EXTRA - Valerio (parte I)

Informazioni lampo:

• Questo extra è ambientato un mese prima degli eventi dell'ultimo capitolo

• L'ho diviso in due parti perché troppo lungo, ma la seconda arriverà nei prossimi giorni

• Tasso di 🌶 abbastanza elevato ;)

• Se vi piace tenere un sottofondo musicale, vi consiglio Shameless

Buona lettura ✨️

San Pietroburgo, 17 ottobre 2019

Non avevo mai coltivato particolari interessi o passioni, nel corso della mia vita. In quasi ventun anni non mi ero mai affezionando a niente, dato che tendevo ad annoiarmi in pochissimo. L'unica eccezione era il nuoto, la sola attività capace di rilassarmi ed estraniarmi dalla confusione che erano le mie giornate.

Sicuramente non me ne fregava un cazzo della armi che i miei genitori mi obbligavano a vendere. Mi avevano mandato via da Catanzaro appena compiuti diciassette anni e spedito a San Pietroburgo per siglare un'alleanza tra la 'Ndrangheta e i Lupi di Tambov, la banda locale. Non prendevo parte alle operazioni criminali, ma mi limitavo a rifornire i miei clienti di nuove pistole, fucili e munizioni.

Per esempio, in quel momento mi trovavo in uno squallido night club dei sobborghi cittadini, seduto su un divanetto di pelle rossa, in attesa che l'uomo che mi aveva contattato arrivasse. Tirai un'occhiata all'orologio da polso e appresi che era in ritardo. Avevamo concordato l'appuntamento per le undici, venti minuti fa.

Era già nervoso a dismisura. Avevo ricevuto il messaggio mentre stavo raggiungendo la piscina coperta della città, per svolgere le mie consuete vasche serali. Il cliente mi aveva chiesto una Tokarev, una pistola semiautomatica che non circolava sul mercato legale da quasi trent'anni, offrendomi una cifra stellare. Sarei stato un coglione a rifiutare, dunque non avevo avuto altra scelta che dirigermi nel luogo scelto dal compratore.

Detestavo saltare l'allenamento e, soprattutto, addormentarmi senza che il mio corpo si fosse immerso in acqua per almeno un paio d'ore. Era un rituale imprescindibile della mia quotidianità e ometterlo mi rendeva irritabile e scontroso, più del normale.

Mi abbandonai contro lo schienale e puntai lo sguardo verso il palco in fondo alla sala. Da quella angolazione avevo una visuale ottima delle figure mozzafiato delle spogliarelliste, che si strusciavano sui pali e si dimenavano in uno spettacolo di curve morbide e abiti coperti di lustrini che volavano via. Sbuffai per la noia, mentre una di loro si privò dell'intimo e la platea scoppiò in un boato eccitato. Il suo corpo paradisiaco non mi suscitò alcuna reazione e ipotizzai che i miei impulsi fossero morti.

Di solito non mi negavo il piacere di una serata all'insegna del divertimento, ma adesso volevo soltanto consegnare la dannata pistola che mi pesava nella giacca e tornarmene a casa. Se il cliente non sarebbe entrato nel locale per i prossimi cinque minuti, avrei tolto il disturbo. Odiavo perdere tempo.

«Posso portarti qualcosa da bere?» mi domandò una voce delicata, dal timbro soave, distogliendomi dai miei crucci mentali.

Spostai l'attenzione dal palco alla ragazza che mi si era avvicinata e incrociai due occhi cristallini, dal taglio allungato che ricordavano quelli di un felino. Squadrai la cameriera da capo a piedi, soffermandomi in particolare sulla divisa succinta e dalla scollatura profonda, la minigonna con l'orlo di pizzo bianco e le calze a rete. Una scarica di elettricità percorse i miei nervi e mi riaccese i sensi. Quello era uno spettacolo decisamente più interessante.

«Cosa mi consigli, biondina?» le chiesi in tono provocante, divorando con lo sguardo la sua figura longilinea.

«Seguimi» mi invitò, e non me lo feci ripetere due volte. Mi alzai e le rimasi dietro, per ammirarla da ogni prospettiva. Nonostante le luci colorate e intermittenti che confondevano la vista, la valutai con un dieci pieno.

La ragazza raggiunse il bancone e agguantò una bottiglia di vodka, di cui versò il contenuto in due bicchierini. Me ne porse uno e lo scontrò con il suo, provocando un tintinnio di vetro. Ci scolammo insieme lo shottino, in un colpo solo; l'alcolico dolciastro mi raschiò e infiammò la gola.

«Come ti chiami?» mi incuriosii, intanto che riempiva di nuovo i bicchierini fino all'orlo.

«Layla» rispose. Non capivo se avesse origini russe, perché il suo accento presentava una variante sconosciuta alle mie orecchie, ma non me ne curai. Ero troppo ammaliato dal suo aspetto e dalla bellezza che emanava con ogni singolo movimento, persino il più banale, come sistemare i capelli dorati o sbattere le ciglia voluminose. «E tu? Cosa ci fai qui da solo?»

«Mi hanno dato buca a un appuntamento» ironizzai.

