1. Rachele

Occhi rossi come il sangue, con venature scure e pulsanti, quasi come se in quelle piccole linee scorresse l'odio puro, il più grande, mai conosciuto dall'umanità.

Capelli neri come la pece, ma fini come fili di grano appena cresciuto, che si muovono ad ogni piccola perturbazione, quasi fossero leggeri come l'aria.

Un corpo possente da incutere timore, è un sorriso agghiacciante da far rabbrividire qualsiasi essere umano lo avesse scrutato anche solo con la coda dell'occhio.

"Chi sei?" Una voce bassa, abbastanza da non svelare la sua vera identità.
"Cosa sei?" Ancora una volta, però un po' più forte, abbastanza da far capire che c'è un ragazzo che sta cercando di uscire dal buio più totale che ci circonda.

"Dovrei avere paura?"
Parole piene di insicurezza e debolezza, pregne di una volontà così nobile di fronte la più sbagliata delle cause.

"Ti prego non farmi del male."
Le pupille che raggiungono la mia figura, rimanendo poi immobili facendomi intendere che sono io quello che è stato preso di mira.
Non riesco a muovermi, è buio e non vedo nemmeno le mie mani.

Tremo, apro la bocca ma non riesco a parlare, solo fievoli gemiti pregni di puro terrore.
Sto per morire.
Me lo sento.

Gli occhi si fanno sempre più vicini, rimanendo fissi nei miei, facendomi gelare il sangue.
Piccoli brividi che mi percorrono il corpo, e lo sguardo della figura misteriosa, affilato come una lama di rasoio, continua a farmi bruciare la pelle come se stesse cercando di togliermela di dosso.

Inizio a provare un dolore lancinante a livello delle braccia, del petto, delle spalle.
Mi agito, strattono qualsiasi cosa mi tenga fermo sentendo la testa scoppiare.

E quando i due occhi sono lontani da me solo un paio di centimetri...La sento...

"Rache..."
Una voce così profonda, e allo stesso tempo così forte da farti tremare le ossa, che fa eco persino nella tua cassa toracica.
"Rache..." Dice ancora una volta.
E io lo so, lo sento. È la mia ora.
Sento le mie stesse lacrime scorrere lungo gli zigomi, l'affanno sempre più pesante e la frustrazione di non poter urlare.

"Rache svegliati."
Degli artigili​, lunghi e acuminati, così lucidi fa brillare persino in una notte priva di luna e stelle.

E sono lì, difronte al mio viso, che solcano le mie guance percorrendo la scia umida delle mie lacrime.
E qualche secondo dopo si alzano con un eleganza disarmante, per poi fiondarsi di nuovo sul mio viso.
"Ho detto svegliati!"

Mi alzo di soprassalto, mettendomi seduto sul letto così velocemente da avvertire senso di vertigini fin da subito.

Mi guardo intorno spaesato sbattendo le palpebre, ancora col fiatone, e il sudore che mi impregna la fronte, e soprattutto le lenzuola.

-È successo ancora...- penso sentendo le tempie pulsare.

Mi tolgo le coperte di dosso sospirando, per poi sedermi al lato del letto, rabbrividendo non appena il parquet entra in contatto con le piante dei miei piedi.

Mi porto il viso tra le mani massaggiandomi la cute, sperando che il mal di testa passi in fretta.

-Ma che ore sono?-
Mi chiedo tra me e me, cercando disperatamente il mio cellulare, probabilmente ancora sulla scrivania a caricare.

Mi alzo molto lentamente, cercando di non commettere lo stesso errore di prima, per poi sbadigliare, alzare le braccia al cielo prendendomi le mani, finché non sento le ossa della schiena scricchiolare.

Sospiro soddisfatto, per poi arrivare alla mia scrivania in legno di noce di fronte al mio letto, sia per prendere il cellulare, dopo averlo staccato dal caricabatterie, sia per aprire le tende azzurre e fini che separano me dalla mia nuova ed entusiasmante giornata.

E l'ironia non tarda mai ad arrivare.

Tengo premuto il tastino laterale del cellulare, aspettando la musichetta fastidiosa di avvio, per poi riposare il cellulare sulla scrivania in attesa che carichi la schermata di blocco.

Mi metto un attimo davanti lo specchio per rendermi conto della situazione e...
-Oddio ma sono indecente!- urla la voce del mio subconscio, facendomi sgranare gli occhi.

I miei capelli biondi sparati in tutte le direzioni senza controllo, la mia canotta dei 5sos sgualcita e completamente fradicia dal sudore.
Per non parlare poi dei miei pantaloncini.
Il laccetto mezzo tirato tutto da un lato, una gamba tirata fino all'inguine e l'elastico stretto abbastanza da fermare la circolazione sanguigna.

-Dio il laccetto! Che nervi!- penso sbuffando, realizzando quanto sia fastidioso quel momento in cui ti ritrovi con un laccetto più lungo dell'altro e passi le ore intere a cercare di capire come rendere la lunghezza dei laccetti uguale senza comunque stritolarti.

