Capitolo 6
Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca, 13 ottobre 2019
Ho la febbre. Pensaci tu all'allenamento dei novellini. Oggi alle 15.30.
Non provare a ribattere. Me lo devi, dopo ieri.
E non uccidere nessuno, ti prego.
Rilessi i messaggi di Larysa e imprecai l'intero Paradiso. Avrei ucciso lei, non appena sarebbe guarita, poco ma sicuro.
Con immenso fastidio, avvertii Cheslav per rimandare il nostro pomeriggio di sesso e droga. Lui mi rispose che avremmo recuperato il prima possibile, devastandoci ancora di più. Ci poteva giurare.
Non avevo nessuna intenzione di sorbirmi i novellini - due in particolare - per tutto il pomeriggio. Purtroppo, però, ero un'amica fedele e una donna responsabile, quindi indossai la prima tuta che mi capitò sotto mano, legai i capelli nelle solite trecce e scesi in palestra.
Li trovai tutti e cinque in attesa, in fondo alla stanza, mentre discutevano di qualche argomento a me ignoto o iniziavano il riscaldamento. Quando mi avvicinai, tacquero. Dalle loro espressioni vidi che erano confusi riguardo la mia presenza, e forse anche leggermente preoccupati.
Non li biasimai. Di solito mi facevo viva solo se c'era da ammazzare o minacciare qualcuno.
«Larysa è malata. Oggi vi alleno io» li informai, concisa. «Su quali attività vi state concentrando, con lei?»
«Combattimento a corpo libero, esercizi di coordinazione e miglioramento dei riflessi» rispose Yan, precisa.
Studia la sua figura magra e tonica, lo sguardo scuro e impenetrabile sotto l'orlo di una frangia ordinata, i lineamenti di porcellana. Non tentennò neppure per un secondo, durante la mia perquisizione. Sosteneva i miei occhi con sicurezza.
Egor mi aveva chiesto di tenerla sotto controllo, intanto che le sue spie indagavano sulla Huang Corporation. Non mi fidavo di Yan come non mi fidavo di nessun altro in quella stanza, ma mi piaceva il suo temperamento freddo.
L'avrei messa alla prova fino allo strazio. Oh, sì che l'avrei fatto.
«Bene,» proclamai, «cominciate a riscaldarvi.»
«Mi scaldo solo a vederti, matrioska.»
Non avevo dubbi su chi avesse parlato. Mi girai verso Dimitri Ivanov, lo stronzo platinato, e gli riservai un'occhiata omicida.
«Ti sei già scordato della nostra ultima conversazione?»
«Le tue minacce non mi fanno effetto» replicò lui, tranquillo, anche se l'altra volta era palesemente terrorizzato. «Anzi, sarei ben felice se dovessi mettermi le mani addosso» ghignò, malizioso. «Cederai, prima o poi. Lo fanno tutte.»
Mi stupii della mia reazione: non urlai, non scoppiai a ridere, non sfoderai nessun'arma nascosta. Rimasi calma, nonostante il disgusto e il fastidio che mi provocarono le sue insinuazioni.
«Staremo a vedere, Dimitri.» Gli regalai un sorriso stucchevole. «Staremo a vedere.»
Ordinai ai novellini di compiere quindici giri del perimetro della palestra, correndo, per cominciare da qualcosa di leggero. Mi posizionai al centro, mentre esaminavo il loro lavoro.
Ammetto che indugiai un po' troppo sulla figura di Connor, con il ciuffo scuro che gli oscillava sulla fronte e i respiri ritmici che gli gonfiavano il petto. Notai che non portava gli occhiali e non capii se mi piaceva di più con o senza.
Alla fine giunsi alla conclusione che non mi piaceva e basta.
«Ho finito» disse una voce, distraendomi da Reed.
Non mi ero accorta che Azhar, il ragazzo di origini saudite, era uscito dal cerchio per raggiungermi. Aveva il fiatone e i riccioli scuri incollati alle tempie.
Osservai il cronometro di cui mi ero munita. «Tre minuti e sedici secondi. Impressionante.»
Mi sembrò di vedere le sue guance tingersi di rosa, ma forse era solo lo sforzo della corsa.
«Ero il più veloce, a scuola» confessò piano, come se fosse stato un segreto. Il suo forte accento arabo mangiò qualche sillaba.
