Capitolo 11 - Aaron Cox


10 Febbraio, 1963

«È sveglia».

«Cosa hai detto?» chiese il capitano incredulo mentre Felton stava cercando di riprendere fiato. Ben cambiò espressione. In quello stesso istante, dietro di lui, Jvonne, in compagnia dell'assistente sociale, lasciava quella stessa stanzetta che, fino a qualche istante prima, era stata trasformata in un campo di battaglia all'interno della quale si era tenuta luogo la partita orchestrata dall'agente per ottenere i risultati tanto agognati. Tuttavia, a causa dell'improvvisa interruzione, tutto il lavoro svolto, fino a quel momento con la piccola, era risultato vano.

Loid, incuriosito dall'agitazione del collega anziano, si avvicinò a loro, era in trepidante attesa di ricevere notizie, per lo più positive. «La signora Goodwinn – fece una pausa – è sveglia» ripeté Sam, questa volta con più calma, «Mi hanno appena chiamato dall'ospedale. È ancora un po' stordita, bisogna darle del tempo per riprendersi, mi hanno riferito».

Stoler mise le mani sui fianchi e si guardò i piedi come per riflettere ma era evidente che fosse già arrivato alla conclusione.

Fece di no con la testa.

«Questo non è possibile» esordì con tono duro, incrociò le braccia al petto, poi aggiunse «Ogni minuto, ogni secondo è fondamentale alle ricerche. Non possiamo aspettare, ancora» concluse come per dare una spiegazione al suo, altrimenti inspiegabile, disaccordo.

«Oh andiamo!» lo contraddisse Loid, «Non abbiamo ancora nulla sul quale lavorare. Attendere qualche ora in più e permetterle di riprendersi non mi pare poi così avventato. Oltre tutto, abbiamo bisogno di informazioni chiare e non credo che una donna in quello stato, al momento, possa essere d'aiuto» terminò con un tono deciso anche se era più che consapevole di aver parlato troppo: percepiva su di sé lo sguardo fulmineo di Benjamin e quasi si sentì ardere.

«Loid, non hai tutti i torti» lo appoggiò Sam.

Si voltò come per pensare, ma passato qualche secondo tornò a girarsi verso i suoi due colleghi e aggiunse: «John, tieniti pronto. Più tardi, recati dal...».

«Spero tu stia scherzando!» lo interruppe Stoler e, con arroganza, aggiunse: «Manda me!».

Felton tentò di dire qualcosa ma venne nuovamente zittito: «Non sono stati in grado di ricavare una confessione, di qualunque tipo, fino ad ora da una donna visibilmente fragile. A quanto pare bisogna dubitare della loro professionalità, almeno per il momento!». Ben li screditò. Aveva alzato la voce attirando l'attenzione dei colleghi seduti alle scrivanie vicine. Loid sorrise con un ghigno beffardo. Sembrava aver accusato il colpo ma non voleva darlo a vedere. Inizialmente, Sam si guardò intorno, si aggiustò nervosamente i pantaloni color cachi tirandoli dalla cintura scura, poi iniziò a fissarlo. 

Benjamin Stoler era caduto in basso. Denigrare in quel modo i suoi colleghi non faceva di lui un buon capitano e, di certo, non gli faceva onore. Era così accecato dalla riuscita del caso che aveva portato in secondo piano il rispetto e la serietà che tanto aveva decantato fino a quel momento. Aveva ormai perso di vista la stima che nutriva nei confronti di tutte quelle persone che lo avevano sostenuto e aiutato in tutti i casi già risolti in precedenza e, dal canto loro, i suoi colleghi avevano fatto esattamente lo stesso.

«Porto anche Liam. Era con me durante l'interrogatorio alla Goodwinn» disse Loid cercando l'approvazione del collega che non tardò ad arrivare. Infatti, di rimando, Sam gli fece segno di sì col capo: serviva qualcuno che avesse già instaurato un legame con la donna e chi meglio dei poliziotti che le avevano salvato la vita?

I due attesero che John si fosse allontanato. Poi, fu Felton a interrompere quel silenzio: «Vatti a fare un giro, Stoler» gli consigliò con tutto l'autocontrollo che avesse in corpo. Il capitano notò un certo fastidio al sentir pronunciare il suo cognome dalla bocca di colui che considerava un amico,

"come se fossimo due sconosciuti"

pensò. Ma a quanto pare "sconosciuti" lo erano appena diventati.

«Voglio aiutare» rispose a sua volta, irritato.

Samuel non gli tolse gli occhi di dosso, corrugò la fronte ancora più infastidito da quell'atteggiamento e, con tono grave, concluse: «No. Al momento, sei solo fastidioso come un dito nel culo».