Mandai giù il secondo shottino di vodka e depositai il bicchiere vuoto sulla superficie di marmo. Passai la lingua sulle labbra e inchiodai le pupille sul suo volto dai tratti angelici ma affilati, per poi scendere lungo il collo elegante e incastrarmi nella scollatura del corpetto aderente che le stringeva il seno. La cameriera sembrò accorgersi del mio sguardo famelico, perché si appoggiò con i gomiti al bancone e si sporse verso di me, mettendo in risalto quel ben di Dio.

«Chi sarebbe la fortunata?» mi stuzzicò, piantando i denti nel labbro tinto di rossetto bordeaux, in una maniera così sensuale da farmi perdere la testa.

«Era un incontro di lavoro, ma se vuoi puoi aiutarmi a non rendere questa serata un totale spreco» proposi con chiara malizia nella voce. Mi piaceva arrivare dritto al punto, senza inutili giri di parole. Se volevo qualcosa, me la prendevo e basta. «Sempre se ti andrebbe di farmi compagnia al piano di sopra, biondina.»

Poiché avevo saltato la sessione di nuoto, avevo bisogno di una sana scopata per ristabilire l'equilibrio e recuperare la serenità. Quella ragazza era la preda migliore che potessi trovare: aveva un fisico pazzesco che fremevo per esplorare con le mie mani e un atteggiamento sfacciato per cui impazzivo. I suoi occhi celesti mi osservavano pregni del desiderio di strapparmi i vestiti in mezzo alla sala, riflettendo la brama che percepivo ardere nei miei.

«Non saprei, non posso lasciare il turno scoperto... a meno che tu non sia così veloce che nessuno noterà la mia assenza» si finse incerta, perché era evidente che non vedesse l'ora di spalancare le gambe per me.

Mi accostai al suo orecchio e mormorai suadente: «Non ho intenzione di usarti per una misera sveltina, quindi trova qualcuno che ti sostituisca per tutta la notte, perché sarai piuttosto impegnata».

Trattenne il fiato, sorpresa dalla mia sfrontatezza impudica, e io approfittai della vicinanza per inalare il suo profumo da capogiro. Non mi capitava da un po', di provare una tensione del genere nei confronti di una ragazza qualunque. Dovevo soddisfare la voglia assurda di toccarla e affondare in lei, altrimenti non mi sarei dato tregua fino al sorgere del sole.

«Aspettami nella stanza in fondo al corridoio» ordinò Layla. «Ti raggiungo tra un minuto.»

Non ero un cagnolino ubbidiente e non sopportavo chi osava comandarmi, ma da una così mi sarei lasciato dominare volentieri. Le rivolsi un occhiolino ammiccante e mi diressi verso la scale che portavano al piano superiore, dopodiché entrai nella camera che mi aveva indicato. Lanciai la giacca su una poltrona, sfilai la canottiera e mi sedetti sul bordo del materasso, smanioso di vederla arrivare.

Al contrario del cliente che non si era presentato - e che ormai non rientrava più tra le mie priorità -, Layla non mi fece attendere troppo e varcò la soglia dopo pochi minuti. Si richiuse la porta alle spalle e avanzò lenta nella mia direzione, con il passo felpato di una pantera. Adesso che era avvolta dalla luce emessa dal lampadario, potevo constatare che fosse ancora più attraente di quanto credevo. Definirla uno schianto era riduttivo.

«Non mi hai ancora detto il tuo nome» esordì, non appena mi giunse di fronte.

Incrociò la braccia al petto, evidenziando il seno, e arricciò la bocca in una smorfia curiosa che mi procurò una fitta al basso ventre. Avrei accettato di compiere un omicidio, pur di sentire quelle labbra intorno a me. Mi sentivo un guaglione inesperto e ridicolo, che non aveva mai visto una fissa in vita sua, per colpa di quella strega bionda che mi stava mandando a puttane la razionalità.

«Valerio» le dissi senza preoccuparmi di utilizzare la mia identità falsa. Nella peggiore delle ipotesi non la avrei più incontrata e mi avrebbe dimenticato in fretta.

Layla mi guardò dall'alto, mangiando con gli occhi il mio torace nudo e marchiato da numerosi tatuaggi appariscenti, le braccia rinforzate dalle ore di nuotate intensive e le linee dell'addome che scomparivano nel cavallo gonfio dei jeans. Sorrise realizzando di essere la causa della mia eccitazione e si posizionò tra le mie ginocchia separate.

La colsi totalmente alla sprovvista, quando conficcai le dita nella carne morbida del suo fondoschiena, oltrepassando la barriera della minigonna nera e tirandomela addosso. Serrò le cosce contro i miei fianchi e si mosse sul mio bacino, rischiando di farmi venire con quel semplice sfregamento. I suoi polpastrelli mi artigliarono le guance e chinò le labbra con l'intento di catturare le mie, tuttavia mi scansai all'ultimo secondo.

«Niente baci, biondina» la frenai. «Soltanto sesso senza impegno. Anzi, comincia a spogliarti, dato che la mia parte l'ho già fatta. Cerca di non deludere le mie speranze, per favore.»

La mia arroganza la indispettì al livello che mi strattonò i capelli, costringendomi a piegare il collo per fissare le iridi nelle sue, oscurate da nuvole di passione furente. «Non trattarmi come una puttana, Valerio, perché non siamo in un bordello e se ti sto concedendo il mio corpo è solo per il mio piacere personale. Chiaro?»

