il muro che si frantuma

Il sole era appena sorto e l'aria del mattino era fresca. Ero pronta per andare in università, con lo zaino in spalla e la mente ancora annebbiata dai pensieri della sera precedente. Appena aprii la porta di casa, però, mi fermai di colpo. Lì, davanti a me, c'era un mazzo di rose nere, avvolte con un nastro bianco elegante. Non erano i classici fiori che ci si aspetta, e proprio per questo catturarono subito la mia attenzione.

Accanto al mazzo c'era una scatola. Il logo inciso su di essa non lasciava spazio a dubbi: Yves Saint Laurent. Rimasi immobile per qualche secondo, cercando di capire cosa stesse succedendo. Chi poteva mai lasciare qualcosa di così... esclusivo sulla mia porta?

Con le mani tremanti, presi la scatola e la aprii. Dentro c'era un vestito. Era di una bellezza mozzafiato: nero, elegante, con dettagli che sembravano fatti apposta per me. Insieme al vestito, c'era una lettera piegata con cura. La aprii, e riconobbi subito quella calligrafia decisa.

"Lo indosserai stasera. Ti passo a prendere alle 20:00. Non accetto un no come risposta."

Il mio cuore saltò un battito. Sapevo chi era il mittente, non avevo bisogno di ulteriori indizi. Era Carlos. Solo lui poteva fare qualcosa di così audace, così deciso, e così... travolgente.

Portai tutto dentro casa, il mazzo di rose stretto tra le mani. Mentre mi sedevo sul divano, il mio sguardo passava continuamente dal vestito alla lettera. Non potei fare a meno di sorridere, anche se sentivo un leggero brivido di nervosismo. Era chiaro che Carlos non accettava rifiuti, ma quella sua sicurezza aveva un modo unico di farmi sentire desiderata, speciale.

Alle 20:00 avrebbe bussato alla mia porta, e in quel momento sapevo già che non avrei detto di no.

Non presentarsi era stato tutt'altro che facile. Una parte di me continuava a chiedersi come sarebbe andata se avessi accettato, ma un'altra, più forte, mi aveva impedito di cedere. Quella sensazione di controllo, quell'aura autoritaria che traspariva dal messaggio e dalle rose nere, mi metteva a disagio, e non volevo essere trascinata in qualcosa che non capivo fino in fondo.

Il mattino seguente, con determinazione, confezionai di nuovo il vestito nella stessa scatola di Yves Saint Laurent e mi assicurai che tornasse al mittente. Non lasciai nessun messaggio, nessuna spiegazione. Non mi sentivo in dovere di farlo.

Ma il senso di inquietudine non mi lasciava. Avrei avuto ripercussioni per quel gesto? Avrei deluso o provocato qualcuno che, chiaramente, non era abituato a sentirsi dire di no?
Il giorno trascorse senza troppi intoppi, interamente dedicato a esami e impegni universitari. La mente era concentrata su formule, appunti e progetti da consegnare, lasciandomi poco spazio per pensare a quello che era successo la sera precedente.

Tornai a casa stanca, il corpo pesante per le ore passate a correre da un'aula all'altra. Quando l'orologio segnò le 19:00, decisi che non avrei avuto le energie per cucinare. Ordinai del cibo d'asporto e mi lasciai cadere sul divano, cercando di rilassarmi e di allontanare i pensieri.

Ma mentre aspettavo il corriere, la mente iniziò a vagare. Nonostante tutto, mi chiedevo se lui avrebbe reagito in qualche modo. Mi aveva davvero lasciata libera di ignorare quel "non accetto un no come risposta"?
Dopo aver ordinato il cibo d'asporto, mi lasciai cadere sul divano, cercando di rilassarmi. Avevo passato tutta la giornata tra lezioni ed esami, e il mio cervello implorava una pausa. L'odore del curry che avevo ordinato iniziò a riempire la stanza poco dopo che il fattorino aveva bussato alla porta.

Ero pronta a passare una serata tranquilla, ma i miei piani furono interrotti dal suono insistente del campanello. Mi avvicinai alla porta con un misto di curiosità e apprensione. Quando la aprii, mi trovai davanti a uno degli uomini di Jackson, lo stesso che mi aveva portato il vestito la sera prima.

"Signorina," iniziò con un tono formale, "il signor Carlos desidera vederla. Ha chiesto di portarla da lui."

