Capitolo 7
[Prima di leggere questo capitolo, vi consiglio di ridare un'occhiata agli eventi del primo, dato che sono collegati.]
Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca, 15 ottobre 2019
Quando Egor mi convocò nel suo ufficio, ero sicura che i suoi informatori avessero trovato una pista da seguire riguardo la famiglia di Yan e che volesse incaricarmi di ammazzare qualche membro della Huang Corporation.
Invece, sbattè sulla scrivania un plico di fogli. In cima svettava la foto segnaletica di un ragazzo con i capelli neri e rasati da un lato, il collo avvolto nei tatuaggi e i lineamenti abbronzati.
«Valerio Critelli» esordì il vory, incrociando le dita inanellate sotto al mento. «Il contrabbandiere d'armi italiano che lavora per i Lupi.»
Ricordai l'omicidio di Vladilen Petrov, il boss dei Lupi di Tambov, commesso dalla sottoscritta a San Pietroburgo. Si era rifiutato di confessare il nome del suo alleato. Una resistenza inutile, dal momento che le spie del Ghetto ci avevano impiegato meno di dieci giorni a scoprirlo.
«Adesso tocca a te. Scovalo e uccidilo.»
Afferrai il fascicolo e lo sfogliai distrattamente. Erano riportati i dati personali di Critelli e i luoghi e gli orari dei suoi spostamenti più comuni.
«Quando parto?» domandai, pratica.
«Il jet ti sta aspettando. Arriverai a San Pietroburgo nel giro di un'ora o due.»
Sollevai lo sguardo, interdetta. Avevo sempre un po' di tempo disponibile, prima di partire per missioni in altre città. «Non mi sono preparata.»
«Hai tutto ciò che ti occorre sul jet, armi e munizioni. Studierai il fascicolo durante il viaggio. Se fai un buon lavoro, dovresti essere di ritorno per questa sera.» Il tono di Egor era inflessibile e laconico. Aveva già programmato ogni aspetto della spedizione nei minimi dettagli. «Non possiamo perdere tempo. Critelli è un professionista nel disperdere le proprie tracce. E tu non vuoi che accada, vero, Maybelle?»
Certo che no. Odiavo il mio lavoro, ma ero troppo meticolosa per permettermi di mandarlo all'aria. Dovevo portare a termine l'incarico e dovevo farlo alla perfezione.
«Consideralo fatto» dichiarai.
Un ghigno tagliò la barba scura e ben curata di Egor. «Non ho dubbi riguardo le tue capacità.»
«Neanche io.»
Era vero. Non mi spaventava il pensiero di dare la caccia a un idiota ferrato nel nascondino e nel contrabbando. Avevo affrontato di peggio, uomini così pericolosi che solo nel sentirli nominare la gente impallidiva. Avevo ucciso il fottuto vory dei Lupi di Tambov nel bel mezzo di una serata di gala.
Sarebbe stato un gioco, sparare in testa a Critelli. E sarebbe stato divertente. I criminali italiani avevano una creatività... deviata.
«La limousine è già pronta per andare all'aeroporto» mi informò Egor. «Non fermarti a parlare con nessuno. Voglio che la missione resti segreta, finché non avrà successo.»
«Ai tuoi ordini, vory» sbuffai e mi alzai, recuperando il fascicolo.
Egor mormorò qualcosa che somigliava tanto a buona fortuna, ma lo ignorai e uscii dal suo studio. Non avevo bisogno dei suoi auguri.
Feci come mi aveva ordinato e non degnai di uno sguardo coloro che incontravo lungo il tragitto. Ebbi solo la premura di inviare un messaggio a Danny, per avvertirlo che oggi non mi avrebbe trovata alla Villa.
Parcheggiata fuori ai cancelli della base operativa, trovai la limousine. Mi lasciò all'aeroporto privato di Egor, dove erano custoditi i suoi gioielli con ali di metallo ed eliche giganti. Avevo smesso da tempo di domandarmi quanti soldi avesse.
