6. Don't Sleep Baby
Il ricordo della festa è già confuso, come i contorni di un sogno: sfocato, distante, un panorama velato dalla foschia, una fotografia scolorita dal sole o sciupata dalla pioggia.
L'Et Rosis si fa sempre più lontano, un punto luminoso e caotico, una lampadina impazzita.
Dicono che sotto l'effetto di droghe il cervello può rispondere in maniere diverse.
Alcune sostanze provocano viaggi impressionati, creano illucinazioni vivide e spaventose, belle e paurose, colorate e ingarbugliate.
Io non vedo nessun unicorno, e penso che questo sia positivo.
La schifezza che mi hanno messo nel bicchiere non doveva essere poi così forte.
In compenso ho come l'impressione di non avere la completa padronanza del mio corpo.
È una sensazione strana, come se l'anima fosse aggrappata a malapena alle membra e stesse solo aspettando il momento giusto di volersene via.
I sensi amplificati, percepisco l'aria fredda sulla pelle, la sento compatta, quasi come un panno teso e bagnato.
Sento l'odore della strada, di umido, di polvere, il profumo delle piante e della notte.
I colori si mescolano, brillano, si fondono nella mia visione imperfetta e allucinata.
Sento i suoni che mi circondano, soffi e sussurri, sovrapporsi, confondersi.
Tutti, tranne uno vicino.
Sento il suo cuore.
Contro il mio orecchio destro.
Sento il suo cuore battere.
Mentre mi tiene in braccio, rannicchiato come un cucciolo bisognoso contro il suo petto.
Il battito regolare, morbido, come un respiro.
Un suono così delicato, quasi avesse paura di disturbare il mio riposo.
Il primo suono dell'uomo, il ritmo della vita.
Il primo rumore, e la prima musica.
Premo più forte la testa al suo petto, per assaporare ogni secondo di quel dolce suono che mi culla.
Il cuore di una persona che conosco appena, certo.
Ma in più di un occasione ha dimostrato di essere premurosa, gentile, divertente.
Quante persone possono dire di aver aiutato una persona incosciente tre volte in poche ore?
"Che fai?" Mi chiede riscuotendomi dai miei pensieri.
"Ascolto."
"Mi ascolti?"
"Sì, ti ascolto."
Ascolto la musica della tua vita.
La prova che non sei una statua, un dipinto, un sogno, o un incubo.
"E ti piace?" Dice lui ridacchiando appena.
Annuisco, chiudendo gli occhi, cullato da quel suono, sentendo le palpebre farsi pesanti.
"Hey, no." Sussurra, passandomi una mano sulle palpebre per farmele riaprire.
"Cerca di restare sveglio."
"Ho sonno..." Borbotto io, come se ce l'avessi con mia madre, che prova a svegliarmi per andare a scuola.
"Siamo arrivati."
Vedo l'ombra di casa mia, che sembra più grande del solito.
Entriamo nel vialetto, con la macchina di Lydia, dato che con la moto, non avremmo certo avuto ottime aspettative di arrivare a casa interi.
Non appena Lydia si ferma sotto il porticato, Daniel esce dalla macchina, con me in braccio.
Dopo aver tirato fuori le chiavi dalla mia tasca, apre la porta, sempre tenendomi stretto a se.
Dentro c'è un buio disarmante, è silenzio, potrebbe sembrare disabitata se non fosse per le lattine vuote di birra sul tavolino del salone.
Percorriamo il lungo corridoio, verso le scale, e dopo averle salite, apre la porta di camera mia.
"Bene, stenditi."
Mi poggia sul letto, che sembra alto e ingombrante, lasciandomi andare delicatamente, mentre le braccia sciolgono la pressa.
Il letto è morbido, ma molto più freddo rispetto al suo abbraccio.
La camera è buia, ad eccezione della luce della luna, che filtra dalla finestra che ho aperto stamattina, e che si espande sul pavimento.
"La luce della lampada potrebbe darti fastidio, e farti aumentare il mal di testa."
"La testa già me la staccherei volentieri, non è il caso di peggiorare la situazione." Dico pano, quasi come un sussurro, facendo ridacchiare Daniel.
Ho sonno, tanto sonno.
