Capitolo 5 - Jvonne
2 Febbraio, 1963
«A tutte le unità. Denunciata la scomparsa di Jvonne Goodwinn. Ripeto, denunciata la scomparsa di Jvonne Goodwin».
«Qui, capitano Stoler, unità 20-15, attendo altre informazioni» disse alla sua collega dall'altro lato dell'apparecchio.
«Tra la XIIa e Saint Derrick» rispose l'altra di rimando.
«Sono a due minuti da lì. Ci sto andando» concluse Stoler prima di incamminarsi.
La bufera di neve si era ormai placata e per strada era possibile camminare cautamente. Non appena Stoler imboccò la via designata notò che i pali della luce non stavano illuminando la strada, "Probabilmente la tormenta ha fatto saltare la luce" dedusse prima di accostare di fronte all'abitazione dei Goodwinn. Fece per uscire dalla volante quando scorse uno strano movimento provenire dalla siepe accanto alla proprietà. Il vento si era ormai acquietato a West River e l'unica cosa che avrebbe potuto far muovere a quel modo le foglie era sicuramente qualcosa, o meglio dire, qualcuno.
Stoler si sporse sul sedile del passeggero per mettere a fuoco la vista, sperando che i troppi caffè bevuti e le poche ore di sonno non gli stessero giocando un brutto scherzo. Le foglie si mossero di nuovo facendo cadere sul terreno pezzetti di neve sciolta rimasta attaccata all'alta siepe, al che, Ben prese nuovamente il walkie talkie dell'auto per chiedere rinforzi. Probabilmente sotto quella siepe si sarebbe potuto aggirare il colpevole di tutti questi crimini e probabilmente sarebbe finalmente stato colto in flagranza di reato.
«Ricevuto, capitano. Stanno arrivando le altre pattuglie». Stoler non attese nemmeno che la sua collega terminasse la frase, mise mano alla fondina per estrarre la pistola.
Non appena si posizionò fuori dall'auto, con la mira puntata, urlò: «Polizia! Esci con le mani alzate!».
Il cuore gli batteva a mille, gli esplodeva nel petto e nel silenzio della notte era l'unico rumore che riusciva a sentire. Aveva atteso questo momento ormai da troppo tempo. Erano sei anni che sperava di trovare quel fottuto bastardo per assicurarlo alla giustizia, torchiarlo fino a fargli cantare dove fossero nascoste le bambine e il motivo per il quale aveva architettato questi sconvolgenti rapimenti. Ma da dietro la siepe nessuno rispose.
«Lo ripeto per l'ultima volta. Esci da lì tenendo le mani alzate!» intimò nuovamente Stoler. Ma ancora nessun movimento. Non poteva esserselo immaginato, non poteva aver confuso qualcuno nascosto lì in mezzo con il semplice agitarsi delle foglie.
Era in quella posizione ormai da cinque minuti, non urlò, non incitò nessuno ad uscire da quel nascondiglio e per di più non si mosse. In lontananza si videro arrivare i rinforzi con le sirene spiegate; una, due, tre auto della polizia con a bordo gli agenti che correvano in suo aiuto, mentre lui era ancora lì a lottare con la sua mente e con la sua convinzione che lo portava a puntare la pistola contro una beffa dettata probabilmente dalla fatica accumulatasi. I compagni, giunti sul posto, fissarono per qualche secondo il loro capitano, poi, spostarono gli occhi verso il suo obiettivo e, per qualche minuto, rivolsero le loro armi nella stessa direzione.
«Esci da lì, con le mani in alto!», si sentì urlare ancora seppur questa volta da un agente poco più giovane di Stoler.
"Se l'era forse immaginato?"
Ora era più convinto che mai del suo default e come se non bastasse aveva richiamato l'attenzione dei poliziotti su di lui che, a quanto pareva dalle loro espressioni, presero a dubitare della sua lucidità sul caso. Samuel Felton, l'agente più anziano, collega stimato di Stoler, intimò i suoi sottoposti di abbassare le armi mentre Ben continuava a non perdere la visuale del suo obiettivo con la pistola puntata, dritta. Felton mise una mano sul carrello della semiautomatica del collega, convinto che tutta quella storia gli avesse dato alla testa.
Eppure, non appena la convinzione di Stoler stava iniziando a vacillare, la siepe si mosse di nuovo facendo scattare tutti gli agenti sull'attenti. Felton tentò di urlare per l'ultima volta la frase di rito prima di aprire il fuoco contro l'ignoto. Tuttavia, dalle foglie, sbucarono due piccole manine rosa. I poliziotti non abbassarono le armi, troppo pericoloso. Era forse possibile che, dietro quelle piccole mani di una probabile bambina, si nascondesse il carnefice a cui era stato impedito di fuggire all'ultimo momento.
Stoler, invece, con tono deciso ma calmo, urlò: «Sto mettendo via la pistola», lo fece.
«Vieni piccola, esci da lì», concluse. A tastoni, si iniziò ad intravedere la testolina, poi il corpicino e infine, con estremo sollievo degli agenti, Jvonne Goodwinn uscì tutta intera da quel suo nascondiglio gelato.
***
Il dipartimento di polizia era nel caos a questo punto delle indagini. Gli agenti erano stati tutti impiegati per i diversi casi di sparizione nonché nei casi di ordinaria amministrazione pubblica e civile. Dalle pareti trapelavano odori pungenti dovuti al sudore degli agenti che non tornavano a casa per una doccia da giorni e dal forte sapore del caffè che non mancava mai nella brocca calda dell'area ristoro.