«Quanti anni hai?» gli chiesi, sinceramente interessata.
«Diciannove. Subito dopo il diploma, i miei genitori mi hanno mandato qui.»
Non gli chiesi il motivo. Intuii che non sarebbe stato contento di parlarne, dalla sua espressione rabbuiata.
Però, per mia fortuna, era maggiorenne. Quindi non mi risparmiai dall'ammirarlo. Già dal nostro primo incontro avevo notato la sua bellezza particolare, esotica. Una bellezza che pochi hanno e pochi apprezzano.
Be', io apprezzavo eccome.
Apprezzavo i grandi occhi marroni, la dolcezza infantile dei tratti del viso, la carnagione olivastra. E sicuramente apprezzavo il fisico scolpito ad arte da madre natura, le linee ancora più visibili sotto la maglietta bianca e aderente.
Un pezzo raro, di quelli da collezione. E io ero da sempre una collezionista appassionata. Una predatrice di capolavori sottovalutati dal mondo. Una ladra di cose belle e inafferrabili.
Quando anche gli altri novellini terminarono la corsa, passammo a fare qualche esercizio di estensione degli arti. Dopodiché ordinai loro di bendarsi le mani e sistemarsi in un semicerchio.
Avevo voglia di prendere a pugni qualcuno. E qualcuno aveva una zazzera di capelli biondo platino e uno sguardo lascivo che non mi mollava un istante.
«Facciamo un po' di pratica con il sambo» decisi, dopo che anch'io ebbi finito di fasciarmi i dorsi. «Dimitri, vieni qui. Aiutami con la dimostrazione.»
Lui, come un cagnolino fedele, accorse al mio fianco. «Cosa devo fare, baby?»
«La domanda giusta è cosa non devi fare, stronzo.»
Senza dargli il tempo di mettersi in posizione, scagliai un destro sul suo zigomo. Uno scricchiolio di ossa rimbombò nella palestra silenziosa, subito seguito da un grido di dolore.
«Blyad! Sukin syn!» sbraitò Dimitri, pressando le mani sul punto colpito.
«Non provocarmi mai più, non darmi altri nomignoli del cazzo e stammi alla larga. Ci siamo capiti, baby?»
Lui mi lanciò un'occhiata furiosa, le iridi due voragini nere. Era l'espressione di un assassino fuori controllo. Se non fossi stata imperturbabile e addestrata a ogni evenienza, ammetto che mi avrebbe spaventata.
«Dannata puttana» ringhiò. «Ringrazia di essere la fottuta principessina del vory, altrimenti ti avrei di già uccisa, dopo averti scopata come si deve. Con o contro la tua volontà.»
Purtroppo l'occasione di porre fine alla sua miserabile vita mi fu sottratta da Yan, che intervenne: «Piantala, Dimitri. Ti stai rendendo ridicolo. Se non riesci a digerire un rifiuto, levati dal cazzo».
Mi sorpresi e non poco. Mi stava difendendo?
«Con piacere» accettò il biondo, l'umiliazione e la rabbia a imbrattargli i lineamenti, insieme a una macchia rossa che presto sarebbe diventata un livido. Mi puntò l'indice al petto. «Sta' attenta, May Holsen, perché questa me la paghi.»
Me ne fregai della sua intimidazione e, quando Dimitri uscì dalla palestra, liberandoci finalmente della sua presenza insopportabile, tornai a vestire i panni dell'allenatrice.
Divisi i novellini in due coppie: Yan con Isidora, l'unica ragazza russa del gruppo oltre a Dimitri, e Connor con Azhar.
Mi concentrai sulle ragazze, rispettando la promessa che mi ero fatta: portare Yan allo stremo. Corressi ogni suo singolo movimento, sebbene fossero perfetti, esaltando in modo ingiustificato Isidora. Mi aspettavo che perdesse la pazienza, che mi urlasse contro o addirittura mi assalisse, ma mantenne la compostezza. La sua calma era inscalfibile e la invidiai per questo.
Scelsi di spostare la mia attenzione altrove, dato che la presunta traditrice non dava segni di cedimento, quindi mi concentrai su Connor e Azhar.
