Capitolo 14 - Aaron Cox
10 febbraio, 1963
« Ma che diavolo..? » l'agente fissava l'apparecchio elettronico che aveva di fronte. « Dannato affare! » aggiunse, mentre con il palmo della mano destra colpiva il monitor illuminato. Aaron rimase immobile a guardare la scena. Gli occhi gli si incerchiarono di nero e tutt'intorno la pelle si faceva più pallida di quanto già non lo fosse.
« Signore – l'agente cercò di richiamare l'attenzione dell'uomo che aveva di fronte – si sente bene? » quelle parole si persero nell'aria andandosi a schiantare contro il soffitto chiazzato. Le pupille del signor Cox erano come bloccate e, nel frattempo, fissavano il vuoto. Si sentì la bocca secca, priva di saliva e contemporaneamente si teneva con le mani serrate sulla sedia in plastica sulla quale era stato fatto accomodare. Gli occhi inchiodati, immobili davanti a sé, spalmati sugli agenti e, di punto in bianco, si ritrovò a guardare il cielo con le palpebre che gli si appesantirono come un macigno. Tutti gli altri intorno a lui scattarono sull'attenti correndo a chiamare i soccorsi.
Aaron Cox era svenuto.
Si risvegliò poco dopo, intontito. Pareva che gli fosse passato sulla testa uno di quei grossi pullman inglesi, quelli rossi a due piani pieni di inglesi indaffarati e di turisti entusiasti. Gli girava la testa e non riusciva a rimettersi in piedi dato che era stato fatto sdraiare su una delle brandine grigio topo con le lenzuola pesanti e ruvide sulle quali si andavano a riposare a rotazione gli agenti, situate nell'infermeria. Era stata fatta arrivare un'ambulanza che, dopo aver visitato l'uomo, garantendo il suo stato di salute, si era già congedata. Si tastò le larghe tasche del pantalone da una delle quali estrasse un flaconcino arancione chiuso da un tappo bianco e si fece scivolare sulla mano mingherlina due piccole pastiglie di Clonazepam che, con un gesto veloce e sapiente, si lanciò sulla lingua per poi inghiottirle.
Rimase seduto perpendicolare al materasso sottile e si guardò intorno mentre le gambe ciondolavano ad una distanza dal pavimento particolarmente ironica: pareva anche lui uno di quei bambini terrorizzati per aver smarrito la mamma. Non seppe esattamente quanto tempo aveva passato lì sdraiato, in quella stanzetta vuota, col vocio ovattato dei poliziotti in lontananza ma decise che fosse stato anche troppo. Con uno scatto rapido si fece forza per scendere con un balzo sul pavimento e, barcollante e con la mente annebbiata, si avviò verso l'uscio.
Al di qua della porta il mondo non si era fermato, non aveva nemmeno accennato a rallentare mentre il Signor Cox cercava di guadagnarsi l'aria fresca e la strada illuminata che lo chiamava fuori dal dipartimento di polizia. Strascicando e strizzando gli occhi obbligandosi a risvegliarsi dal suo incubo, Aaron era sempre più vicino al portone del distretto;
pensò di farcela senza essere obbligato a parlare con qualcuno per dover dare delle spiegazioni e quasi ci riuscì fino a quando
qualcuno non si accorse di lui: « Vedo che si è ripreso... si sente meglio? » gli domandò una voce calda alle sue spalle. L'uomo alzò gli occhi al cielo. Si sporse leggermente oltre il suo campo visivo dando ancora le spalle a chi era fermo dietro di lui e attendeva una risposta. I suoi occhi si fecero più ruvidi ma poi replicò con un tono più dimesso per non concludere in anticipo la commedia che aveva messo in scena fino a qualche istante prima, il sipario non era ancora calato: « S...sì, un po', la ringrazio per il suo interesse. Ora, se non le dispiace... ecco, sì... vorrei tornare a casa e dimenticare questa, oserei dire... catastrofica esperienza. » terminando con un accennato sorriso all'angolo della bocca, un sorriso che però non coinvolse gli occhi grandi e vispi che cercavano invece una via di fuga. L'uomo alle sue spalle non indugiò oltre. Lo lasciò andare con la promessa che i documenti da lui richiesti sarebbero stati pronti entro qualche settimana dopo quella data, informandolo che sarebbero stati loro a rintracciarlo ed Aaron Cox abbandonò lo stanzone, chiudendosi la porta dietro di lui.
Arrivato in strada chiuse gli occhi e prese un profondo boccone d'aria fresca, si sentì inebriato dalla purezza d'ossigeno che si faceva largo tra le sue narici e che scendeva fino a dentro i polmoni, stufi di quell'ambiente troppo viziato. Quando decise di essere abbondantemente sazio e appagato da quel senso di soddisfazione e libertà si voltò verso sinistra, verso la strada dalla quale lo stesso Ben lo vide arrivare e si incamminò ma non prima di dare un ultimo sguardo all'interno dell'androne. Era arrivato, aveva cercato di sbirciare oltre la vetrata ed era stato incastrato per non si sa quanto tempo e non era ancora riuscito ad ottenere ciò che in realtà era lo scopo della sua passeggiata notturna ingiustificata. Alzò lo sguardo con molta calma, questa volta le pupille erano diventate sottili come la punta di un ago, il suo sguardo si fece tagliente e severo ma non notò nulla. Arrivò alla conclusione che si sarebbe dovuto arrendere. Sarebbe dovuto tornarci di nuovo, magari quando quei poliziotti si sarebbero fatti risentire con la speranza che ciò non accadesse quando ormai sarebbe stato troppo tardi. Fece per avanzare, spalla ricurva, mani in tasca, mandibola serrata, piede sinistro sollevato, piede destro sull'attenti pronto a scattare in sequenza ma poi,
Ecco!
Si bloccò e la schiena ingobbita si raddrizzò, lo vide: l'obiettivo, il bersaglio, il motivo della sua presenza lì, a quell'ora tarda della notte, per quella strada, in quel dipartimento. Tutti i suoi dubbi divennero realtà, tutte le sue domande trovarono risposta, tutte le sue certezze erano lì, davanti a lui e si concentravano in un unico blocco, in un unico individuo. Eccola, scortata da una coppia di poliziotti e una donna dalla carnagione color caramello con una scura valigetta ventiquattrore tra le mani lunghe e affusolate: una bambina di 6 anni e mezzo, dagli occhi vispi e i capelli castani.
« Oh, ciao, ciao Jvonne. »
sussurrò a sé stesso Aaron con occhi compiaciuti e, accennando una leggera euforia, di fronte la vetrata dondolava la mano destra all'altezza del viso come per salutarla.
Dall'altro lato Jvonne ricambiò il saluto, contenta.
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