Deglutii, messo in soggezione dal suo scatto di rabbia, che tuttavia ebbe il potere di aumentare il desiderio di sbatterla sul materasso in ogni posizione immaginabile. Mi chiesi chi fosse quella ragazza dall'aria battagliera e determinata, da quanto abitasse a San Pietroburgo e perché non l'avessi mai vista nel locale prima d'ora. Cazzo, come avevo fatto a non accorgermi di una simile divinità?

Be', poco importava. Avrei rimediato subito.

«Chiarissimo. Adesso meno parole e meno vestiti» decretai, e stavolta non le permisi di ribattere. Artigliai la cerniera dell'uniforme dietro la schiena, la strattonai in basso e la aiutai a togliersi il corpetto. Scoprii con immenso piacere che non portava il reggiseno e ringraziai il cielo per quel regalo che non meritavo. «Con la divisa da cameriera sexy eri illegale, ma così sei ancora meglio.»

Piantai la bocca sul suo collo affusolato, mordicchiando la pelle candida sotto la mandibola. Mi concentrai su una porzione che leccai e succhiai fino a imprimere un segno rossastro, sull'arteria che pulsava sempre più velocemente. Layla stiracchiò i ciuffi dietro la mia nuca, strattonando la radice dei capelli con un po' troppa forza.

Di conseguenza, le circondai i fianchi magri e ribaltai la situazione, portandola a stendersi sotto di me. Agguantai i suoi polsi e le sollevai le braccia, per bloccare le mani sopra la testa e impedirle di toccarmi. Il mio obiettivo era farla impazzire, e a giudicare dall'occhiata frustrata che mi scoccò, ci stavo riuscendo bene.

Sorreggendomi sul materasso con il gomito per non schiacciarla, scivolai con le labbra sulle clavicole sporgenti, lungo lo sterno e infine sul seno. Percorsi le areole con la punta della lingua e strinsi un capezzolo rigido tra i denti, rubandole un debole gemito che mi rimbombò nel cranio. Layla allacciò le gambe intorno alla mia vita e mi tirò contro di sé, il petto schiacciato sui miei bicipiti e la mia eccitazione che si sfregava sulla sua intimità. Non potevo resistere un altro secondo, dannazione, stavo per implodere.

Le strappai via la gonna e gli slip, mosso dalla fretta e dalla brama, e mi sbarazzai anche dell'ostacolo rappresentato dai miei pantaloni. Non indugiai un altro attimo e, senza neanche avvertirla, mi seppellii nella morbidezza delle sue gambe. La stoccata improvvisa le strappò un gemito acuto, che si trasformò in una sequela di ansimi a ogni affondo prepotente. Le mie maniere rudi non la sconvolsero, anzi, aumentarono il suo desiderio a dismisura. Mi persi nel mare offuscato dal piacere che erano le sue iridi chiare, e sebbene fossi giunto quasi al capolinea mi trovai a sperare che quel momento non terminasse mai. Era tutto troppo bello.

Finché quella stronza non pensò di vendicarsi e infliggermi una punizione con gli interessi. Approfittando del mio stato di distrazione, liberò i polsi dalla presa ferrea delle mie dita, piantò le mani sul mio torace e mi spintonò con sorprendente forza. Mi costrinse a restare immobile, steso sul materasso, e tornò a sedersi a cavalcioni sul mio bacino. Fu lei a calarsi sul mio membro e a prendere in mano le redini della situazione, seguendo un impeto di furente libidine, con i palmi che mi pressavano il petto per tenermi fermo e i miei battiti che infuriavano al di sotto. La sua sicurezza, unita al bagliore della lussuria nei suoi occhi, mi mandò fuori di testa.

Non resistetti più. Mi lasciai travolgere dall'orgasmo e mi assicurai che Layla mi seguisse, sfiorando la sua intimità per stimolarla. Non impiegò molto a raggiungere l'apice, dopodiché si accasciò sul letto, voltata su un fianco nella mia direzione. Girai il capo per osservarla, nuda e affannata e bellissima. La trovai ancora più incantevole con i capelli arruffati, la fronte imperlata di sudore e l'espressione distesa in una soddisfazione placida.

«Dove ti sei nascosta fino a oggi?» rantolai a corto di ossigeno.

«Non sono dettagli che condividerò con te.» Mi strizzò un occhio, rifilandomi un ghigno enigmatico che mi fece venire voglia di possederla di nuovo. «Allora, Valerio? Ho deluso le tue speranze come temevi?»

Le afferrai una ciocca dorata e la avvolsi intorno all'indice. «L'unica cosa che temo è che tu non riesca a durare un secondo round.»

«Mi stai sottovalutando» dichiarò decisa, poi si avvicinò e i nostri colpi collisero.

San Pietroburgo, 18 ottobre 2019

Quando la luce mattutina mi schiuse le palpebre e misi a fuoco i contorni poco famigliari della camera del night club, realizzai di non essermi addormentato nel mio letto la sera precedente. Ignorando le fitte dell'emicrania, provai a sollevarmi sui gomiti, ma un peso sulla mia spalla me lo impedì.