Non so se sia per colpa dello schifo che ho ingerito, ma non riesco a tenere gli occhi aperti.
Io, quello che vivrebbe di notte come i pipistrelli, e non andrebbe a dormire... soprattutto per quei strani incubi.
Lui si siede sul letto, accanto a me, e il materasso si piega sotto il suo peso leggero.
"Non ti addormentare." Ribadisce.
"Non so se ci riesco."
"Devo farcela."
"Mi fanno male i pensieri."
"Come?"
"I pensieri." Ripeto "premono contro la testa, e fanno male..."
Credo stia sorridendo, lo sento dal modo in cui parla.
"Non pensare allora."
"E come faccio a restare sveglio?" Domando confuso.
Silenzio.
"Come si chiamano i tuoi genitori?" Mi chiede all'improvviso.
"Cosa?" Chiedo allibito.
"Ocome si chiamano i tuoi genitori? Sei figlio unico?"
"Ma che stai dicendo?"
"Ti faccio delle domande."
"Si ho notato, ma perché?"
"Così parliamo, non pensi troppo e non ti addormenti."
Si stende, si sdraia sul letto, accanto a me. Si gira dalla mia parte, e si poggia sul gomito, per guardarmi dritto negli occhi.
Incoraggiato, al buio, inizio a parlare.
Parlo di me, della mia famiglia, di mio padre, di Lydia, Marco e Sonya.
Parlo di come li ho conosciuti, e di come siamo diventati amici.
Lui fa domande, e io rispondo.
Parlo di tutto, di cosa mi piace, di cosa odio, perché e come mi sento.
Gli dico cose che non ho mai detto nemmeno a me stesso.
Dei miei sogni, di come siano inquietanti e così reali.
Daniel ascolta ogni parola, con interesse, obbligandomi a riaprire gli occhi con delicatezza quando le palpebre cedono alla stanchezza.
Gli racconto che avvolte vorrei essere diverso da come sono, il ragazzo perfetto.
Quello che riesce a rendere le persone felici.
Gli racconto di come spesso non mi sento a mio agio, ne con gli altri, ne con me stesso, con il mio corpo, con la mia personalità introversa.
E gli dico anche che spesso succedono cose strane, succedono cose che sembrano così vere da farmi paura.
"Cose di che tipo?" Mi chiede, e rimango un attimo paralizzato.
Interdetto su cosa fare.
Indeciso se passare per il passo della situazione, o soltanto evitare l'argomento.
"In che senso?"
"Hai detto che ti succedono cose strane, di che tipo?"
Sospiro, nel caso che mi offusca la mente, sono costretto a ripetermi che è solo tutto frutto della mia immaginazione, ma non riesco a fare a meno di parlare.
"Frequentemente, soprattutto in questi ultimi giorni, vedo cose strane, o persone che mi seguono, che mi fissano o mi scrutano. Stamattina però, mentre facevo il bagno, mi sono sentito afferrare per la gola, ed è successo tutto così in fretta... Pensavo mi fossi addormentato nella vasca solo che..."
Mi blocco immediatamente portandomi la mano alla gola, sentendo ancora un lieve bruciore lì dove sono i lividi.
Daniel si morde il labbro, mettendomi la mano dietro al collo, passando lentamente il pollice sui lividi.
Mi guarda negli occhi, incantato, come se la sua attenzione fosse stata catturata da qualcosa all'altezza dei miei occhi.
Dopo qualche secondo di silenzio, riprende cone domande.
Io parlo, parlo, a malapena so di cosa, dato il sonno, ma sempre più lucido.
L'effetto sta passando.
Dopo molto,moltissimo tempo, smetto di parlare.
Aspetto l'ennesima domanda, ma non arriva.
Mi volto per guardare accanto a me.
Si è addormentato.
Una mano ancora dietro il mio collo.
Ha un espressione innocente, come quella di un bambino.
Con gli occhi chiusi come porte di cui vorrei avere chiavi.
Per raggiungerlo nel sogno in cui in un soffio è scivolato via.
Sorrido, e meno male che i sorrisi non fanno rumore.
-
Mi sveglio scombussolato, aprendo lentamente gli occhi per colpa della luce accecante.
