Capitolo 9 - Lui è mio amico
10 Febbraio, 1963
«Il Signore accoglierà le nostre richieste, le nostre preghiere. Quest'anima pura riuscirà a raggiungere le porte dell'eterno Paradiso e siederà accanto al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo». Padre Joseph fece una pausa.
Poi, osservando i presenti con circospezione, riprese: «Fratelli, il vostro dolore viene ascoltato e guiderà nostra sorella nel nome del Signore, Padre, Dio nostro».
Per uno strano caso, quel giorno uscì il sole a West River alzando poco meno di una decina di gradi la fredda temperatura che fino alla sera prima aveva ricoperto le strade di neve. Tutti i familiari della povera vittima accorsero numerosi alla funzione. Solo un mostro sarebbe potuto arrivare a tanto; solo un mostro sarebbe riuscito a far fuori la sua vittima con un solo colpo. Fatale.
Stoler era agitato e attendeva nervosamente che la chiesa fosse vuota prima di lasciare i presenti. Osservò, poi, il quadrante dell'orologio in acciaio che indicava le 4:30 del pomeriggio; presto avrebbe potuto ricevere l'avviso dall'ospedale dove era ricoverata Darlene Goodwinn, ancora in coma dopo l'incidente domestico.
Accanto a Felton, Benjamin era intento a scrutare ogni volto e ogni movimento dei gruppi di persone che si erano ormai creati qua e là tra le lapidi nel cimitero, chi per fare le ultime condoglianze alla famiglia della piccola Flora Walter, vittima dei rapimenti in città; chi per fare congetture scomode sull'accaduto. Poliziotti in borghese erano presenti alla funzione: non si poteva escludere la possibilità che l'autore dei rapimenti potesse essere presente, mischiandosi tra i fedeli.
Una rosa giaceva sulla bara chiara, depositata all'interno della fossa che ne portava il nome. Oltre l'orizzonte il sole iniziò a calare e una leggera brezza solleticava i petali bianchi che cominciarono a muoversi come candide carezze fatte su un volto che ormai non avrebbe più potuto giovarne.
***
Il pomeriggio passò piatto. Prima che il sole calasse del tutto i cittadini tornarono nelle proprie abitazioni a meditare sull'accaduto e soprattutto a difendersi da questa figura sconosciuta che si aggirava per strada senza che la polizia potesse impedirlo. Dall'ospedale ancora nessuna novità, Darlene Goodwinn ancora non si era risvegliata e l'operazione al petto l'aveva ancora più indebolita tant'è che i medici avevano poche speranze in una sua piena ripresa. I medicinali la inducevano in uno stato comatoso dal quale era difficile destarsi e che, piano piano, indeboliva la sua, già precaria, situazione fisica e mentale. Più volte gli infermieri si affrettarono a soccorrerla;
più volte aveva rischiato di farsi
sfuggire la vita dalle mani esili e pallide ma,
a quanto pareva, non era ancora giunto
il suo momento.
I poliziotti, a turno, facevano da guardiani al suo capezzale, si informavano riguardo alle cure prescritte o, anche, al suo sempre più improbabile risveglio
Stoler difficilmente si addentrava nel reparto di terapia intensiva all'interno del quale la signora Goodwinn era ricoverata. Non sopportava quella sensazione di angoscia mista a speranza della quale erano intrise le pareti. Stesi in quei letti, assorti in un sonno agghiacciante, vi erano padri di famiglia, giovani figli, adolescenti, donne e bambini.
Gli infermieri facevano appello al rispetto e al buon senso dei visitatori affinché in tutto il reparto non ci fosse alcun motivo di fastidio. Sembravano tutti come rinchiusi in una piccola sfera di cristallo: sarebbe bastato anche solo un alito di vento per distruggere quella finta quiete che era così pressante da riempire le orecchie. La presenza della morte era palpabile e la falce del cupo mietitore era alla portata di tutti.
Nel frattempo, mentre Darlene oscillava tra la vita e la morte, Jason fu accusato di percosse aggravate e violenza domestica ripetuta. Inoltre, grazie ai referti già depositati negli archivi dell'ospedale, fu possibile accertare che le violenze subite dalla povera donna erano cominciate molto tempo addietro. La colpevolezza dell'imputato fu un sollievo per l'accusa durante il processo, tenutosi due giorni dopo l'accaduto; la giuria lo considerò come "patologicamente aggressivo" e venne fissata un'ordinanza restrittiva in difesa delle vittime affinché, una volta liberatosi dalla galera, non potesse più causare loro dolore.
Se la vicenda dei due tristi amanti si risolse in nome della giustizia, diverso fu invece il caso del tentato rapimento della piccola Goodwinn.