Ricordai d'un tratto che non avevo trascorso la notte da solo: la cameriera del locale, Layla, era completamente svestita e dormiva indisturbata con il viso premuto contro il mio collo, un braccio a circondarmi il torace e le gambe incastrate tra le mie. Come diamine eravamo finiti così? Per fortuna l'alcol non aveva cancellato le immagini dei momenti passionali che avevamo consumato, nonché la miglior nottara di sesso della mia vita, tuttavia non capivo perché mi fossi trattenuto lì invece di rientrare a casa.

La scostai delicatamente, attento a non svegliarla, e scesi dal materasso. Recuperai i boxer e i jeans, ma non trovai la canottiera. La cercai tra i capi della divisa di Layla, distribuiti in modo casuale sul pavimento, e nel gesto di afferrare la sua minigonna produssi un rumore metallico che all'inizio non distinsi. Aggrottai le sopracciglia e mi chinai a raccogliere l'oggetto che era scivolato per terra.

Strinsi l'impugnatura del coltello. Un fottuto coltello. La cameriera che mi aveva sedotto nascondeva un coltello nell'elastico della gonna. E forse non ne sarei stato così turbato, se non avessi riconosciuto la raffinatezza della lama acuminata. Quell'arma non proveniva da una cucina, ma era un pezzo raro che poteva appartenere soltanto a un fanatico o a un esperto.

Oppure... a un assassino.

Quell'ipotesi mi investì con la violenza di un treno in corsa. Lavoravo nel mondo del contrabbando di armi da abbastanza tempo per sapere con certezza che un simile oggetto era richiesto spesso dai mandanti e dagli esecutori dei più disparati omicidi. Agguantai uno degli stivali con il tacco e, senza grande sorpresa, trovai all'interno un pugnale più sottile e corto del precedente. Una lama gemella era nascosta nell'altra scarpa.

Chi cazzo mi sono scopato stanotte?

Mollai gli abiti e marciai nella direzione di Layla, che dormiva beatamente tra le pieghe delle lenzuola. Sollevai un lembo della coperta e il mio sguardo fu subito calamitato dal tatuaggio inciso sulla base della sua schiena, vicino l'anca destra. Una pistola ornata di papaveri blu, il simbolo inconfondibile del Ghetto Zaffiro di Mosca.

Serrai i denti e indurii la mandibola, respirando a lungo per impedirmi di soffocarla con il cuscino. Una del genere era troppo perfetta per essere sincera, dovevo aspettarmelo. Ero andato a letto con una delle scagnozze di Egor Bayan, il bastardo che cercava di rovinarmi da anni.

Ero furioso e disgustato, ma una parte di me si sentì anche delusa, perché quella ragazza mi era piaciuta fin dal primo istante e si era rivelata una bugiarda ingannevole. Bayan l'aveva mandata a San Pietroburgo per tentare di uccidermi, non ne avevo dubbi, e da bravo coglione glielo avevo quasi permesso. Il perché non avesse colto l'occasione di farlo la scorsa notte era un mistero.

Dovevo sfruttare il vantaggio della consapevolezza. Lei non sapeva che adesso ero al corrente dei suoi piani, perciò avrei potuto illuderla di tenermi sotto scacco per poi attirarla in trappola. Avrei continuato a recitare il ruolo dello stupido ignaro, finché non sarebbe giunto il momento di fargliela pagare. Mi aveva usato come giochetto erotico, nonostante fosse incaricata di assassinarmi, e io non ero mai stato il tipo di ragazzo che incassava i colpi in silenzio. Quello, per me, era il preludio di una guerra che scalpitavo di combattere.

Ti sei messa contro lo stronzo sbagliato, biondina. Ti farò pentire di ogni singola azione, puoi giurarci.

Forse sarebbe stato più semplice ucciderla in quell'esatto momento, fintanto che era ancora indifesa e innocua, ma che gusto ci sarebbe stato? Il modo più subdolo per restituirle il favore era comportarmi come lei e proseguire la partita sul medesimo livello.

La strategia ideale mi attraversò la mente, e non esitai nel trasformare il pensiero in realtà pratica. Mi chinai sul suo corpo e tracciai una scia di baci umidi giù per il collo, scendendo dalla spalla al seno, intorno all'ombelico e lungo l'inguine. Le mordicchiai la pelle del fianco e le allargai le cosce, strusciando le labbra sulla sua fessura. Layla mormorò qualcosa nel sonno e si agitò un poco, ma non si svegliò, allora presi a stuzzicarla con la punta della lingua. Mantenere stabile la concentrazione si rivelò un'impresa ardua, a causa del suo sapore che mi soggiogò al primo impatto. Titillai il suo centro pulsante, con l'obiettivo di spingerla al limite e distruggere le sue difese.

Non appena la penetrai con l'indice, si svegliò di soprassalto. La immobilizzai dalle ginocchia e lei non oppose alcuna resistenza. Al contrario, apparve più che compiaciuta da quel buongiorno.

«Non fermarti» mi implorò, la voce strascicante per i postumi dell'alcol e la stanchezza mattutina.

«Non ne ho nessuna intenzione, tranquilla.» Aggiunsi anche il medio e toccai una zona precisa che la fece sussultare e gemere. Mi concentrai su quel punto, ruotando le dita in modo lento e costante. «Hai dormito bene, biondina?»