Dopo un paio di minuti sprecati li, difronte allo specchio, con la testa china a maneggiare sull'elastico dei pantaloni senza successo, decido direttamente di toglierli buttandoli sul letto, andando poi verso l'armadio al lato del letto con passo pesante per prendere vestiti consoni alla giornata.
Che poi, è sabato.
Solitamente cosa mette una persona per non fare niente, poltrire sul divano facendo zapping per tutto il giorno?
Sospiro, prendendo un paio di Skinny jeans neri, strappati sulle ginocchia, e tirando giù da una gruccia in malo modo una felpa dei Pink Floyd regalatami al compleanno da mia madre.

Sempre avuto ottimi gusti lei, mi chiedo sempre come faccia ad essere sempre così attenta nei regali. Non ha mai fatto un regalo che non sia piaciuto a qualcuno.
Forse perché conosce bene le persone che frequenta.
Insomma, è un ottima ascoltatrice, e riesce in due secondi a metterti a tuo agio, facendoti parlare di qualsiasi cosa.

Poi ovviamente in casa non c'era molto da fare.
Lei è sempre fuori per lavoro, tra una scusa e l'altra non mancano le pause di piacere, e soprattutto, quando riesce a staccare dagli impegni, esce col suo ragazzo Paul.

Da quando mio padre è morto ha lasciato molte cose. Sopratutto uno spazio vuoto nelle nostre vite.
Era sempre a casa, lavorava nel garage, e se avevo bisogno di qualcosa, non dubitavo due secondi prima di scendere di corsa e saltargli sulle spalle, facendo quelle cose da famiglia stereotipata da film americano.
Ridere.

Continue risate. Con mio padre il sorriso non mancava mai.
Da quando preparava la colazione, con i suoi pancake con la faccina sorridente e succo di mirtillo, a quando preparava la cena.
Il suo piatto preferito erano le uova strapazzate con il bacon, perché amava sporcare tutto facendomi ridere come un ebete.
Perché si, ero sempre lì a fissarlo, a guardarlo mentre cucinava, mentre lavorava, anche mentre guardavo la partita.

Lo ammiravo con tutto me stesso, e non c'era cosa di cui non parlavamo.
Da come stesse andando la scuola, al mio interesse verso qualcuno.
Non c'erano segreti tra di noi, un feeling da far invidia a chiunque.

Poi però, un bel giorno, decise di uscire di casa per fare una commissione.
Non disse bene cosa doveva fare, ma quel giorno era preoccupato. E non una preoccupazione da "devo pagare le bollette, o tagliano la corrente elettrica".

Era turbato, c'era qualcosa che non andava, e lo capivo persino io che avevo 13 anni.

Mia madre come al solito era fuori casa, e io non avevo nulla di particolarmente interessante da fare, quindi mi stesi sul divano a guardare la televisione, aspettando che tornasse.

Passarono le ore, e io mi addormentai.
La sera stessa, verso le undici, la porta di casa sbatté rumorosamente, facendomi svegliare di soprassalto.
Quando mi girai, ancora scombussolato, dalla porta della stanza, illuminata solo dalla televisione, trovai mia madre che stava blaterando qualcosa su uno dei suoi clienti.

Scesi dal divano correndo verso di lei abbracciandola, chiedendole della sua giornata.
Dopo avermi raccontato qualche aneddoto su un redattore marpione e clienti intrattabili, mi fece quella domanda.

"Ma papà è già andato a dormire?"

Currogai le sopracciglia piegando leggermente la testa da un lato facendo una faccia confusa.
Nessuno dei due sapeva che fine avesse fatto.
Panico generale, chiamate senza risposta, messaggi rimasti ricevuti e non visualizzati.

Aspettammo la mattina seguente per chiamare la polizia, temendo ormai il peggio.
Non era da mio padre sparire così, nel nulla, senza dire niente a nessuno, eppure lo aveva fatto.
E io sapevo fin dall'inizio, sapevo benissimo che non era un buon segno.

Infatti passarono solo dodici ore.
Una chiamata dalla polizia.

"Lo avete trovato?" Mia madre sprizzava gioia da tutti pori, nonostante le sue occhiaie e le borse sotto gli occhi.

Però non ci volle molto affinché il suo sorriso scomparisse dal suo volto, segnato dalla notte insonne e dalla stanchezza.

Attimi di silenzio, fastidioso e incontrollabile silenzio.
Uno di quei silenzi che ti fa fischiare le orecchie.
Uno di quei silenzi in cui tutto sembra essere fermo, ad aspettare solo un piccolo cenno per scatenare l'inferno.

E fu proprio così, perché dopo quegli attimi interminabili di pura concentrazione, mia madre chiuse il telefono con un "ok", lì ferma, a fissare il vuoto.

Dopo aver sbattuto il cellulare sopra il piano della cucina, così forte da mandarlo in mille pezzi, facendomi saltare dalla paura, si alzò di scatto andando di corsa verso la sua borsa, prese le chiavi e uscì di casa, lasciandomi li.
Paralizzato di fronte alla scena appena accaduta, ignorato come se non fossi lì presente, come se fossi stato sotterrato dalle macerie di una vita perfetta.