Le indagini proseguirono imperterrite, malgrado i pochi strumenti a disposizione degli inquirenti, i quali si trovavano distanti dalla soluzione finale tanto quanto lo fossero il giorno della prima sparizione avvenuta in città. Jvonne non venne messa al corrente dello stato clinico della madre: secondo gli assistenti sociali, le vicende avrebbero potuto turbare lo stato emotivo della bambina. Si convenne di proseguire con l'interrogatorio sui fatti della notte precedente in presenza di un istitutore, essendo Jvonne ancora troppo lontana dalla maggiore età.
Benjamin volle dirigere in prima persona l'incontro, aveva già instaurato un ottimo rapporto di fiducia con la bambina che non sarebbe dovuto essere sottovalutato. Jvonne venne accompagnata in una stanza più accogliente rispetto alla sala interrogatori.
Era un'aula riscaldata, con tavolini bassi in mogano scuro sui quali si affacciavano divani in stoffa, privi di braccioli ai lati, colorati di un blu acceso, rassicurante. Sui suddetti tavolini erano sparpagliati una serie di fogli bianchi sui quali Jvonne avrebbe iniziato ben presto a scarabocchiare, affinché potesse essere inserita in un contesto tranquillo e privo di influenze esterne che avrebbero potuto condizionare il racconto o lo stato d'animo della, seppur piccola, testimone. Le veneziane illuminavano a tratti il pavimento scuro della stanza mentre la bambina canticchiava accovacciata sulle ginocchia.
Stoler e Mary Ann Parks, l'assistente sociale che l'aveva in custodia, entrarono insieme. La donna si sedette accanto a lei mentre Benjamin rimase di fronte alla porta, in attesa, poi si accomodò.
«Ciao, Jvonne» Ben fece una pausa, «Ti ricordi di me?» chiese infine.
Jvonne alzò la testa in direzione dell'uomo, socchiuse gli occhi come per ricordarsi e poi esordì: «I tuoi amici hanno fatto delle domande al mio papà e alla mia mamma».
Stoler sorrise, la piccola Goodwinn era davvero una peperina, quasi gli ricordava Claire. Il suo volto si incupì ma subito si ricompose, non poteva mischiare la sua vita privata con quella lavorativa, anche se, in realtà, era consapevole che era ormai tardi affinché questa divisione potesse avvenire.
«Dov'è la mia mamma?».
I pensieri di Benjamin furono interrotti da due occhioni che lo fissavano scrutandolo attentamente e, a momenti, parve come se si sentisse colpevole, come se fosse lui la causa del suo male. Mary Ann intervenne, rassicurandola: presto si sarebbe potuta ricongiungere alla madre e, insieme, sarebbero potute andar via, magari dimenticandosi di quegli anni orribili che sono state costrette a vivere.
«Noi abbiamo bisogno di te, Jvonne» ammise Ben mentre la piccola tornò a concentrarsi sul suo disegno colorato. Non ci fu risposta, quindi l'agente continuò: «Potresti raccontarmi cosa è successo qualche sera fa? Mamma e papà stavano litigando di nuovo?» chiese. Jvonne non distolse lo sguardo dal foglio e fece cenno di sì con la testa. Il poliziotto attese.
«Mamma e papà litigano sempre, ma la mamma dice che non fa niente. Litigano perché si vogliono bene» ammise con voce poco convinta. Benjamin e Mary Ann si guardarono, interdetti.
«E poi? Mi hai detto che qualcuno ti aveva chiamata dalla finestra. No?» chiese ancora Stoler.
Jvonne smise di colorare per qualche secondo, fissò il pavimento con occhi vuoti.
I presenti ebbero la sensazione che
l'anima della piccola, sperando di fuggire da
quella stanza, si fosse staccata dal suo esile
corpicino per poi ritornarci con una
forza spaventosa.
Successivamente, ritornò a colorare.
«Sì.» disse poi.
«Ti va di raccontarmi com'è andata? Chi era?» il tono dell'agente si fece più grave.
«Io e la mamma dormivamo sul divano. Sentivo freddo e mi sono svegliata» raccontò la bambina facendo una leggera pausa, come per ricordarsi, poi, continuò: «Oh sì!» esordì, «Poi, ha bussato alla finestra» e concluse; dal suo tono di voce trapelava una calma disarmate.
«E tu? Tu avevi già visto quell'uomo?» Ben fremeva.
«Mh, mh» disse Jvonne e annuì anche con la testa.
Infine, come per rispondere ad una domandasilenziosa che Benjamin Stoler non ebbe il coraggio di porre, la bambina deiGoodwinn aggiunse: «È mio amico» disse smettendo di colorare. Alzò il suogiovane sguardo verso il volto ormai atterrito del poliziotto. Il suo cuoremancò un battito proprio quando Jvonne aggiunse: «Lui viene a scuola con me».
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