Capitolo 8 - Claire Stoler



28 Maggio, 1935

«Mamma! Mamma!» si sentì urlare dalla camera in fondo al corridoio. «Aiuto, mamma! Fermalo!» continuarono le urla.

Monica mise i suoi piedi scalzi sulla moquette. Era soffice e calda ma non ebbe il tempo di assaporarne il piacere a causa delle grida che continuavano a propagarsi per la casa, ancora addormentata data l'ora tarda.

Ancora assonnata, Monica lasciò il suo posto caldo per dirigersi nella direzione dalla quale provenivano le richieste d'aiuto ma sembrava non esserne spaventata. Indossò la sua vestaglia da notte in seta lucente, di una tonalità di viola che ricordava quella delle prugne di stagione, mature, saporite e cremose, una sorta di gioia per il palato, proprio come lei, e si incamminò nel buio della notte strascicando i piedi stanchi sul pavimento caldo, come se pesassero quintali. «Mamma!» si sentì ancora ma questa volta con una intensità più bassa rispetto alle volte precedenti.

Forse qualcosa, o qualcuno, lo stava portando

via dalla sua casa? Lo stava portando

via dal suo letto?

Dopo una decina di passi, durati probabilmente un'eternità a causa del pesante intontimento, Monica, con i suoi corti capelli dorati, fece capolino dalla porta. La camera era per metà buia, mentre in un solo angolo, in direzione dell'entrata, la luce del lampione che dava sulla strada, timidamente illuminava il comodino in verde pastello posto accanto al letto. Dopo un sonoro sbadiglio, la donna entrò nella camera del figlio, ancora addormentato, che nel sonno riprese a contorcersi e ad urlare chiamando, per l'ennesima volta, l'attenzione della madre. 

Sedutasi ai piedi del letto, Monica disse con tono calmo, quasi rassegnato: «Ben, Benjamin, amore mio» e, poi, aggiunse: «Svegliati, tesoro» poggiandogli la sua mano snella sulla guancia sudaticcia.

Ben aprì gli occhi, atterrito. Aveva il viso pallido e, sebbene Monica fosse riuscita a salvarlo da quel brutto incubo, il piccolo continuava ad ansimare dalla paura.

«Ben, era solo un brutto sogno, di nuovo» gli disse cercando di farlo calmare ma qualsiasi tentativo materno sembrava rivelarsi inutile. Gli occhi dell'ometto Stoler si riempirono di lacrime ma "No!" non doveva piangere. Era ormai un bambino grande, aveva ormai 8 anni e 4 mesi e i "bambini della mia età sono ormai forti e coraggiosi" pensò passandosi il polsino del pigiama sul naso per nascondere le goccioline di muco; «Scusa, mamma» disse, poi, con voce tremolante.

«Ti va di raccontarmi cosa hai sognato questa volta?» chiese la donna, mentre i suoi occhi giallo miele si erano ormai liberati dallo stordimento dovuto al sonno.

«Mamma, lui era... e poi io avevo... però poi lui...» balbettò Ben, ancora traumatizzato da quel sogno orribile che in verità gli sembrò così tanto reale.

Riflettendoci, poi, Benjamin decise che non avrebbe potuto raccontare nulla alla sua mamma, era solo un brutto sogno e doveva dimostrarsi coraggioso ancora una volta, come se ciò che aveva immaginato non era poi così tanto spaventoso e, quindi, decise di mentire: «Mamma, non lo ricordo più» aggiunse in fine, con tono sommesso.

Monica sapeva che il piccolo le stava nascondendo qualcosa ma non volle insistere. Obbligarlo a parlare sarebbe stato più traumatico per lui e non era il caso di fargli ulteriormente pressione. Lei, perciò, gli sorrise con le sue labbra sottili dal color rosso ciliegia, lo abbracciò, lo strinse forte affinché quella stretta potesse aiutarlo a farlo calmare. E, infatti, petto contro petto, il cuore di Benjamin si placò, permettendogli di tornare a dormire con più tranquillità rispetto a poco tempo prima, quando si svegliò di soprassalto a causa di quell'orribile visione.

Monica gli rimboccò la copertina in cotone leggero, gli diede un bacio sulla fronte e, socchiudendo la porta dietro di sé, tornò a dormire nel suo letto prima che la sveglia delle 6 potesse suonare per obbligarla ad alzarsi e andare a lavoro.

***

A colazione, Ben sembrava non ricordare più nulla di ciò che era successo la notte precedente e di quello strano incubo non c'era più alcuna traccia. Monica, dal canto suo, decise di appoggiare la situazione precaria del piccolo e di non proferire parola alcuna sull'accaduto, come un tacito accordo fra le parti. Mentre Carl, il marito, si sistemava la sua uniforme da poliziotto prima di recarsi a lavoro, Ben si affrettò a finire il suo toast con burro e marmellata. Sperava che il papà potesse accompagnarlo a scuola evitandosi, almeno per quel tragitto, la lunga strada con addosso il pesante zainetto e con, in più, una bambinetta petulante alle calcagna.

«Claire, sei pronta?» urlò Monica dalla rampa delle scale in direzione della cameretta dei bambini dove la piccola era intenta ad infilare malamente la sua bambolina di pezza nello zainetto rosa con le cuciture gialle, evitando anche di farsi scoprire dai genitori.