Scuoto la testa cercando di mandare via tutti i pensieri e i ricordi riaffiorati in pochi secondi.
Chiudo lentamente l'armadio, poiché infastidito dai rumori forti, andando poi a prendere il cellulare controllando l'ora, notando di essere in perfetto orario per un bagno rilassante.

Sospiro aprendo la porta della camera, assaporando l'odore di menta e cannella dei diffusori che si trovano ad ogni angolo della casa, per poi superare le scale andando verso il bagno, che si trova proprio davanti alla mia camera.

Prima di raggiungere quella porta in legno verniciata di un bianco latte, mi fermo ad aprire la finestra per far arieggiare l'intero piano.
Amo il sabato mattina, nessuno si aggira per il quartiere, ed è tutto così silenzioso da farti credere di vivere in un mondo tutto tuo, tra gli uccelli che cinguettano e il vento che scompiglia le chiome degli alberi.

Entro nel bagno, mettendo i vestiti appesi sulla sedia, girando poi la valvola per l'acqua calda, e nel frattempo che la vasca si riempie, inizio a togliermi tutto ciò che mi resta addosso, fissando poi nello specchio la piccola voglia sotto la scapola destra, che da un paio di anni a questa parte ha iniziato a farsi sempre più scura.

Mi sono ripromesso moltissime volte di farla controllare dal dottore, ma mia madre è contrariata, infatti più volte ha evitato l'argomento dicendo "è solo una voglia, cosa vuoi che ti faccia? Ce l'aveva pure tuo padre."

Sospiro facendo spallucce, per poi chiudere l'acqua, immergendomi lentamente nella vasca, dopo aver poggiato il cellulare sullo sgabello a pochi centimetri di distanza.

Chiudo gli occhi poggiando la testa sul bordo della vasca, scendendo sempre di più, facendomi scappare qualche mugolio di piacere.

Arrivo fino alla base del collo, e infine, decido di immergere anche la testa.
Prendo una bella boccata d'aria, per poi immergermi lentamente, sentendo i capelli accarezzarmi il volto.

Dopo pochi secondi un fruscio.
Un fruscio particolare che non veniva però da fuori l'acqua.
Un fruscio come un qualcosa che striscia in mezzo l'erba.
Come quando trascini qualcosa sulla sabbia.

Una voce flebile.
"Rache..."

Ancora una volta, la voce dei miei sogni.
Non esco dall'acqua, perché questa volta la voce è vivida, è più chiara e limpida.
Si capisce perfettamente.

Metto le mani sui bordi della vasca per non salire a galla, aspetto ancora un po' con tutti i nervi tesi e i muscoli che vibrano mossi da non so cosa.

"Rachele..." Apro gli occhi di scatto quando sento un filo d'aria accarezzarmi il volto.

Sono ancora sott'acqua ma qualcosa mi fissa.
Un qualcosa di indefinito, un qualcosa che non riesco a vedere.
Qualcosa che mi accarezza il petto lentamente, fino ad arrivare alla mia gola.

"Stanno arrivando."
Un bisbiglio. Poco più forte di qualcosa che ti sussurrano all'orecchio, e poi...

Una pressione disumana sul mio collo, che mi fa perdere fiato.
Sento una forte pressione dietro agli occhi, e inizio a scalciare.
Non riesco più a uscire dall'acqua, come se qualcosa mi stesse trattenendo.
Il petto inizia a bruciare e sento come tanti piccoli spilli perforarmi i polmoni.

Muovo il braccio verso il mio collo, e la sento. Sento una mano rigida e potente che continua a fare pressione sul mio collo.

Mi agito, non riesco più a respirare, e sento l'acqua entrarmi dal naso.
Stringo gli occhi, e inizio a fare pressione sulla mano che mi mantiene il collo, e quando sono allo stremo delle mie forze...
Apro gli occhi, il cellulare sta squillando, li sullo sgabello dove lo avevo postato.

Mi guardo in torno spaesato, ancora una volta.
Guardo a terra, e nessun segno di umido, o di acqua.

Mi alzo dalla vasca, mi circondo velocemente il bacino con un asciugamano in preda al panico.

-Cosa sta succedendo? Sono impazzito-

Penso per poi prendere il cellulare, mettermi di fronte lo specchio e rispondere.
Passo una mano sul mio collo, gemendo poi leggermente per il dolore, rimanendo poi pietrificato non appena il mio sguardo incrocia il mio corpo, mentre una voce squillante e felice risponde dall'altro capo del telefono.

"Buon compleanno Rache!"


S/a
Raga che ci posso fare, non posso finire una storia ma ne posso iniziare venti Hahahahahahahaha.
Cosa ci posso fare io? Vabbè insomma, fatto sta che questa storia è seria, e voglio continuarla con tutto me stesso, ho già organizzato tutto e Bla Bla Bla.
Comunque COMMENTATE E LASCIATE UN LIKE PER FARMI CAPIRE CHE STATE APPREZZANDO, nei commenti scrivete anche cosa volete magari ci sia nella storia e magari potrò accontentarvi.
😘

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