Mi imbarcai su uno dei jet più piccoli, adatto per sorvolare lunghe distanze in poco tempo e senza farsi intercettare. C'era posto per una decina scarsa di persone. Ero da sola, a eccezione del pilota, di un'assistente di volo e di un paio di uomini di Egor.
Trascorsi l'ora e mezzo di viaggio leggendo il fascicolo che mi aveva fornito.
Valerio Critelli aveva vent'anni, solo uno in più di me, ed era nato a Catanzaro, in Calabria. Era entrato fin dall'adolescenza nel business del traffico d'armi, grazie al legame dei suoi genitori con la 'Ndragheta. Abitava a San Pietroburgo dal 2015 ed era stato mandato in Russia per gestire gli affari di famiglia.
Trovai una lista di orari con i rispettivi luoghi indicati di fianco. Ragionai. Al mio atterraggio sarebbero state le undici e mezza, o poco più. Da quanto leggevo, di solito a quell'ora Critelli portava il cane a spasso.
Risi. Poteva essere più semplice di così?
Gettai il fascicolo sul sedile vuoto accanto al mio e allungai le gambe, rilassandomi. Chiamai l'assistente di volo e le domandai qualcosa da sgranocchiare.
Non toccai più quei fogli. Con il senno di poi, avrei dovuto finire di leggerli.
San Pietroburgo, quartiere Chernyshevskaya
Pur essendo un malavitoso, Critelli abitava in uno dei quartieri più belli di San Pietroburgo. Distava pochi minuti dal centro della città ed era riparato dal traffico e dalla confusione, ma si potevano raggiungere le attrazioni principali con una breve camminata.
Individuai il suo appartamento, al secondo piano di un palazzo in Kirochnaya Ulitsa, circondato da viali alberati e negozietti caratteristici. Senza tante pretese, suonai al suo citofono. Non rispose nessuno.
Con la pistola nascosta sotto alla giacca, cominciai a esplorare la zona, alla ricerca di un tizio tatuato con un pastore tedesco al guinzaglio. Sperai di non incontrare poliziotti, o avrei dovuto inscenare una fuga.
Adocchiai un parco e decisi di partire da lì. Scoprii all'ingresso che si trattava dei Giardini di Tauride, un complesso di distese verdi e serre grondanti di fiori. Dubitai che Critelli si mostrasse in un luogo tanto gettonato dai turisti, quindi imboccai la strada opposta.
Passai davanti alla Cattedrale della Trasfigurazione. Non riuscii a resistere e mi fermai a studiarne l'architettura semplice ma elegante, in stile neoclassico. Mentre ammiravo le cupole nere e le quattro colonne ioniche che sorreggevano il vestibolo, notai un ragazzo che camminava di fronte ai cancelli sormontati da statue di aquile dorate.
Aveva il cappuccio della felpa calato in testa, ma riconobbi l'enorme pastore tedesco che gli zampettava vicino. Catturai uno scorcio di viso abbronzato e tracce di inchiostro sulla pelle.
Prima che potesse accorgersi di me, mi voltai verso il primo negozio della strada. Finsi di esaminare gli oggetti in ceramica gzhel esposti in vetrina, con i raffinati disegni blu sulla porcellana bianca, ma in realtà continuai a scrutare il mio obiettivo dal riflesso.
Quando svoltò in un'altra via, lo seguii. Non potevo di certo aggredirlo pubblicamente, quindi lo pedinai fino al suo palazzo. Critelli sparì all'interno dell'edificio e mi appostai nel parcheggio, per riflettere.
Dovevo studiare una strategia d'attacco rapida e indolore. Indolore per me, chiaramente.
Avrei potuto tendergli un'imboscata e rapirlo, tuttavia mi sarei messa nei guai da sola. Era molto più robusto e allenato di me. L'opzione migliore era avvicinarlo, stordirlo e, in seguito, ucciderlo. Pensai a un modo per approcciarmi a lui senza risultare sospetta. Era meglio giocare il ruolo della turista sperduta o della ragazzina un po' ingenua e attratta?