Ben si sentì ferito nell'orgoglio da una tale affermazione. Aveva impiegato sudore e fatica per sei anni e questo si rivelò il ringraziamento offertogli. Era il capitano del dipartimento di polizia di West River ormai da sette anni e, nonostante fosse consapevole della sua poca esperienza da capo, non accennava a indietreggiare, a lasciare andare la presa. Riconosceva l'autorità di Felton, fu suo mentore nonché suo predecessore: era stato lui a cedergli il posto di capitano e, ancora oggi, la sua figura godeva del rispetto e dell'autorità di un tempo. Tuttavia, in quell'esatto momento, sei anni addietro, non avrebbe mai pensato di dover affrontare una tale minaccia. Convinto di poterla arginare gestendo al meglio la sua squadra, stava invece facendo l'esatto contrario.

Con riluttanza uscì a prendere fiato. Voleva allontanarsi da Samuel il prima possibile.

***

Era ormai notte fonda. Le giornate al dipartimento passavano senza che si potessero rallentare, come se contassero meno di 24ore, tant'è che una buona parte di quei poliziotti non ricordava nemmeno da quanto tempo mancasse da casa. La temperatura scendeva di diversi gradi in assenza del sole caldo del sud e, quella sera in particolare, c'era una luna gigantesca che capeggiava sulla cittadina, tanto da riuscire ad illuminare anche alcune zone più buie a causa dell'assenza di luci artificiali.

Stoler si sedette sulle panche in legno poste davanti all'entrata della stazione di polizia e accese la sua sigaretta. A dirla tutta, non amava fumare: non sopportava la puzza che lasciava sui vestiti, sulle mani, sulla lingua e, per di più, era totalmente contrario alla dipendenza che la nicotina causava. Sebbene avesse una tale considerazione a riguardo, ne sentiva il bisogno solo in momenti come questo, quando lo stress e la rabbia continuavano a martellargli lo stomaco. Inspirare ed espirare lo aiutava a schiarirsi quelle idee che, aggrovigliate com'erano, solo in questo malsano modo si dissipavano lasciando spazio alla tranquillità almeno per qualche minuto o, se non altro, finché la nicotina non avesse terminato il suo effetto.

Mentre era intento a godersi quella effimera calma prima di ritornare dentro, un uomo si apprestava ad affacciarsi alle vetrate del dipartimento, Ben non era certo che si fosse accorto di lui, il capitano del distretto, seduto poco più distante da lui.

«Ha bisogno di qualcosa?» chiese.

L'uomo sussultò spaventato. Non c'erano lampioni sulla via ma, nella sua posizione, appiccicato alla parete trasparente, era ben illuminato dalle luci accese all'interno del locale. Era un tipo mingherlino, gracile, pareva quasi costernato e di bassa statura. Aveva occhi e riccioluti capelli scuri che risaltavano ancora di più grazie al colore della sua pelle pallida. Sbarbato. Portava dei pantaloni di uno strano grigio chiaro, che sembravano essere più grandi di qualche taglia, uno di quei modelli quasi totalmente ricoperto di tasche, anche sui ginocchi, e un cardigan nero con una striscia bianca che correva lungo le cuciture: al di fuori dell'aspetto fisico, appariva un uomo nella media.

L'uomo si mise una mano al petto e chiuse gli occhi, stava prendendo fiato. Si poteva dire che, quasi probabilmente, non si aspettava di avere compagnia. Non appena ebbe ripreso il controllo dei suoi muscoli, si voltò in direzione di Stoler che lo fissava con aria interrogativa: di certo aveva attirato la sua attenzione.

«Emh... Sì. O meglio, no. C...cioè» prese a blaterare. Stoler spense la sigaretta, assaporata solo fino alla metà, il suo cammino verso la pace mentale era stato interrotto bruscamente. Si alzò per andargli in contro ma si mosse con molta calma.

«Sta bene?» chiese ancora.

«Oh, sì. Non c'è di che preoccuparsi – ammise l'altro con un tono evasivo – passavo da qui e mi sono chiesto... Mi domandavo se...», Stoler s'incuriosì, «Va bene, non importa. – si interruppe – A quest'ora tarda non mi pare il caso di disturbare, sarete pieni di lavoro. Immagino» tagliò corto, sperando di non attirare ulteriori domande. Ma l'esito non fu quello da lui sperato.

«Mi chiedo, infatti, di cosa possa aver bisogno un uomo a quest'ora della notte. È successo qualcosa?» chiese il capitano con un tono controllato, era il caso di indagare di più.

«Oh, no, no» sorrise nervosamente l'uomo, l'autorità del poliziotto lo infastidiva: «Si figuri, non c'è nulla che non vada» sorrise ancora, intimidito.

«Se ha bisogno di qualcosa, può dire a me. Non disturba affatto» lo rincuorò Ben e sembrava che il tipo si stesse lasciando convincere.

«In realtà c'è una cosa che mi potrebbe interessare» disse, «Mia madre tempo fa» fece una pausa, «Sa, mia ... mia mamma è una donna molto anziana – farneticò – ha ricevuto delle, come posso dire» si picchiettò il mento con l'indice destro, spaesato aggiunse: «delle molestie da parte di alcuni ragazzini. Sa come sono i ragazzini – farneticò ancora – da alcuni monelli della zona che continuavano ad infastidirla, invadendo la sua proprietà» sorrise imbarazzato. Si portò una mano alla testa, come per ricordare qualcosa, poi disse: «Aveva sporto denuncia ma ... ma ad oggi, non è cambiato nulla» terminò, finalmente, con molto sollievo.