Sospirai, incrociando le braccia. "Gli dica che non sono interessata. Non accetto ordini da nessuno, tantomeno da lui."

L'uomo rimase impassibile, ma notai un lampo di tensione nei suoi occhi. "Non accetterà un no come risposta, signorina."

"Peccato per lui," risposi secca, chiudendo la porta prima che potesse aggiungere altro. Ma il mio cuore batteva più veloce. Carlos non era il tipo da accettare un rifiuto, e sapevo che non sarebbe finita lì.

Poco più tardi, mentre cenavo e cercavo di distrarmi con una serie TV, il mio telefono vibrò. Era un messaggio, e ovviamente proveniva da Carlos

"Stai testando la mia pazienza. Non costringermi a venire di persona."

Un brivido mi percorse la schiena. Non riuscivo a capire se quel tono autoritario mi irritasse o mi attirasse. Decisi di ignorarlo e tornai alla mia serata tranquilla, ma la pace non durò a lungo.

Un'altra vibrazione. Questa volta c'era anche una chiamata. Con un sospiro esasperato, risposi.

"Carlos, cosa vuoi?" chiesi, cercando di mantenere un tono neutro.

"Te," rispose semplicemente, con quella voce profonda e sicura che sembrava sempre avere il potere di disarmarmi. "Ti ho dato un ordine e non sei abituata a seguire le regole. Ma ti avverto, non giocherò più in modo gentile."

"Non sei il mio padrone," replicai, ma la mia voce mancava della fermezza che avrei voluto.

"Vestiti. Arriverò in dieci minuti." E con quello, riagganciò.

Dieci minuti dopo, sentii il rombo familiare di una macchina lussuosa parcheggiare davanti a casa mia. Mi affacciai alla finestra e lo vidi, Carlos in piedi accanto alla macchina, con uno sguardo deciso e impenetrabile rivolto verso la mia porta.

Mi morsi il labbro. Sapevo che ignorarlo non avrebbe portato a nulla di buono, e una parte di me era incuriosita. Aprii la porta e mi trovai faccia a faccia con lui. Indossava un completo nero impeccabile, e il modo in cui mi guardava mi fece sentire vulnerabile.

"Non accetto no come risposta, ricordi?" disse con un sorriso appena accennato.

Sospirai, rassegnata. "Dove andiamo?"

"Ti porto nel mio mondo," rispose criptico, porgendomi una mano.
Mi morsi il labbro mentre osservavo Carlos, ma la mia espressione rimase impassibile. Non avevo intenzione di farmi influenzare dalla sua presenza, per quanto magnetica fosse. La sua mano, tesa verso di me, era solo un'altra di quelle mosse che mi infastidivano. Eppure, non potevo negare che, in un angolo della mia mente, una piccola parte di me era curiosa.

"Non voglio che tu mi segua", dissi a voce bassa, mantenendo un tono glaciale. Il mio sguardo lo attraversò senza empatia, come se fosse un'ombra che passava di fronte a me. "Non ti piace sentirti rifiutato, vero? Ma non sono la tua preda."

Carlos rimase fermo per un attimo, il suo volto inconfondibile in una maschera di determinazione. Ma il suo sorriso non scomparve mai, neppure quando abbassò la mano, rispondendo con la stessa calma di sempre.

"Non pensavo che avessi bisogno di essere convinta", disse con quella sicurezza che mi dava sui nervi. "Ma sono curioso di vedere dove ti porterà questa resistenza."

Senza aspettare una risposta, si voltò per andare verso la macchina parcheggiata, senza nemmeno guardarsi indietro. Non cercavo la sua attenzione, ma quel comportamento mi fece chiedere se davvero stesse ignorando il mio atteggiamento o se stesse solo testando la mia pazienza.

Respirai profondamente, sentendo il battito del mio cuore accelerare, non per lui, ma per la tensione che la situazione stava creando dentro di me. Alla fine, sapevo che non avrei mai ceduto alle sue pressioni.

"Dove pensi di andare?" chiese la sua voce dal basso. Non si era voltato, ma avevo sentito il tono di sfida nel suo timbro.

Non risposi immediatamente. Mi piaceva giocare con lui, ma non nel modo che lui si aspettava. Invece, mi voltai e chiusi la porta senza dire una parola. Non avevo bisogno di più di tanto. Se voleva seguire, sarebbe stato il suo problema, non il mio.