La soluzione mi comparve davanti agli occhi come un lampo, nel momento in cui vidi un fattorino di qualche fast food che smontava dalla sua bicicletta, fermandosi proprio sotto al condominio di Critelli. Lo raggiunsi in ampie falcate.
«Quanto ti pagano per quello?» gli chiesi, senza giri di parole, indicando il sacchetto che teneva in mano.
Lui mi osservò stranito, gli occhi chiari assottigliati. Avrà avuto la mia età. «Quattrocento venticinque rubli» strascicò in un pessimo inglese.
«Posso darti il quadruplo se mi lasci fare la consegna.»
«Perché?» domandò, dubbioso.
In risposta, estrassi dalla tasca la banconota da duemila rubli con cui avrei dovuto pagare i pasti della giornata e gliela porsi. «Non sono affari tuoi.»
Agguantò la banconota e mi lasciò il sacchetto. «Sopra c'è scritto il destinatario.»
Rimontò sulla bicicletta e pedalò via. Il sacchetto era intestato a una certa Vania Golubev. Trovai il suo nome sul pannello dei citofoni e mi feci aprire il portone del palazzo, dicendo di essere la ragazza delle consegne.
Spiacente, cara Vania, ma oggi non pranzerai.
Salii al secondo piano, dove era collocato l'appartamento di Critelli, e bussai alla sua porta. Si rivelò poco dopo sulla soglia. Indossava pantaloni della tuta larghi e la felpa con cui l'avevo visto prima. Intorno al collo tatuato sfoggiava una sottile catenella d'oro.
Inarcò un sopracciglio, squadrandomi con due occhi talmente scuri da sembrare neri. «Chego ty khochesh'?»
Gli alzai il sacchetto davanti al naso ed esibii un sorriso. «Consegna.»
«Non ho ordinato niente» rispose, secco, passando all'inglese. «Hai sbagliato.»
Provò a chiudere la porta, ma la bloccai con il palmo. La sua espressione mutò in una irritata. Ebbi l'impressione che volesse tirarmi dietro il cibo.
«Non ho sbagliato, Valerio» proclamai. Era arrivata la mia parte preferita di ogni missione: svelarmi. «So perfettamente dove sono e cosa cerco. Chi cerco.»
Lasciai cadere il sacchetto al suolo. Sbottonai la giacca e impugnai la pistola, puntandogli la canna lucida contro. Critelli allargò le palpebre.
«E adesso mi farai entrare. Abbiamo molto di cui discutere.»
Ringhiò un'imprecazione incomprensibile sottovoce, forse in italiano o calabrese. Non aveva scelta. Gli avrei sparato non appena avesse tentato di scappare. Si spostò dalla soglia, per lasciarmi entrare, e lo presi come un gesto di rassegnazione.
«Ottima scelta» sogghignai e, senza abbassare la pistola, misi piede nel suo appartamento.
Era un monolocale piccolo ma ben ordinato. E pieno di libri, realizzai. C'erano innumerevoli scaffali carichi di volumi e un'imponente libreria a ridosso della parete, anch'essa tutta piena.
«Fai contrabbando d'armi o di classici?» lo schernii.
«Sei del Ghetto Zaffiro?» mi chiese lui, però. Appariva curiosamente calmo, come se non gli stessi mirando al cuore con una pistola.
«Sì, e al vory non piace la tua amicizia con i Lupi. Perciò... hai qualche preferenza di morte, Valerio?»
Un abbaio catturò la mia attenzione. Il pastore tedesco mi fissava a fauci strette, in procinto di azzannarmi per difendere il suo padrone.
«Digli di stare buono. Ferire gli animali è contro la mia morale» ordinai.
«Tolstoj,» lo richiamò, il tono pacato, «pigliala.»
Non capii il significato di quel comando, ma lo compresi non appena il cane - Tolstoj - con un balzo mi strappò la pistola dalle dita e la portò a Critelli. Indietreggiai per lo spavento, andando a sbattere contro un armadio.
«Adesso giochiamo con le mie regole, picciula» proclamò Critelli, rigirandosi la mia pistola in mano.