Non fu esattamente una mossa geniale, appaiare quei due, perché vederli combattere era un vero e proprio attentato agli ormoni. Se la cavavano entrambi piuttosto bene, anche se Azhar faticava a parare i colpi ben assestati di Connor. Mi chiesi chi l'avesse addestrato così. Scagliava pugni e calci e schivava il contrattacco con l'agilità di un ninja.
Perciò macchinai un'idea. Il desiderio di avvicinarmi a uno era forte quanto la voglia di infastidire l'altro.
«Aspetta,» dissi ad Azhar, bloccando il suo pugno a mezz'aria, «aggiusta la posizione. Non sei abbastanza stabile sulle gambe.»
Lui increspò le sopracciglia folte, senza capire come sistemarsi. Lo affiancai e, schiacciandogli una mano sull'addome e una sulla schiena, lo aiutai a ruotare il bacino nel modo giusto.
Ammetto che indugiai un po' troppo con i polpastrelli sui muscoli tirati, da brava approfittatrice qual ero. Gli rivolsi uno sguardo a cui sapevo non avrebbe resistito - le mie iridi cerulee erano uno dei miei punti più forti - e abbozzai un sorriso dolce.
«Adesso va bene. Quando ti difendi, cerca di non sbilanciarti. Guarda dritto davanti a te. Non avere fretta di attaccare» mormorai quei pochi ma efficaci suggerimenti.
Lui ricambiò timidamente il sorriso, gli zigomi cosparsi di macchie rosate, e mi piacque ancora di più. Adoravo i ragazzi impacciati e riservati, con quell'aria di innocenza a circondarli.
Erano fuoco per la mia personalità di ghiaccio.
Lasciai Azhar per permettergli di continuare lo scontro. Grazie ai miei consigli fu in grado di sbattere Connor al tappeto un paio di volte, ma le restanti Reed ebbe la meglio.
Non mi complimentai mai con lui, perché detestavo il modo in cui mi guardava ogni volta che atterrava il suo avversario. Aveva sempre quell'espressione fottutamente tranquilla, ma che celava una punta di scherno.
Si divertiva, mentre io mi indispettivo. La vera lotta era tra me e lui; Azhar fungeva da pedina per scatenare la mia rabbia.
Odiai ancora di più me stessa per le mie reazioni. Che cazzo me ne importava, delle prese in giro di Connor Reed? Da quando ero così suscettibile?
Per dargli prova del mio enorme disinteresse, lo ignorai e mi dedicai esclusivamente a fare il tifo per Azhar e a correggerlo quando commetteva qualche errore dovuto alla foga o alla distrazione. E quei sorrisi dolci e riconoscenti che ricevevo in cambio avevano il potere di sciogliermi.
Mischiai i gruppi per aumentare la difficoltà e la miglior combattente di sambo di rivelò Yan, che sconfisse persino Connor, robusto e alto il doppio di lei. Dell'erede degli Huang me ne sarei occupata più tardi. Non mi aveva convinta del tutto, nonostante il suo comportamento impeccabile.
Terminai la lezione con una sessione di stretching e mandai i novellini a casa loro a farsi una doccia. Be', non tutti, in realtà.
«Azhar,» lo richiamai, impedendogli di uscire insieme agli altri, «puoi aiutarmi a mettere a posto?»
Non ce n'era bisogno, dal momento che avevamo utilizzato poche attrezzature, ma il mio tono mellifluo lo persuase a restare comunque. Intercettai di sfuggita lo sguardo di Connor, prima che abbandonasse la palestra e chiudesse la porta alle sue spalle, per darci privacy. Cos'era, una specie di favore?
«Grazie per i consigli che mi hai dato oggi» pronunciò all'improvviso Azhar, avvampando l'istante seguente. Dovetti impedirmi di scoppiare a ridere. Sapevo di incutere timore, ma non fino a questo punto.
«Sei stato bravo» lo lusingai, intanto che sistemavo i tappetini da yoga. «E hai la fortuna di starmi particolarmente simpatico.»
«Io... grazie, suppongo» borbottò imbarazzato.
Gli passai il rotolo di bende, ma gli scivolò dalle mani. Un lembo si aprì e cominciò a svolgersi, quindi, per un riflesso incondizionato, ci abbassammo entrambi a raccoglierlo. Ciò che ne conseguì fu abbastanza strano: ci trovammo con gli occhi alla stessa altezza, le punte dei nasi che si sfioravano e le labbra vicine.
