevo?
Formulò questo pensiero nel momento in cui varcò l'uscita della casa di cura. Acciuffò le chiavi della sua Coupé rossa e le estrasse dalla borsa. Appena si sedette, portò le mani sul volante e lo strinse con forza. L'immagine di quell'uomo sulla quarantina che si muoveva su di lei percorse la sua mente con la violenza di un mare in tempesta. Il suo ventre si irrigidì, passò un dito sulle labbra e il flash di quei baci roventi e passionali le sconvolse la mente. Strizzò gli occhi più volte, come se volesse allontanare quelle visioni dai suoi ricordi.
«Cazzo, torna in te! Non ricordi nemmeno il suo nome, tanto hai bevuto! Hai trentasette anni e pensi a un uomo come fossi una ragazzina di quindici! Con le farfalle nello stomaco... Non è il momento! Hai cose più importanti a cui pensare!» si disse mentre osservava il riflesso degli occhi sullo specchietto.
Portò le mani sul viso, strofinò le dita sotto le ciglia per togliere la matita sbavata dalle lacrime. Tentò di ricomporsi.
Il telefono squillò.
Schiarì la voce: «Arena!»
Rispondere indicando il suo cognome era un'abitudine per la donna, orgogliosa di urlarlo a chiunque la cercasse. Figlia di uno degli uomini più rispettati di Trapani, Susanna ne era fiera e il fatto che incutesse timore la faceva sentire importante.
«Ispettore...»
«Stefano, mi dica tutto...»
«Ha telefonato una donna, dice di essere la moglie della vittima, sta venendo a Mazara, vive a Catania...»
«Catania?» riformulò la donna mentre aggrottava le sopracciglia.
«Sì, Ispettrice. L'uomo si chiama Leonardo... Leonardo Gaspare.»
Udendo quel nome, un brivido le percorse la schiena fino alla punta dei piedi.
Venti novembre 1993, Catania.
«Tra una settimana partirai per la casa che abbiamo a Mazara con la tua famiglia! Io e tuo padre vi raggiungeremo lì, esattamente come avevamo deciso di fare!» urlò Renata furiosa.
«Maledizione, mamma, vuoi svegliare la bambina per caso?» bisbigliò Aurora mentre spingeva la coperta fino al collo di Susanna.
«Mia nipote ha già sette anni, dovresti dirle la verità!» rispose la più grande di rimando, chiudendo alle spalle la porta della stanzetta.
«Shh! Fai silenzio, vuoi che ti senta? Vuoi distruggere la mia vita? Mamma, Susanna dovrà andare in una nuova scuola, dovrà fare amicizia con i nuovi compagni... Non voglio! Sarebbe un trauma per lei.»
«Già, un trauma per lei... o lo è per te lasciare Catania e la famiglia Gaspare? Eh? Dimmi la verità!»
«Lasciami in pace, mamma! Va bene, partirò con mio marito e la bambina, a condizione che non li nomini più...»
Susanna continuò a fingere di dormire finché il silenzio sbaragliò quelle frasi senza senso che aveva appena udito.
L'ispettore strizzò ancora gli occhi. Era madida di sudore, il caldo peggiorava e il suo vestitino sembrava appiccicato all'umida pelle olivastra.
Quel ricordo la costrinse a scuotere la testa convulsamente.
Un'unica domanda le azzannava la mente, echeggiava nel suo pensiero come se un coro di voci la formulasse in differita: Coincidenza?
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