Bofonchiò una risposta affermativa e reclinò la testa all'indietro, i capelli sparsi sul cuscino e il petto che si alzava e abbassava irregolare, il respiro ansante per il piacere. Racchiuse un lembo del lenzuolo in una mano e con quella libera mi strinse la nuca, per nulla delicata. La mia attenzione era focalizzata unicamente su Layla, sulla sua intimità che non volevo smettere di esplorare e sui lineamenti candidi piegati nell'estasi. Per un fugace secondo, mi domandai come potesse un simile angelo celare un volto demoniaco.

Compresi dagli spasmi delle sue pareti che si stava abbandonando. La accompagnai nell'orgasmo, raccogliendo i suoi umori sulla lingua e stimolando i muscoli sensibili con i movimenti ripetuti delle dita. Quando si rilassò e mi staccai dal suo corpo, mi immersi nelle sue iridi e lei mi dedicò uno di quei sorrisi furbi per cui impazzivo.

«Posso sdebitarmi, se ti va» dichiarò in tono malizioso, sollevandosi su un braccio per scrutarmi dalle frange dorate delle ciglia.

«Che ne dici se invece andiamo a casa mia e facciamo colazione?» proposi, intenzionato a imprigionarla nel mio appartamento per neutralizzare la minaccia che rappresentava. In seguito avrei agito a discapito del Ghetto Zaffiro, in base a quanto le sue sorti importassero a Egor Bayan.

Layla annuì, d'accordo con la mia idea. Scese dal letto, sfilandomi accanto senza imbarazzo, e indossò l'uniforme da finta cameriera. Non si era nemmeno accorta che le avevo rubato i coltelli. Ebbi l'impressione che vivesse in un universo parallelo, distratta da un mare di nuvole fittizio che le ostacolava la visuale del mondo concreto.

Ne ricevetti la conferma quando ci trovammo nella mia macchina e notai che la sua attenzione balzava da un dettaglio all'altro: toccava le cianfrusaglie nel vano portaoggetti, osservava la città che scorreva oltre il finestrino con il naso incollato al vetro, scrutava di sottecchi il mio profilo sperando che non la beccassi.

Non ci rivolgemmo più di due parole durante il tragitto, né mentre arrivammo al mio appartamento. Aprii la porta di casa e, non appena varcammo la soglia, una palla di pelo scodinzolante ci travolse. Tolstoj, il mio unico amico nella fredda San Pietroburgo, mi piantò le zampe nello stomaco e abbaiò contento di rivedermi.

«Scusa, bello, non volevo lasciarti da solo per tutta la notte» gli dissi dispiaciuto, accarezzandolo dietro le orecchie a punta. Per colpa della scarsa fiducia che riponevo nel genere umano e il mio istinto asociale, il mio cane era diventato il mio principale interlocutore.

Tolstoj si staccò da me per gettarsi su Layla, suscitandomi non poco sconcerto. Di solito ringhiava e latrava agli sconosciuti, ma stavolta annusò il suo odore e provò a leccarle una guancia in segno di affetto. La ragazza lo coccolò, strofinandogli il manto marrone e nero, e quel ruffiano mi ignorò per godersi le moine. Aveva conquistato anche il mio cane, porca puttana.

Appena Tolstoj le diede tregua, Layla cominciò a curiosare ogni angolo del piccolo bilocale. Ammirò le vetrine che custodivano i trofei e le medaglie vinti anni fa alle gare di nuoto, che avevo portato con me dall'Italia; sfiorò i dorsi delle copertine dei classici disposti ordinatamente in libreria e ne prese uno per sfogliare le pagine consumate. Storse in naso, come irritata da qualcosa che non comprendevo, e lo posò un secondo dopo.

«Non mi avevi promesso una colazione?» mi ricordò all'improvviso, lo sguardo che ancora vagava tra il mobilio e le mani che afferravano gli oggetti che la colpivano di più. Non sopportavo i ficcanaso e avrei voluto cacciarla da casa mia all'istante, ma i progetti che serbavo per lei erano diversi. Dovevo pazientare solo un altro po'.

«Non ho specificato che tipo di colazione intendessi» replicai simulando un tono provocante. «Aspetta qui, biondina.»

Sfoderò uno dei suoi sorrisi seducenti, che mi mandò in cortocircuito anche se non avrebbe dovuto riservarmi ancora quell'effetto. «D'accordo, ma fa' in fretta, perché sono molto affamata

La lasciai nel salotto e sparii nella mia camera, alla ricerca di una maledetta pistola munita di cartucce. Nell'armadio conservavo una vasta collezione di fucili, semiautomatiche e revolver, tuttavia la maggior parte di esse era scarica e in attesa di un compratore. Alla fine trovai una Beretta con tre proiettili in canna, che sarebbero stati sufficienti al mio scopo. Nascosi la mano che la impugnava dietro la schiena e tornai da Layla.

Si era imbambolata davanti alle poche fotografie che avevo conservato, in particolare quella che raffigurava una versione più giovane di me, seduto sul bordo della piscina, che sorridevo con fierezza all'obiettivo per aver battuto un nuovo record nella mia categoria. Avevo soltanto tredici anni e la mia bravura nello stile libero era già conosciuta.