«Scordatelo» sbottai, e gli assestai un calcio in pieno stomaco.
Critelli si piegò in due e la pistola gli scivolò di mano. Provai e recuperarla, ma il suo stupido pastore tedesco continuava a latrarmi contro, e io avevo sempre temuto i cani di grande taglia.
Per cui, presa dal panico, colpii l'arma con il piede e la scagliai dall'altra parte del monolocale. Tolstoj la inseguì come se fosse stata una pallina o un osso. Be', problema risolto, no?
Mi avvicinai a Critelli, ancora dolorante per il mio calcio, e gli strinsi la nuca rasata tra i polpastrelli, obbligandolo ad alzare lo sguardo nel mio. Mi rimaneva solo un coltello, che gli puntai sotto al mento.
«Non devo ucciderti per forza, sai? Puoi diventare il nostro informatore o la nostra spia» gli proposi.
Sarebbe morto comunque, prima o poi. La maggior parte dei mafiosi nemici che diventavano spie di Egor si rivelavano o traditori o incompetenti.
«Scordatelo» mi imitò. Aggiunse un allegro: «'a fissa 'i mammata!».
Alto e ben piazzato com'era, gli bastò sollevare un gomito, spingermelo sulla gola e inchiodarmi al muro, invertendo le posizioni.
Mi dimenai, ma lui mi tenne immobile. Allora gli rifilai una testata sul naso, rischiando di spaccarmi la fronte. Pulsazioni di dolore mi invasero la scatola cranica, eppure non erano niente paragonate alla soddisfazione che provai nel vedere il suo naso sanguinare e la sua espressione sofferente.
Il mio compiacimento durò all'incirca dieci secondi, dopodiché fu bruscamente interrotto da spuntoni che mi infilzarono la gamba. Urlai e persi l'equilibrio, mentre Tolstoj, quel cane infame, scodinzolava davanti ai segni del morso che mi aveva inflitto. Avevo i pantaloni strappati alla caviglia, un'arcata di denti incisa sulla pelle e perdevo sangue. Non era una ferita profonda, ma bruciava da morire.
«Grazie, amico.» Critelli accarezzò il muso del suo pastore tedesco. Con il naso tumefatto, si alzò e raggiunse la porta. «È stato un piacere fare la tua conoscenza, picciula, ma è il momento di salutarci.»
Seguito dal suo cane, uscì dall'appartamento. Non mi domandai perché mi avesse lasciata qui, con il rischio che potessi rubare qualcosa o dare fuoco alla casa. Doveva essere abituato a cambiare continuamente alloggio.
Mi risollevai con fatica. La gamba era attraversata da scariche di dolore, a partire dal punto morso fino al ginocchio. Non trovai la pistola da nessuna parte - Tolstoj doveva averla presa - ma riuscii a recuperare il coltello.
Uscii anch'io. Per terra, davanti alla soglia, c'era ancora il sacchetto del fast food. Ignorando il male alla gamba e le fitte della fame che iniziavano a farsi percepire, usai l'ascensore per arrivare al piano terra. Varcato il portone del palazzo, mi guardai intorno, per individuare Critelli.
Si era già volatilizzato. Lo maledissi ad alta voce, poi maledissi anche me stessa per essermelo lasciato scappare. Mi incamminai per le strade del quartiere, setacciandone ogni angolo.
Il cielo cominciò a tingersi dei toni caldi del rosso e dell'arancione; le nuvole, attraversate dai raggi dorati del sole morente, avevano assunto sfumature rosa. Percorsi la Ulitsa Mayakovskogo finché non sfociò sulla Prospettiva Nevskij, la strada maggiore di San Pietroburgo. Rimasi incantata di fronte alle facciate colorate delle case antiche, in contrasto con le vetrine dei negozi e le insegne dei bar. Una fila interminabile di veicoli sfrecciava davanti ai miei occhi.
Passeggiai lungo buona parte del viale, arrivando ad attraversare il ponte Anichkov. Mi sporsi dalla balaustra verde. Le acque scure del Fontanka riflettevano le luci dei lampioni che cominciavano ad accendersi. Poco lontano, oltre le statue dei domatori di cavalli, svettava la struttura rosa pallido del Palazzo Anichkov.