«Sì, mamma» si sentì rispondere la donna, già pronta per lasciare i familiare e per incamminarsi sulla via del piccolo supermercato nel quale lavorava.

Una piccola peste si materializzò ai piedi della scalinata, pronta per andare a scuola. Claire era più piccola di Benjamin di soli 3 anni. I suoi occhi furbi, dello stesso color miele della madre, si riconoscevano anche a distanza di chilometri e, con le sue alte codine bionde, si capiva fin da subito quando decideva di organizzare qualche marachella, la maggior parte delle quali erano tutte indirizzate verso il fratello maggiore.

In perfetto orario i due bambini arrivarono a scuola grazie anche al passaggio del papà che, dopo essersi raccomandato con loro, sparì lungo la via. La giornata passò con estrema calma e nel giro di qualche ora Claire e Benjamin si ritrovarono fuori l'aula, già pronti per tornare a casa.

Il ritorno sembrava stesse durando un'eternità e, sotto il sole delle tre di pomeriggio, la stanchezza era sempre più palpabile.

«Beeen! Sono stanca. Ho caldo. Ho fame. Ho sete. Devo fare pipì. Voglio sedermi» iniziò a lamentarsi Claire, mettendo a dura prova la pazienza del piccolo Stoler.

«Prima arriviamo a casa e prima smetterai di lamentarti» l'ammonì, ma senza alcun risultato e di rimando la sorellina rispose: «Sì, ma io ho caldo adesso!». Benjamin borbottò qualcosa di incomprensibile a bassa voce affinché Claire non lo sentisse, avrebbe fatto sicuramente la spia.

«Beniamino» lo canzonò, «Ci fermiamo? Io sono stanca!» insistette lei, con un tono più duro rispetto alle volte precedenti e continuò: «Beniamiiii...».

«Adesso smettila! Io non mi chiamo così! Stupida!» la interruppe Ben rendendosi conto troppo tardi di averle urlato contro in un modo severo, anche troppo anche per un bambino di 8 anni.

Gli occhi di Claire, nel giro di qualche istante, si riempirono di lacrime che iniziarono a scendere copiosamente sulle guanciotte rosse. Prese ad urlare e corse via, lontano da quel fratello che aveva perso le staffe urlandole contro. Una bambina di 5 anni, da sola, imprevedibile e ingestibile per la sua età, era sfuggita al controllo di Ben e, accortosi dell'errore e volendosi evitare la strigliata della sua mamma non appena avesse messo piede in casa, prese a rincorrerla per evitare che combinasse altri guai in sua assenza.

Con lo sguardo offuscato dal pianto e dalle mani che le coprivano il viso, Claire continuava a correre non vedendo verso dove era diretta. Urlò per tutto il tragitto, corse con i suoi piccoli piedini e con la testolina della bambola che penzolava dal lato dello zaino. Ben ad un certo punto ne perse le tracce. Sentiva solo in lontananza i lamenti e i piagnucolii della sorellina e cercò di orientarsi verso quella direzione. Correndo, inciampò sul giocattolino di pezza di Claire, probabilmente lo aveva perso durante la corsa.

«Claire, scusami. Dai, torna qui!» la implorò il piccolo, ma dall'altro lato non ottenne alcuna risposta se non le continue urla in lontananza. «Claire. Torna qui, Miss Purple si sente sola» continuò, facendo appello all'affetto che la sorellina provava nei confronti della sua bambolina di pezza.

Ad un certo punto, non appena Ben ebbe terminato di chiamarla, smisero anche le urla ed i pianti. Tutt'intorno non si muoveva una foglia, c'era silenzio infranto solo dal chiassoso frinire dei grilli che gli riempivano le orecchie, fin quando lui stesso non spezzò quella strana quiete: «Claire!!», la sua voce si propagò con un eco spaventoso, «Claire!!» insistette. Terrorizzato corse oltre gli alberi. Sotto ai suoi piedi sentiva i rametti e le foglie secche scricchiolare al suo passaggio, sgretolarsi sotto al suo peso, si frantumavano e si alternavano ancora al verso dei grilli.

«Claire!!» urlò ancora una volta con la voce spezzata dalla stanchezza e dalle palpitazioni dovute alla corsa frenetica. Era quasi al limite ma doveva continuare a correre, doveva trovare la sorellina che già da un po' aveva smesso di farsi sentire. Oltre gli alberi, si ritrovò di fronte al molo, si ritrovò di fronte al fiume di West River.

Non ci volle pensare, non poteva credere ad una tragedia del genere e così continuò a cercarla, ad urlare il suo nome: «Claire! Ti prego, torna qui!» disse spaventato per l'ultima volta.

Non appena abbassò lo sguardo, la trovò. I suoi incubi gli erano tornati in mente, tutti insieme, come un pugno allo stomaco. Erano diventati realtà. Rimase immobile, bloccato, non riuscì più a muoversi, non riuscì nemmeno più a respirare. La vita di Ben cambiò in quel preciso istante.

Il 29 Maggio del 1935 Claire Stoler venne trovata dal fratello Benjamin riversa nel fiume mentre il suo piccolo corpicino galleggiava sulla superficie piatta del corso d'acqua, a pancia in giù e con ancora indosso il suo zainetto rosa. 

Spazio autrice:
Mi rendo conto della mia lunga assenza, cercherò di rimediare.
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