«Sei un campione di nuoto, quindi?» si interessò Layla.

«Lo ero» risposi semplicemente. «Ho smesso di partecipare alle gare da qualche anno e ormai nuoto per hobby.»

Nel parlare, mi avvicinai a lei e circondai i suoi fianchi con il braccio libero, per attirarla a me. Il suo petto si scontrò con il mio e le nostre labbra erano separate da un'esigua distanza. Layla mi fissava con la brama nelle iridi, la medesima che la incendiava stanotte, e mi sembrò assurdo che un sicario con il compito di uccidermi provasse tanto desiderio verso la propria vittima.

Era ancora più assurdo, però, che la vittima ricambiasse il desiderio nei confronti del proprio carnefice. Mi imposi di non pensare a quanto mi sarebbe piaciuto strapparle la divisa e sbatterla sui mobili di casa mia. Non potevo perdere la lucidità, altrimenti quella strega ne avrebbe approfittato per tentare di ammazzarmi. Stava soltanto aspettando il momento giusto.

«Vuoi fare un gioco, biondina?» sussurrai a un centimetro dalla sua bocca.

«Che tipo di gioco?» mormorò con un filo di voce.

«Un gioco in cui io faccio questo,» sollevai la pistola e premetti la canna contro la sua testa, «e tu non muovi un muscolo e rispondi alle mie domande. Ti piace come idea?»

Layla spalancò le palpebre e provò invano a sgusciare fuori dalla mia stretta. Il mio braccio intrappolava il suo corpo esile, schiacciato sul mio, e la pistola puntata sulla sua tempia le impediva di compiere gesti bruschi.

«Voi bastarde del Ghetto non vi arrendete mai, giusto?» pronunciai sarcastico. «Siete nel mio territorio. Non potete battermi.» Feci scorrere la canna nera dell'arma lungo la guancia e le alzai il mento. «Qual è il tuo vero nome?»

«Larysa» digrignò i denti. «Il vory mi ha dato quarantotto ore per ucciderti e non tornerò a Mosca senza il tuo cadavere, Valerio, stanne certo. Che inizino pure le danze.»

Larysa mi artigliò i ciuffi di capelli e mi spinse la testa all'indietro, in modo così violento e inaspettato che la mia nuca impattò contro uno spigolo di legno. Il dolore sordo mi annebbiò la vista e la pistola mi scivolò dalle dita. Il sicario di Egor Bayan si impossessò dell'arma, la puntò verso di me e schiacciò il grilletto senza esitazione. Nonostante lo stordimento momentaneo che mi aveva colto, mi scansai prima che il proiettile partisse; la pallottola si conficcò nella vetrina, che esplose in mille schegge trasparenti.

Il colpo aveva centrato uno dei trofei, deformandone la coppa dorata, e quel dettaglio fu ulteriore combustibile per la mia rabbia bruciante. Mi fiondai su Larysa e le sfilai la pistola dalle mani, lanciandola sul pavimento. Lei provò a scagliarmi un pugno che bloccai nel palmo, poi una ginocchiata che evitai prontamente. Serrai le dita intorno alle sue spalle sottili, per immobilizzarla, e bastò esercitare una forte pressione sul lato del collo, dove passava l'arteria carotide, per rallentare l'afflusso di sangue al cervello e farla svenire.

Era stato più semplice del previsto.

Sorressi il corpo inerme di Larysa e la trascinai in camera, per adagiarla sul materasso. Così priva di sensi, con i tratti del volto rilassati e gli occhi chiusi, non sembrava affatto pericolosa. Recuperai un paio di manette di metallo - le avevo rubate a un poliziotto che mi aveva arrestato qualche mese prima - e con un anello le racchiusi un polso, mentre attaccai l'altro allo schienale del letto.

Avevo appena imprigionato uno degli scagnozzi di Egor Bayan e avrei sfruttato la possibilità di guadagnarci qualcosa. Dovevo solo decidere la strada migliore da percorrere. Ci rimuginai sopra per gran parte della mattinata, finché Larysa non si svegliò e iniziò a sbraitare come una pazza.

«Liberami e combattiamo faccia a faccia, dannato stronzo!» urlò per l'ennesima volta.

«Puoi fare silenzio? Sto pensando a come renderti utile. Sono indeciso tra chiedere un riscatto al tuo boss oppure consegnarti alla mia banda» riflettei ad alta voce, camminando da una parte all'altra della stanza, di fronte alla sua espressione furiosa.

«Credi che Egor mi vorrà indietro dopo che mi sono fatta catturare come un'idiota? Per quanto gli riguarda, puoi anche uccidermi» sputò piena di ira e sdegno. «Anzi, non capisco perché stai portando avanti questa pagliacciata. Ti diverte vedermi legata al tuo letto, razza di bastardo?»

«Se non taci entro cinque secondi, allora ti accontento» sbottai infastidito. «Sei insopportabile, biondina. Ti preferivo decisamente di più ieri, mentre ti lasciavi scopare e l'unico suono era quello dei tuoi gemiti.»

«Doveva essere una strategia per ottenere la tua fiducia e ci stavo riuscendo alla perfezione» ribatté con stizza. Notai un leggero rossore diffuso sugli zigomi al ricordo della nostra notte appassionata.