Mi ostinavo a criticare la Russia e le sue tradizioni, ma la meraviglia mi strappava il fiato e mi stringeva il petto, ogni volta che ammiravo i suoi capolavori monumentali. L'architettura e l'arte erano tra le poche cose che mi portavano a reagire. Il mio sogno chiuso nel cassetto da anni.
«Bud' ostorozhen, ty, zasranets!» sbraitò qualcuno alle mie spalle.
Mi voltai. Una donna stava inveendo contro un ragazzo incappucciato. Lui le rivolse un cenno rapido e riprese a correre verso la fine del ponte.
Impiegai un millesimo di secondo a identificarlo. Valerio Critelli.
Scattai come una molla e mi lanciai al suo insegnamento, nonostante la gamba bruciasse da morire. Non potevo perderlo di nuovo. Non potevo.
Seminai i turisti e i passanti, beccandomi imprecazioni e insulti che per gran parte non riuscii a tradurre. Intuii che Critelli mi avesse notata, perché aumentò la velocità. Era una saetta, porca puttana, e io ero ferita e stanca.
Svoltò in una via secondaria, costeggiata da numeri ristoranti e alberghi. Girò a sinistra e continuò a correre davanti a sé. I polmoni stavano per collassarmi, ma non mi fermai.
Alla fine fu lui ad arrestarsi. Bloccò quella corsa folle al cospetto del castello Michajlovskij, un perfetto quadrato dal tetto smeraldo. I cancelli erano chiusi, dato che l'orario di visita era finito, ma dubitai che a Critelli interessasse.
«Certo che sei fastidiosa, picciula» ridacchiò, mentre riprendeva fiato. «Smettila di pedinarmi.»
«La smetterò quando ti avrò ucciso» ringhiai, sfoderando il coltello che avevo nascosto nella manica della giacca.
Critelli indietreggiò lungo la strada quasi deserta. Si stava avvicinando alla banchina del Fontanka. Mi mossi verso di lui, ragionando sul momento giusto per aggredirlo. Dovevo evitare che i pochi turisti presenti chiamassero la polizia.
«La vuoi sapere una storia?» disse all'improvviso. Mi guardava in faccia, mentre camminava all'indietro. «C'era un volta un guaglione che aveva un unico sogno: diventare un fottuto nuotatore. Voleva spaccare alle Olimpiadi, voleva le medaglie d'oro al collo, voleva che il mondo lo acclamasse. Non gli bastavano più le nuotate nella piscina in giardino. Ma ai suoi genitori non fregava una minchia, a loro importava continuarsi a riempire le tasche con quel denaro sudicio, e volevano coinvolgere anche il figlio in quella merda. Così diventò il loro schiavetto, mandato in giro per l'Italia a vendere armi. Gli affari andavano bene, ma non era abbastanza, quindi lo spedirono a calci in culo in Russia. Be', funzionò, perché gli fece guadagnare tanti di quei soldi da poterli cagare.»
Critelli si fermò quando la sua schiena andò a sbattere contro la balconata che si affacciava sul fiume. Lo osservai al limite della confusione. Mi stava raccontando la storia della sua vita, sperando di persuadermi?
«Passarono quattro anni. Il guaglione si alleò con un gruppo di stronzi che lo pagavano bene. Tutto bello e perfetto, no? Nel frattempo una pazza assassina uccise il suo capo, ma 'sti cazzi, lui continuava a lavorare e a portare i soldi ai genitori. Però aveva sempre quel pensiero a fottergli il cervello... il nuoto.» Con un balzo, si sedette sulla balaustra. «E allora sai cosa decise? Che forse non sarebbe mai arrivato alle Olimpiadi, ma sarebbe diventato indimenticabile in un altro modo. Sarebbe diventato un maestro delle scappatoie. Un genio della fuga. Tutto grazie all'acqua.»