Poco dopo, sentii il rumore dei suoi passi allontanarsi dalla porta. Non so cosa mi aspettassi da lui, ma sicuramente non quella reazione. Sospirai, scivolando indietro sul divano.

Il silenzio della stanza mi avvolse, eppure il pensiero di Jackson non smise di ronzarmi nella testa. Non avrei mai ammesso che, in fondo, una parte di me fosse incuriosita dalla sua insistenza, ma la ragione aveva il controllo. Non avrei mai permesso che fosse lui a dettare le regole del gioco, anche se sembrava sempre più difficile ignorarlo.

Quando la sua macchina si allontanò, mi alzai dal divano e andai verso la finestra, osservando il panorama della città che si stagliava davanti a me. La notte era calma, eppure dentro di me cresceva una tensione che non riuscivo a spiegare. Forse era l'idea che, in qualche modo, lui stesse cercando di abbattere il muro che avevo costruito attorno a me. Ma non lo avrei mai lasciato vincere.

La porta si aprì di nuovo poco dopo, e un leggero rumore fece sì che mi girassi, anche se non avevo intenzione di farlo. Jackson, sempre così sicuro di sé, entrò senza aspettare un invito. Non aveva bisogno di chiedere permesso, eppure io non avevo mai permesso a nessuno di oltrepassare quella soglia senza il mio consenso.

"Non pensavi che me ne sarei andato così facilmente, vero?" disse, con quel sorriso che mi infastidiva ma che, a quanto pare, era impossibile ignorare. Il suo tono non tradiva alcun segno di frustrazione, come se avesse accettato il mio rifiuto come parte del gioco, ma lo stava giocando a modo suo.

Non risposi subito. Non avevo bisogno di dire nulla per far capire che non avrei ceduto. Mi voltai e, con passo lento e deciso, mi allontanai da lui, dirigendomi verso la cucina. Non avrei dato a lui il potere di farmi sentire vulnerabile.

"Se pensi di farmi cambiare idea con queste manovre, stai sbagliando," dissi con calma, mentre aprivo il frigorifero e prendevo una bottiglia d'acqua. "Non sono quella che cedi a ogni tuo sguardo o battuta."

Carlos non si mosse di un passo. Rimase lì, immobile, come se stesse studiando ogni mia mossa, cercando di comprendere il motivo per cui non riusciva a raggiungermi come aveva fatto con altre. Sapevo che non avrebbe rinunciato facilmente. Eppure, avevo il controllo della situazione. Avevo scelto di non cadere nel suo gioco.

"Non ti stai rendendo conto, vero?" continuò, facendo un passo in avanti. "Non è solo un gioco per me. È molto di più."

Mi girai lentamente, incontrando il suo sguardo. Non provai rabbia, solo un'incredibile calma. "E per me non lo è affatto," risposi, le parole ferme come pietre. "Siamo su due piani diversi, Carlos. Io sono qui, e tu sei... là. E non mi interessa nemmeno sapere quanto ci provi."

Un sorriso più malinconico che irritato comparve sul suo volto. "Non mi arrenderò," disse con una determinazione che non mi sorprese affatto. "Nei tuoi occhi vedo che qualcosa sta cambiando. Non hai nemmeno bisogno di ammetterlo."

Non risposi. Le sue parole erano più una provocazione che una dichiarazione, ma non avevo intenzione di cadere nella sua trappola. Era abituato a vincere, ma io non ero come le altre.

Mi voltai di nuovo, prendendo la bottiglia e bevendo con calma, lasciandolo lì, a riflettere sulle sue parole. Non avevo bisogno di lui, e lui non avrebbe mai capito che la mia indipendenza non aveva nulla a che fare con la sua capacità di conquistarmi.

Era un gioco di potere, ma non sarebbe stato lui a vincere.
La tensione nella stanza rimase palpabile. Nonostante il mio atteggiamento di distacco, c'era qualcosa che mi inquietava. Carlos era diverso dagli altri, e questo lo sapevo bene. Nonostante avessi cercato di non farmi coinvolgere, il suo comportamento, la sua insistenza, mi facevano dubitare della mia stessa capacità di restare indifferente.

Dopo qualche minuto di silenzio, Carlos fece un passo in avanti, avvicinandosi lentamente. "Se pensi che io sia qui per un semplice gioco, stai sbagliando," disse, la sua voce più profonda, più seria, come se stesse cercando di entrare davvero nella mia testa. "Io non mi arrendo facilmente."