«Sì, stava andando bene. La prossima volta però nascondi meglio i coltelli» la derisi, mostrandole una delle lame che le avevo rubato.

«Vaffanculo, io ti uccido!» mi minacciò, strattonando le manette con foga. «Se non mi liberi subito, rimpiangerai di avermi portata qui.»

Sbuffai e strofinai la fronte per alleviare il mal di testa. «Me ne sono già pentito, te lo assicuro. Sei una tortura. Da dove cazzo ti ha pescata Bayan?»

«Nyocker, Budapest» dichiarò con un certo orgoglio. «Un posto che farebbe impallidire anche i criminali come te.»

Non le dissi che il quartiere in cui ero nato e cresciuto non aveva rivali. Mi limitai a ripeterle di chiudere la bocca e la abbandonai lì, incatenata al mio letto. Dovevo trovare una soluzione a quel problema entro la fine della giornata, oppure avrei dovuto dormire sul divano.

Larysa si arrese, consapevole che irritandomi non avrebbe ricavato alcun vantaggio. Non sentii la sua voce per tutto il pomeriggio, al punto che sospettai che fosse evasa. Qualche ora dopo entrai in camera e la trovai raggomitolata tra i cuscini, con un'espressione inquieta stampata sul viso. Mi domandò di scagionarla per andare in bagno e le concessi benevolmente quel favore, inserendo la chiave per sbloccare le manette. Larysa si massaggiò il polso dolorante e mi tirò un'occhiataccia che prometteva vendetta.

«Ti consiglio di non fare passi falsi, biondina altrimenti finirà molto male» la avvisai in tono duro e inflessibile.

«Lo so, non preoccuparti. Non sono così stupida come credi» sbuffò annoiata.

Si alzò per raggiungere il bagno adiacente alla camera da letto e, poiché non mi fidavo assolutamente di lei, la seguii. Mi appoggiai allo stipite della porta a braccia incrociate, senza perderla di vista.

«Esiste una cosa chiamata "privacy"» puntualizzò con nervosismo. «Girati, animale.»

Qualcuno mi conceda la pazienza e l'autocontrollo.

Mi voltai di spalle, le orecchie tese per captare spostamenti d'aria o rumori insoliti. Non mi avrebbe sorpreso un'aggressione da dietro, tuttavia non accadde. Larysa mi diede il permesso di girarmi di nuovo e la individuai davanti allo specchio del lavandino, occupata e districare i capelli con il mio pettine. Agiva in modo così naturale da risultare odioso.

«Quando ti ho detto che potevi comportarti come se fossi a casa tua?» la rimproverai, togliendole il pettine di mano.

Si accostò di un passo. «Non mi hai neanche detto che mi avresti tenuta prigioniera, eppure eccomi.»

Anche io mi avvicinai. «E tu stanotte hai avuto più di un'occasione per tagliarmi la gola, eppure sono ancora vivo.»

«Avrei dovuto farlo subito, almeno adesso sarei a Mosca a spendere i soldi guadagnati dall'incarico.» Un ghigno le piegò le labbra, quando aggiunse: «Ma ho ancora tempo per rimediare al mio errore».

Mi accorsi all'ultimo secondo del brillio della lama del coltello che mi aveva sottratto e che ora calava inesorabile verso di me. Grazie ai riflessi schivai l'attacco per un soffio, anche se quella pazza riuscì a incidermi un taglio verticale sul braccio. Rivoli di sangue scivolarono dalla ferita e chiazzarono le mattonelle bianche del pavimento. Non era una ferita profonda, ma faceva un male cane.

Larysa mi oltrepassò di corsa e tentò di uscire dal bagno, ma la raggiunsi in due falcate e ghermii il suo bacino. La intrappolai tra il bordo del ripiano del lavandino e il mio corpo, con la sua schiena che aderiva al mio petto. Le bloccai le braccia e il coltello cadde per terra.

«Forse non sono stato abbastanza chiaro» ringhai furibondo. Le strinsi la mandibola tra i polpastrelli e la obbligai a guardarmi attraverso il riflesso dello specchio. «Niente passi falsi» scandii parola per parola.

«Hai ragione, padrone, scusami» finse dispiacere, sbattendo le ciglia per accentuare gli occhi da sirena. «Non posso fare neanche questo?»

Si piegò in avanti e si strusciò sul cavallo dei miei pantaloni, troncandomi il respiro. Si mosse piano, uno sfregamento impercettibile, ma alterò la chimica del mio cervello.

«Smettila subito» soffiai tra i denti serrati.

«Altrimenti, Valerio? Mi spari? Mi ammazzi? Fallo, avanti» mi provocò, senza interrompere il movimento.

Raccolsi i suoi capelli in un pugno e posai l'altra mano sulla base del suo collo, per tenerla ferma sul mio bacino, la mia eccitazione crescente tra le sue natiche che la minigonna copriva a malapena.

«Più che ammazzarti vorrei scoparti contro il lavandino, in questa precisa posizione, e sta' certa che poi non vorrai più fuggire» mormorai sulla sua nuca, e il suo corpo fremette per un brivido di piacere.