Jvonne era stata affidata ai servizi sociali che si sarebbero presi cura di lei mentre i suoi genitori venivano interrogati separatamente. Era necessario escludere un falso allarme. Dopo il colloquio con i coniugi Goodwinn sarebbe toccato alla piccola raccontare l'accaduto.
«Bene, adesso, avanziamo con calma. Dov'era questa sera prima di chiamare la polizia e dare l'allarme?» chiese Ben al padre della bambina.
«Mi faccia capire» disse l'uomo evitando la domanda, «Io e mia moglie siamo accusati di qualcosa, forse?» chiese rivolgendosi all'agente.
«Questo lo stabiliremo in seguito. Dipenderà da ciò che lei e sua moglie direte, serve solo capire se si è trattato di un rapimento finito male o solo della vostra negligenza come genitori» esordì Stoler.
Felton lo guardò di sottecchi, contrariato.
«Allora, le faccio nuovamente la domanda. Dov'era lei questa sera prima di dare l'allarme?», Ben era impaziente.
«Io e mia moglie stavamo litigando» disse.
«Perché?» chiese Stoler con tono piatto senza essere certo che l'interrogato avesse o meno terminato la frase.
«Perché la bambina faceva i capricci. Aveva smesso di mangiare la carne e per mia moglie non era un problema. Per me, invece, serve che Jvonne abbia tutte le proteine necessarie per la crescita» confidò Jason Goodwinn.
«Per questo vi siete distratti da lei?» chiese con calma Felton.
«Sì. Ci siamo allontanati per non farle sentire le urla. Sa com'è?! Si finisce col degenerare senza volerlo, uscendo discorsi che potrebbero non centrare nulla con l'oggetto del discorso» disse Jason.
«E da quel momento?» chiese Stoler attirando su di sé di nuovo l'attenzione dei presenti.
«E da quel momento io sono andato a dormire! Sa com'è, lavoro anche io!» rispose l'uomo con un tono di voce alto e duro.
«Si sta agitando? La sto, per caso, infastidendo?» ironizzò il capitano.
«Non... non... lei non può...» iniziò a balbettare Jason.
***
«Ci sta nascondendo qualcosa!» urlò Stoler al collega non appena i due uscirono dalla sala interrogatori.
«Non puoi saperlo» rispose con voce piatta Felton.
«Che significa che non posso saperlo, Sam?», Ben era teso, stava perdendo la calma.
«Significa che sei troppo coinvolto nel caso e stai accusando un uomo spaventato di essere un padre incompetente, Ben!» disse Felton.
«Ma non capisci? Forse siamo ad un passo dalla risposta!» sbottò il capitano.
Sam si avventò sul partner prendendolo per un braccio. Strinse forte e lo tirò a sé affinché potesse essere ad altezza del suo orecchio per poterlo ammonire senza dare troppo nell'occhio, «Smettila di fare il cazzone e vai a prendere una tazza di caffè. Torna dentro solo quando ti sarai schiarito le idee!» disse scaraventandolo più avanti senza, però, fargli perdere l'equilibrio. Stoler obbedì.
La macchinetta del caffè era proprio vicino a dove era seduta la piccola dei Goodwinn. Quell'ala del dipartimento era la più calda, vicino al forno a microonde per scaldare i cibi vecchi, conservati da giorni. Nessuno ha mai detto che la vita da poliziotto è semplice, nemmeno per il consumo dei pasti.
«Cosa state facendo al mio papà?» chiese la bambina non appena l'agente si avvicinò alle tazze in cartone riciclato. Stoler diede un'occhiata in giro, poi si girò di nuovo a guardarla.
«Ciao, Jvonne» disse, accovacciandosi vicino alla sedia della piccola, «Io sono il capitano di tutta questa gente che vedi qui. Mi chiamo Benjamin, ma i miei amici mi chiamano Ben. Tu sei mia amica?» le chiese Stoler per accattivarsi la sua fiducia. Jvonne fece sì con la testa.
«Cosa state facendo al mio papà?» chiese di nuovo.
«Il tuo papà sta rispondendo ad alcune domande di alcuni miei amici. Vogliamo sapere cosa è successo 'sta sera. Vogliamo capire perché ti sei nascosta tra le foglie» spiegò.
«E perché lo chiedete al mio papà?» incalzò la piccola.
«Beh, perché è una persona grande e le persone grandi devono rispondere alle domande della polizia» tentò di calmarla.
«Ma anche io sono una persona grande. Ormai ho 6 anni e mezzo» disse la bambina soddisfatta.
A Stoler si raggelò il sangue. "6 anni e mezzo? Qualcosa non torna. Tutte le vittime scomparse avevano un'età che va dagli 8 ai 10 anni. Jvonne è ben lontana dell'età delle altre bambine" pensò. Cercò di riprendere il controllo della discussione, «Allora, visto che sei una persona grande, posso farti alcune domande, vero?» giocò il capitano. Jvonne fece di nuovo di sì con la testa.
«Perché ti sei allontanata da casa ieri sera?» chiese sperando che la risposta fosse inerente al litigio dei coniugi Goodwinn.
La bambina inspirò, prese coraggio e, non appena si sentì pronta a parlare, disse: «Perché, mi aveva chiamata. Si era nascosto fuori alla finestra».
Il viso di Stoler sbiancò.
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