Era il momento perfetto. Dovevo cogliere l'attimo. Quindi mi sporsi verso Azhar, ma lui fu più veloce di me. Sorprendendomi, piantò la bocca morbida sulla mia e mi strinse i fianchi tra le dita, tirandomi contro il suo corpo.
Era un piacevole pressarsi di labbra, ma non durò a lungo. L'unico difetto dei ragazzi come Azhar era che non baciavano qualcuno per il gusto di farlo e che si sentivano sempre in dovere di specificare le loro emozioni. Perciò si staccò da me, conficcando le iridi scure nelle mie.
«Tu mi piaci, May» dichiarò, sicuro come mai l'avevo visto. «Mi piaci davvero. So che ci conosciamo da poco, ma in questi giorni ti ho osservata spesso.»
Oh, cazzo. Cazzo cazzo cazzo.
Quella era l'ultima frase al mondo che speravo di udire da chiunque. L'ultima.
«Non voglio metterti alcuna pressione. Puoi rispondermi quando sarai pronta» aggiunse, accorgendosi del mio momento di panico. «Volevo solo dirti che... mi attrai come nessuna ragazza prima d'ora. Non ho dubbi su questo.»
Sapevo che la sua era solo una cotta, ma il problema andava necessariamente estirpato dalla radice. Perché io non ero fatta per essere amata, nemmeno in forma lieve.
Coraggio, May. Non è niente che tu non abbia già fatto. Anche se ti sta guardando con quegli occhi enormi e pieni di sentimento. Anche se ha la speranza cucita in faccia.
«Ascolta, Azhar, sei un ragazzo meraviglioso» esordii, sforzandomi di addolcire la voce e di non risultare troppo dura. Mi alzai in piedi e gli tesi una mano per aiutarlo. «Ed è per questo che ti sconsiglio di farti piacere una come me.»
Lui si sollevò e mi osservò senza capire. «Cosa... cosa intendi?»
«Che non ti amerò mai. Non perché tu sei tu, ma perché io sono io.»
Forse avrei dovuto essere più chiara, a giudicare dalla sua espressione. Non tutti riuscivano a decifrare le mie parole criptiche, a eccezioni dei pochi che mi conoscevano meglio.
«Il punto è che non voglio amare nessuno, non in quel senso. Posso offrirti il mio corpo e puoi possederlo in ogni modo immaginabile, ma non ti cederò mai l'anima. Mi sono promessa di conservare i brandelli che ne sono rimasti.»
Lo dissi con tutta la sincerità di cui disponevo. Parlai a cuore aperto, mi confidai con Azhar, gli permisi di sbirciare uno spiraglio del mio essere. Gli mostrai una delle mie paure più grandi. E lui, che era troppo buono per portare rancore, mi comprese.
«Non è colpa tua» pronunciò semplicemente. «Rispetterò la tua decisione.»
Odiai me stessa con la stessa intensità con la quale desiderai di poter ricambiare i suoi sentimenti.
«Grazie» bisbigliai. «E... mi dispiace.»
«Se proprio vuoi farti perdonare, puoi darmi un altro bacio» propose con un sorrisetto scherzoso.
L'idea non mi offese per niente. Posai le mani sulle sue guance e lo baciai di nuovo, stavolta con più impeto. Sarebbe diventato un bel ricordo, uno dei tanti; né più né meno.
Era il massimo che potessi offrirgli senza imbottirgli la testa di illusioni.
Poi gli dissi che avrei finito di sistemare da sola e che poteva ritornare a casa. Lo lasciai andare, perché non ero del tutto una stronza insensibile e volevo evitare di spezzargli il cuore.
Come ogni sera da sette anni a quella parte, alle otto e mezza scesi in cucina per la cena. Durante il pomeriggio Klara mi aveva comunicato che avrebbe preparato qualcosa di speciale, quindi ero animata da una certa curiosità. Speravo soltanto di non essere costretta a ingerire una delle sue orribili brodaglie, dato che eravamo in pieno autunno e cominciava a fare freddo.
Ciò che trovai una volta giunta sul posto era anche peggio.