Nonostante Stoler si stesse chiedendo il perché, a quell'ora della notte, un uomo si fosse scomodato da casa per recarsi in polizia per questo strano quesito, decise comunque di volerlo aiutare. L'uomo, a sua volta, notò l'espressione non del tutto convinta del capitano e parve, quindi, voler replicare ad una domanda che, anche se non posta ad alta voce, necessitava di una risposta. «Vede» esordì mentre veniva accompagnato alla scrivania da Ben, «Questi problemi, beh ... le molestie, sono ricominciate e – proseguì – sono molto preoccupato per la mia ... la mia mamma» sorrise ancora, disorientato.

Stoler diede cenno di aver compreso la situazione: «Certo, certo» tagliò corto. Tuttavia poi aggiunse: «Purtroppo gli archivi hanno una immensa mole di fascicoli, per cui dovrà tornare qui tra qualche giorno, probabilmente una settimana» disse Stoler visibilmente dispiaciuto e, ancora: «Come ben sa, abbiamo un sacco di lavoro qui, pertanto affiderò la questione ad uno dei miei colleghi» alzò un braccio per attirare l'attenzione di uno dei poliziotti seduto alla scrivania di fronte, mentre con l'altra gli porgeva un foglio prestampato. «Le chiedo solo di compilare il modulo di richiesta con tutte le informazioni necessarie e le faremo sapere non appena sarà possibile» concluse.

Ci mise poco tempo a trovare qualcuno a cui demandare questo impiccio di così basso conto. Gli incarichi di ordinaria amministrazione lo avevano sempre annoiato e, anche questa volta, decise che fosse il caso di delegare il lavoro ad uno dei suoi sottoposti: non aveva voglia di perdere tempo dietro ad una denuncia, soprattutto di questi tempi, c'erano casi più importanti da risolvere.

L'uomo iniziò a redigere il documento affiancato da una delle matricole.

«Può fornirmi un documento di identità?» gli chiese l'agente. Lo fissò. All'apparenza sembrava non avesse capito la richiesta, così l'altro ripeté di nuovo: «Signore, un documento di identità? Può darmelo?» parlò lentamente.

Il suo volto parve essersi gelato. Aprì le labbra come per dire qualcosa ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. La richiuse, deglutì e, infine, chiese: «Un mio documento?».

L'agente lo fissò, non capiva quale fosse il problema.

«La denuncia non è a mio nome» spiegò lo sconosciuto, poi sorrise leggermente.

Il poliziotto tentò di spiegarsi con molta calma, cercando di scandire bene le parole, l'uomo parve avere una qualche sorta di difficoltà di comprensione: «È lei che adesso, alle 3:42 di notte, è qui in centrale a richiedere il controllo del verbale. In seguito dovrà fornirmi i dati relativi al soggetto che ha sporto denuncia» concluse. Malgrado la sua riluttanza, finalmente l'uomo si mosse: mise la mano in una delle sette tasche cucite sui pantaloni ed estrasse il portafogli. Rovistò per qualche istante, poi porse al poliziotto la tessera.

Nome: Aaron

Cognome: Cox

Data di nascita: 7 Dicembre, 1934

Residente a: Savannah, Georgia

La matricola dovette distrarsi nel dover riportare le informazioni sui registri, così Aaron ne approfittò per scrutare in giro i presenti. Il dipartimento, malgrado l'orario, era in continuo movimento, il caos regnava sovrano su quelle piccole scrivanie coperte da una marea di casi e fascicoli accatastati gli uni sugli altri. Il signor Cox non fece in tempo a fare un giro di 360° che l'agente ebbe già terminato, interrompendo il suo curioso tour della sala: sembrava quasi deluso di non aver riconosciuto nessuno lì dentro.

Inaspettatamente, l'apparecchio elettronico emise uno strano suono nel momento in cui vennero inseriti i dati dell'uomo, attirando l'attenzione del poliziotto. Cox sembrò allarmarsi, si rizzò sulla schiena e trattenne il respiro mentre dalla scrivania accanto si avvicinò un secondo agente. Questi si affiancò al collega. Si mise a fissare la schermata del computer e, con aria sospetta, il suo sguardo oscillava, bloccandosi dapprima sul desktop, poi su Aaron, per poi ritornare ancora una volta a fissare lo schermo.

Qualcosa, durante la registrazione, era andatastorta e il volto di Aaron era, ancora una volta, visibilmente angustiato. 

Spazio autrice: 

Lo so, lo so, lo so. Mio odiate perché sono sparita e non ho fatto più sapere nulla di me. Avete tutte le ragioni del mondo! Ma adesso sono tornata in gran forma e prometto di essere più costante! Godetevi questo nuovo capitolo. 

Vi ricordo il mio account Instagram: sirialare 

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