Mi fermai, senza voltarmi. La sua voce mi toccava in un modo che non riuscivo a spiegare, ma non ero pronta a lasciarlo vedere. Non ancora.

"Non voglio essere solo un altro nome per te," risposi io.
"Voglio che tu capisca che non sono come gli altri."

La mia mano tremò impercettibilmente, ma feci in modo che non lo notasse. "Tu pensi che io ti abbia dato il permesso di cercare di cambiare le cose?" risposi, girandomi finalmente verso di lui. I miei occhi erano fissi nei suoi, ma dentro di me c'era qualcosa che non riuscivo a placare. La sua determinazione mi infastidiva, ma allo stesso tempo mi attraeva. Era confuso. Come me.

Carlos fece un altro passo verso di me, il suo corpo vicino al mio, ma non abbastanza da toccarmi. "Io non ti sto chiedendo permesso," disse con un sorriso che non riusciva a nascondere la sua frustrazione. "E non ti sto chiedendo di accettarmi subito. Ma qualcosa tra noi è diverso, e lo sai. Non puoi ignorarlo."

Mi sentivo come se un'ondata di emozioni contrastanti mi stesse travolgendo, ma cercai di mantenere il controllo. Non avrei mai permesso a nessuno di farmi perdere la lucidità. Specialmente non a Carlos.

"Non voglio che tu faccia supposizioni su di me," dissi, la mia voce più fredda, più distante. "Sono qui per me stessa, non per qualcun altro. E tu non hai il diritto di decidere cosa è meglio per me."

Il suo sorriso svanì per un momento, ma non si arrese. "Non è una questione di decidere per te, Layla," rispose con tono più basso, più intenso. "È solo una questione di guardare le cose per quello che sono. E tu lo sai. Quello che c'è tra di noi non è come gli altri incontri, le altre storie. Io ci credo, anche se tu non lo vuoi ammettere."

Rimasi in silenzio, il cuore che batteva forte nel petto. Non volevo ammetterlo, ma le sue parole mi colpivano, nonostante cercassi di allontanarle. Sentivo il suo sguardo su di me, il calore della sua presenza che, in un modo strano, mi faceva sentire viva, ma allo stesso tempo vulnerabile.

"Non fare il mio gioco," sussurrai, la voce tremante per un momento, ma poi mi ripresi. "Io non sono come le altre."

Jackson, invece di rispondere subito, fece un passo indietro e mi osservò per un lungo istante. Sembrava studiarmi, come se stesse cercando di capire chi fossi davvero, di capire perché avessi questo muro intorno a me.

"Non ti voglio cambiare," disse infine, con una calma che non avevo mai sentito prima. "Voglio solo che tu mi permetta di entrare nella tua vita, anche solo un po'. Non devi avere paura di perdere il controllo. Non è questo che sto cercando."

Mi fissò per un lungo momento, senza aggiungere altro. Il silenzio tra noi era carico di significato. Mi stavo arrendendo a me stessa più che a lui, ma non avevo intenzione di ammetterlo. Non ancora.

"Vedi, Carlos," dissi infine, mentre mi giravo per prendere il mio giubbotto, "la verità è che non voglio essere salvata. E non voglio nessuno che mi dica cosa fare."

Lui non replicò subito. Poi, con voce più bassa, disse: "Non sto cercando di salvarti, Layla. Sto cercando solo di stare con te. Punto."

Mi voltai di nuovo verso di lui, gli occhi pieni di sfida ma anche di una curiosità che non riuscivo a nascondere. "Non pensare che mi abbatterò così facilmente," risposi, sorridendo con un angolo della bocca. "La mia indipendenza è qualcosa che non darò mai via."

Carlos mi guardò con un'intensità che non avevo mai visto prima, ma non disse nulla. La sua bocca si aprì per parlare, ma si fermò. In qualche modo, ci eravamo trovati in un angolo senza via d'uscita.

Eppure, nessuno dei due voleva davvero scappare.

Carlos rimase fermo, il suo sguardo fisso nei miei occhi, come se stesse cercando di decifrare ciò che si nascondeva dietro le mie parole. Il silenzio tra noi sembrava denso, carico di una tensione che non volevo ammettere, ma che era impossibile ignorare. Nonostante il mio atteggiamento di distanza, qualcosa tra noi stava cambiando, e lo sentivo chiaramente. Non era solo la sua presenza che mi influenzava, ma qualcosa di più profondo, qualcosa che non avevo mai voluto affrontare.