La tavola era stata apparecchiata per quattro, cosa più unica che rara, dato che alla Villa nessuno mangiava in compagnia. Accadeva solo durante gli incontri di lavoro organizzati da Egor, ma esclusi subito quell'ipotesi. Mi avrebbe avvertita di non disturbarlo, altrimenti.
Klara era impegnata a grigliare della carne dal profumo spettacolare e, nel frattempo, canticchiava le note di una filastrocca in russo. Niente di nuovo.
Il vero problema era Connor Reed. In piedi davanti al piano cottura, vigilava l'acqua che bolliva in una pentola. Quando la ritenne pronta, versò all'interno un piatto di quelli che mi sembravano ravioli. Si voltò, forse per prendere il sale dalla credenza, e in quel momento i suoi occhi incontrarono i miei.
Accennò un sorriso. «Buonasera, May.»
«May, dorogaya!» esclamò Klara, notandomi. Mollò la carne per stamparmi un bacio su una guancia. «Com'è andata la tua giornata?»
Non le risposi, l'attenzione ferma su Reed. «Che ci fa lui ancora qui?»
«Mi sono trasferito definitivamente» annunciò tranquillo, come se mi stesse riferendo le ultime notizie sui giri di droga del Ghetto.
«Ho pensato di cenare tutti insieme, per far sentire Connor a casa» mi spiegò Klara. «E' un così caro ragazzo, non trovi?»
Certo, come no. Carissimo.
«Credo che mangerò in camera» decisi. Col cazzo che mi sarei seduta allo stesso tavolo di Connor e avrei condiviso il cibo con lui. «Prendo il mio piatto e tolgo il disturbo.»
L'occhiataccia di Klara mi impedì di muovermi. «Assolutamente no, malýshka. Sii rispettosa e siediti con noi.»
Oh, fanculo! Le volevo troppo bene per dirle di no e sembrava così contenta all'idea di quella cena coi fiocchi. Perciò masticai l'orgoglio e, ignorando l'espressione divertita di Connor davanti a quella scenetta materna, presi posto a tavola.
«Tramortisci ragazzi aggressivi ma ti fai comandare da una domestica» osservò lo stronzo, sedendomisi di fronte. Nel suo sguardo nocciola scintillava una luce ilare. «Attenta o racconterò a qualcuno di questo tuo lato tenero.»
«Vuoi vedere quanto è tenero un calcio nelle palle?»
«May!» mi sgridò Klara, e temetti che stesse per lanciarmi contro il mestolo con cui girava la pasta. «Non voglio minacce di alcun tipo, in mia presenza, chiaro? Non siamo in una delle tue missioni, qui.»
«Scusa, babushka» mi costrinsi a sibilare.
In realtà ero davvero pentita. Klara si ostinava a non vedermi per ciò che ero - una spietata assassina - e non le piaceva il mio lato aggressivo, motivo per cui mi sforzavo di essere quantomeno decente, con lei. Non volevo deluderla.
Volevo spaccare qualche osso a Connor, in compenso, specialmente nel sentire i suoi risolini mal soffocati da un finto attacco di tosse. Mi innervosiva a dismisura.
A tenere la mia lingua a freno fu l'arrivo di Danny. Mio fratello comparve sulla soglia della cucina e, dal libro che teneva tra le mani, dedussi che fosse di ritorno dalla biblioteca. Ci squadrò con le sue iridi cerulee.
«Daniel, vieni, unisciti a noi!» gli propose all'istante Klara, euforica di avere un altro commensale. «Ho già apparecchiato per te. Sapevo che saresti passato.»
Danny schiuse le labbra, con una giustificazione già pronta, ma nemmeno lui riuscì a troncare l'esuberanza di Klara. La amava tanto quanto la amavo io.
«Va bene» mormorò, avvicinandosi al tavolo. Posò il libro su un mobiletto e si sedette accanto a me. Studiò per qualche istante Connor, prima di chiedergli: «Sei uno dei sicari nuovi?».
«Mi chiamo Connor» si presentò, stringendogli la mano. «Anche tu lavori per Egor?»
I lineamenti delicati di Danny si contrassero in una smorfia d'orrore al solo pensiero. «No.»
Non aggiunse altro, quindi intervenni: «E' mio fratello. Lavoro io per entrambi».