Era troppo tardi, quando compresi il significato del suo discorso. Si era già posizionato in piedi sulla ringhiera, col sole che gli tramontava alle spalle e lo investiva di luce infuocata.
«La prossima volta che ci becchiamo, picciula, ricordati di tenermi lontano dai fiumi. Non mi sono trasferito a San Pietroburgo per caso. E ora...»
Allargò le braccia e si lasciò cadere nel Fontanka.
Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca
Nel fascicolo di Valerio Critelli c'era una pagina dedicata alle sue fughe più memorabili.
Nel 2014, a soli quindici anni, si gettò nel Tevere, dopo aver rapinato una gioielleria di Roma.
Nel 2015, in vacanza a Parigi, fece un bagno nella Senna, per sfuggire a un gruppo di aguzzini mandati a ucciderlo.
Nel 2017, invece, si tuffò nel Volga, il più lungo fiume russo, per seminare la polizia.
E ce n'erano altri. In tutto il mondo, in tutte le situazioni immaginabili. Critelli era un Houdini delle acque. Non c'era fiume che non riuscisse ad attraversare.
E io ero stata così arrogante e superficiale da non finire di leggere quel dannato fascicolo. Danny me lo diceva sempre, che il mio peccato capitale era la superbia.
Mi detestai. Mi sentii una fallita. Una stupida. Ancora di più quando mi trovai seduta dinanzi a Egor, con la vergogna stampata in faccia e le dita serrate intorno alle ginocchia.
Il vory non era furibondo come mi aspettavo. Era deluso, il che fu decisamente peggio.
«Cosa devo fare adesso con te, Maybelle?» sibilò amareggiato.
«Posso riprovarci. Dammi solo il tempo di riprendermi e...»
«No» disse Egor, lapidario, zittendomi. «Non rischierò di nuovo. È un incarico troppo importante. Lo affiderò a qualcun altro.»
Lo stupore mi impedì di replicare. Non mi aveva mai, mai, esclusa così da una missione. A volte tornavo da perdente, ma avevo sempre una seconda possibilità. Ero il suo cazzo di sicario migliore, lo sapeva, eppure non mi concesse il beneficio del dubbio.
«Va', Maybelle» mi ordinò. «Per i prossimi giorni ti darò compiti più semplici.»
Non avevo il diritto di rispondere, perciò mi alzai e uscii dall'ufficio, trascinandomi dietro una sconfitta che pesava quanto un macigno sul cuore.
Angolo autrice
Allora, capitolo molto particolare e un po' fuori contesto, ma necessario ai fini della trama. Vedrete come si ricollegherà ai prossimi.
May va a San Pietroburgo per dare la caccia a Valerio, un criminale italiano che (se ricordate il primo capitolo) collabora con una banda mafiosa nemica del Ghetto. Ci sono un po' di scontri, ma alla fine riesce a scappare con tanto di uscita di scena.
Ricordatevi di lui, perché tornerà più avanti. E porterà casini. Tanti casini.
Nel prossimo capitolo assisteremo a una May un po' sottotono, perché non è abituata a perdere, ma ci sarà un dialogo interessante 👀
Comunque mi sono divertita un sacco a scrivere questo capitolo e a cercare le attrazioni di San Pietroburgo, è una città meravigliosa 💞 Sotto vi lascio tutte le immagini!
Vi auguro buona Pasqua, readers 🕊✨️
Alla prossima! Xoxo <3
Luoghi:
• Giardini di Tauride
• Cattedrale della Trasfigurazione
• Prospettiva Nevskij
• Ponte Anichkov e Palazzo Anichkov
• Castello Michajlovskij (di San Michele)
Note:
• Tolstoj è il nome di uno dei più famosi scrittori russi.
• Le strade e le vie in Russia si chiamano ulitsa.
• 425 rubli corrispondono a circa 5 euro.
Traduzioni:
1) Chego ty khochesh'?= che cazzo vuoi?
2) Pigliala= prendila
3) Picciula= piccola
4) Bud' ostorozhen, ty, zasranets!= stai attento, stronzo!
5) Guaglione= ragazzo
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