Il respiro di Larysa divenne altalenante e, grazie allo specchio frontale, avevo una visuale perfetta del suo seno stretto nell'uniforme che si sollevava in affanno, nonché del suo sguardo torbido di lascivia. Eravamo finiti di nuovo in quella situazione, consumati dalla voglia di averci.

«Sei incoerente» mormorò. «Prima mi minacci e poi vuoi scoparmi?»

«Ti ricordo che sei tu quella che ha provato ad accoltellarmi un secondo fa.» Mi strusciai tra le sue natiche per cercare un minimo di sollievo a quell'agonia, ma ottenni solo un'altra fitta al ventre. «Non me ne frega un cazzo di questa guerra tra bande, né sono interessato a ucciderti. Ti rispedirò a Mosca da sconfitta, così sarà più soddisfacente.» Mi sporsi a mordicchiarle il lobo dell'orecchio e leccai una porzione di pelle, suscitandole un ansimo. «E tu, Larysa? Vuoi uccidermi perché te lo hanno ordinato o c'è una ragione valida?»

«Sono una mercenaria. Uccido per dovere, non per questioni personali. Mi importa solo del compenso che riceverò dopo averti perforato il cranio.»

«La vita di voi sicari è così inutile. Non agite neanche per i vostri scopi personali, ma siete solo degli schiavi obbedienti» commentai con disappunto. Mi allontanai da Larysa, dissolvendo il calore di quel momento e spezzando la tensione che alleggiava nell'aria. «È meglio se te ne torni a Mosca.»

Larysa si raddrizzò sistemando la minigonna, il viso imporporato e le labbra unite in una linea retta che esprimeva indignazione. «Non ti ho chiesto un'opinione al riguardo. Non hai il diritto di giudicare le mie scelte di vita senza conoscermi.»

Volevo risponderle che non me ne fregava niente di lei e della sua vita, tuttavia fui distratto dal suono del citofono. Increspai la fronte, confuso. Non aspettavo visite e non avevo amici in città che potessero venire a trovarmi; inoltre, quasi nessuno dei miei clienti conosceva il mio indirizzo. Scansai Larysa e mi avvicinai alla finestra del bagno per osservare la strada sottostante.

Porca puttana. La via era illuminata dalle luci rosse e blu delle volanti, mentre un paio di agenti attendeva dinanzi al portone del condominio. Teorizzai che qualcuno tra i vicini di casa si fosse insospettito per la confusione e avesse chiamato la polizia, che mi stava cercando.

«Dobbiamo andarcene da qui» informai Larysa, una sfumatura di urgenza nella voce. «C'è la polizia.»

«Che cazzo significa?» Mi affiancò e guardò oltre il vetro della finestra, scoprendo che non era uno scherzo. Il suo sguardo preoccupato incontrò il mio. «Cosa facciamo ora?»

«Scappiamo» annunciai seccamente, e uscii dal bagno per ritornare in camera. Agguantai un cappotto lungo dall'armadio e glielo lanciai. «Indossa questo, la tua divisa attira troppa attenzione.»

Larysa non protestò e si coprì con l'indumento. Dopodiché, il prossimo compito fu convincere Tolstoj a farsi mettere il guinzaglio, perché non potevo rischiare che gli agenti lo sentissero e irrompessero nell'appartamento, dunque lo avrei portato con noi. Lasciammo l'abitazione e poi l'edificio, passando per l'uscita d'emergenza che conduceva sul retro.

«Sta' ferma» ordinai a Larysa, poi le circondai le spalle con un braccio e la strinsi a me. Sembravamo una normale coppia con il proprio cane, in quel modo, e ci mimetizzammo senza problemi tra le poche persone che camminavano per le strade del quartiere. Fortunatamente gli agenti non ci notarono quando costeggiammo le volanti.

«Dove andiamo?» mi chiese la ragazza, una volta scampato il pericolo e raggiunto il parcheggio condominiale.

Scavai nella tasca della giacca per prendere le chiavi della mia auto e, dopo aver caricato Tolstoj nel cofano spazioso, mi sedetti al volante con Larysa di fianco. Era una situazione surreale: io e colei che aveva intenzione di assassinarmi stavamo fuggendo insieme dalla polizia.

«Fidati di me, biondina. Non hai altra scelta» decretai, mentre accendevo il motore. Mi girai per tirarle una veloce occhiata, accompagnata da un ghigno ironico. «Siamo costretti a collaborare, se non vogliamo perdere entrambi.»

Angolo autrice

Ciao a tutti readers <3

Mi scuso se ci ho messo così tanto ad aggiornare, ma le ultime settimane sono state un bel po' scombussolanti e piene. Cercherò di riprendere un ritmo decente e di farvi leggere la seconda parte del capitolo entro i prossimi giorni.

Parlando dell'extra, stavolta il protagonista è Valerio. Vi avevo promesso il retroscena della sua relazione con Larysa e in questa prima parte scopriamo come si sono conosciuti. Non ci sono ancora i sentimenti in ballo e per ora sono più nemici che amanti, ma hanno già sperimentato una forte attrazione 👀

Personalmente adoro questa coppia e spero che le loro dinamiche possano coinvolgere anche voi. Aspetto le vostre opinioni al riguardo 🫶🏻

Alla prossima! Xoxo <3

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