Se Connor rimase sorpreso da quella rivelazione, non lo diede a vedere. Ci osservò entrambi, forse mettendoci a paragone. Sapevo di non assomigliare granché a mio fratello, a eccezione dei nostri occhi, fieramente e dolorosamente ereditati da papà.
Klara interruppe il silenzio venutosi a creare servendoci una porzione di pelmeni con panna acida ed erba cipollina. I ravioli erano tra i pochi piatti tradizionali russi che apprezzavo, dunque mangiai con estrema voracità.
«Sei un ottimo cuoco, Connor» lo lusingò Klara.
Rischiai di strozzarmi. Per fortuna avevo un bicchiere d'acqua a portata di mano.
«Ti ringrazio, Klara» rispose lui. Ebbi l'impressione che mi scoccò uno sguardo. «Sono contento che tu abbia gradito.»
Credevo che si fosse limitato a bollirla, la pasta. Non sapevo neanche che gli piacesse cucinare. E come avrei potuto saperlo, d'altronde, quando non me ne importava niente di lui? Mio malgrado dovetti dare ragione a Klara, perché era un piatto da ristorante, ma non lo ammisi ad alta voce.
Sarei morta mille volte piuttosto che dargli la soddisfazione di un complimento da parte mia.
Per secondo mangiammo shashlik, spiedini caucasici di maiale conditi con anelli di cipolla e peperoni. Notai con gioia che Danny chiese una doppia porzione. Si era sciolto dalla sua solita timidezza e stava chiacchierando con Klara e Connor di svariati argomenti, aggirando però qualsiasi riferimento alla nostra vita privata o alla nostra famiglia.
Mi bastava che fosse a suo agio, poco importava che facesse amicizia proprio con Reed.
Klara ci mandò a dormire due ore più tardi, sancendo la fine della cena. Mi stupii nel constatare che non era stata un'esperienza così tremenda e che il tempo era passato più velocemente del previsto. Connor si offrì di aiutarla a sparecchiare, mentre io e Danny tornammo in camera.
«È carino» disse mio fratello, all'improvviso, mentre eravamo seduti sul suo letto e mi scioglieva le trecce. «Connor, intendo.»
«Non lo sopporto anche per questo» confessai.
Mi sfiorò i lunghi capelli neri con la spazzola. «Cosa hai contro di lui?»
«La sua sola nascita è una tragedia.»
«Smettila di fare la stronza per auto difesa» sbuffò. «Non muori mica, se ogni tanto ti comporti in modo gentile con gli altri.»
Mi voltai per trucidarlo con lo sguardo. «Non con lui.»
«Come vuoi» borbottò. «Spero che ti stia lontano, per il suo bene.»
Stava scherzando, ma non immaginava quanto mi trovassi d'accordo con quell'affermazione.
Angolo autrice
Buonasera readers💘
Capitolo un po' statico, lo so, ma ci sono sviluppi importanti.
Prima di tutto, i novellini. Vi avevo avvertiti che sarebbero tornati! C'è Dimitri che si è beccato un bel pugno, Yan che sembra una probabile traditrice (se vi ricordate nel capitolo precedente è stata nominata una certa Huang Corporation) e Azhar che si è preso una cotta per May, dato che è gentile praticamente solo con lui.
Magari quest'ultimo punto sembra affrettato, ma ho una scaletta da seguire e questo capitolo era il momento ideale per far scattare qualcosa. Non preoccupatevi che torneremo ad approfondire.
In ogni caso May ha messo in chiaro che non è fatta per l'amore, ma questo lo dice lei, giusto?
Poi è tornato il carissimo Connor, che a quanto pare è uno chef in segreto che stringe amicizia con le domestiche. Non so voi, ma mi diverte che lui non faccia assolutamente niente e che May gli vada contro per qualche provocazione.
C'è anche Danny per la vostra gioia, perché so che lo adorate quanto me✨️
Preparatevi perché i prossimi due capitoli saranno tosti. Si torna all'azione🔥
Xoxo <3
Note:
• Il sambo è un'arte marziale di origine russa, usata in passato per addestrare i membri dell'Armata Rossa.
• Pelmeni:
• Shashlik:
{sì, ho fame}
Traduzioni:
1) Blyad! Sukin syn!= Cazzo! Figlia di puttana!
2) Dorogaya= cara
3) Malýshka= bambina
4) Babushka= nonna
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