"Buongiorno" dice una voce familiare alle mie spalle.
Mi tiro su di scatto e una vertigine mi assale.
Strizzo gli occhi e massaggio le tempie cercando di far tacere il mal di testa.
"Che ore sono?" Chiedo.
"Le due."
"Cosa?! Ma è tardissimo."
"Tranquillo, tua madre non è ancora rientrata, e ha mandato un messaggio a Lydia visto che stavi dormendo, e ha detto di dirti che sarebbe rimasta fuori per un po' per un lavoro dell'ultimo minuto."
Sospiro annunedo piano.
"Aspetta, torno subito." Dice uscendo dalla stanza.
Dopo qualche minuto rientra con un bicchiere d'acqua, e dei cracker salati.
"Lo so, non è il massimo come colazione, ma è ciò che serve nelle tue condizioni."
Bevo l'acqua, sentendomi meglio.
Daniel mi guarda e sorride, scuotendo la testa.
"Che c'è?"
"Niente, pensavo a stanotte."
"Alla fine il tuo piano ha funzionato." Dico.
"Non mi sono addormentato."
"Ma le cose che mi hai detto te le ricordi? Dico.... È tutto vero?"
Non capisco il senso di questa domanda, ma annuisco. Non credo che sarei riuscito a inventare qualcosa nello stato in cui mi trovavo.
Si porta una mania sul viso, passandola sulla fronte, chiudendo gli occhi e facendo un sorriso malinconico.
Io rosicchio un cracker in silenzio, fissandolo, chiedendomi cosa lo stesse tormentando.
"Dobbiamo parlare."
Daniel, ha ancora la mano sul viso a coprirgli gli occhi, quasi come se stesse cercando di controllare un mal di testa imminente.
"Ok, umh, di cosa esattamente?"
Chiedo confuso, mettendo i crackers e il bicchiere vuoto sul comodino, girandomi poi verso Daniel, intento a guardarmi intensamente.
Appoggio di nuovo la testa sul cuscino, fissando Daniel negli occhi, aspettando una sua risposta, che però, tarda ad arrivare.
"Daniel? È tutto okay?"
Chiedo alzando un sopracciglio, notando che Daniel si sta mordendo il labbro intensamente, come se volesse dire o fare qualcosa che cerca di trattenere con tutte le sue forze.
"Oh al diavolo!"
Dopo aver alzato gli occhi al cielo, in pochi secondi la sua mano mi tira dolcemente dalla nuca, come la sera prima, ma questa volta mette un po' più di forza, giusto quel poco che basta a far avvicinare i nostri volti abbastanza da annullare completamente le distanze.
Dopo un primo momento di completa confusione, chiudo gli occhi, provo a muovermi, a toccarlo, a fare qualsiasi cosa che mi dia la conferma di non essere soltanto in un sogno.
In uno dei tanti in cui finisco col collo spezzato o con il culo per terra.
E invece no, questa volta è tutto vero.
Sta succedendo davvero.
Le mie labbra contro quelle di Daniel.
Quelle labbra così carnose ma allora stesso tempo sottili, incorniciate dalla sua leggera barba, che al contatto con la mia pelle prude un po'.
Ma non ci faccio caso.
Non mi rendo conto di più niente, ormai il tempo intorno a me è fermo.
Non esiste più niente, solo noi.
Non appena metto la mia mano sul petto del maggiore, questo si avvicina di più, se è possibile, incrociando le gambe con le mie, facendo in modo di ritrovarsi sopra di me, mentre mi morde il labbro inferiore.
Si stacca leggermente, provocando dei leggeri mugolii di dissenso da parte mia, che nel frattempo sto andando a fuoco da capo a piedi.
Se solo avessi potuto vedermi allo specchio, mi sarei messo le mani in faccia per quanto quest'ultima fosse rossa, soprattutto sugli zigomi.
"Wow..." Sussurra lui vicino le mie labbra, lasciando qualche altro bacio casto sulla mia mascella.
Io ancora scombussolato, con ancora più domande.
Lui sopra di me, che mi fissa con uno sguardo piedi di eccitazione e desiderio.
Lydia sulla porta, con la mano ancora sulla maniglia, e la bocca spalancata per la sorpresa.
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