"Non ti sto chiedendo di arrenderti," disse infine, la sua voce più morbida, ma non meno intensa. "Non voglio che tu cambi chi sei, Layla. Non ti voglio cambiare. Ma voglio che tu lasci entrare qualcuno nella tua vita, almeno per un po'. Lascia che ti conosca, lascia che tu mi conosca. Non è una battaglia. Non deve esserlo."

Il mio cuore batté più forte, ma cercai di mantenere il controllo, non volevo sembrare vulnerabile. "Non è una questione di battaglia, Carlos. È una questione di fiducia, e io non so se posso fidarmi di te." La mia voce tremò appena, ma recuperai subito. "Non sono come le altre. Non sono quella che pensi."

Carlos  fece un passo verso di me, la sua presenza così vicina che potevo sentire il suo respiro. Ma non mi mosse. Rimanemmo entrambi lì, in equilibrio, come se fossimo sospesi in un momento che non voleva terminare.

"Sai," iniziò, la sua voce calma, ma con un'incredibile intensità. "Io non ti sto chiedendo di essere come le altre. Voglio solo che tu mi dia una possibilità, Layla. Non per cambiare te stessa, ma per vederti per quella che sei veramente. Non voglio più vivere nel buio delle supposizioni. Voglio vedere te, senza maschere."

Il suo sguardo era penetrante, e in quel momento mi sentii completamente esposta, più di quanto avessi mai voluto. Ma nonostante la paura che mi prendeva, sentivo una parte di me che voleva davvero lasciarmi andare. La mia indifferenza, la mia distanza, erano il muro che avevo costruito per proteggermi, ma ora quel muro sembrava farsi sempre più sottile.

"E se non ti piacessi?" chiesi, cercando di rimanere ferma. "E se quello che vedessi non fosse ciò che pensi di volere?"
Carlos sorrise, ma non era un sorriso di trionfo, piuttosto un sorriso comprensivo, come se già sapesse che questa domanda non era solo una resistenza, ma una parte di me che voleva essere rassicurata. "Mi piace già," disse, avvicinandosi ancora di più. "E non sono qui per cambiare niente. Sono qui per scoprire chi sei, Layla. E per vedere cosa potrebbe succedere, se ci lasciamo andare."

Ero confusa, ma non potevo ignorare ciò che provavo. Quella sensazione di connessione, quella sfida a restare indifferente. Carlos  non stava cercando di sedurmi, stava cercando di farmi capire che potevo essere me stessa con lui, senza paura di essere giudicata o cambiata.

"Non è facile per me," dissi infine, la mia voce un po' più dolce, nonostante cercassi di mantenermi ferma. "Non è facile lasciarsi andare."

"Non ti sto chiedendo di farlo subito," rispose, con un tono che era tanto rassicurante quanto serio. "Ma voglio che tu sappia che ci sarò, in qualsiasi momento tu sia pronta."

Lo guardai, il mio cuore che batteva forte nel petto. Mi stavo avvicinando a lui, non fisicamente, ma emotivamente, e questo mi spaventava più di quanto avessi voluto ammettere. Non riuscivo a rispondere subito, non sapevo cosa dire. Ero combattuta tra il desiderio di lasciarmi andare e la paura di perdere il controllo.

Jackson rimase lì, in silenzio, senza fare mosse affrettate, aspettando che fossi pronta, che mi aprissi a lui. Eppure, in quel momento, sentivo che c'era qualcosa di profondo tra noi, qualcosa che non potevo ignorare.

"Non ti prometto nulla," dissi infine, "ma non ti respingerò. Per ora."

Il suo sorriso tornò, ma non era di vittoria. Era un sorriso di speranza, di comprensione. "Per ora è tutto quello che posso chiedere," disse, e con quel sorriso sembrava che avesse vinto una battaglia silenziosa.

Rimasi a guardarlo, ancora incerta, ma con la consapevolezza che qualcosa stava cambiando. Non so cosa sarebbe successo tra noi, ma sapevo che la mia resistenza stava lentamente svanendo. E forse, solo forse, avrei trovato il coraggio di abbattere quel muro che mi ero costruita intorno.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top