Capitolo 31

All'inizio del capitolo 28 trovate un breve recap degli ultimi eventi della trama, che vi consiglio di rileggere velocemente, per non perdere il filo della storia. Aggiungo un paio di punti:

• Egor crede che a minacciare la sua ricchezza sia Lukyan Sidorov, un suo nemico e ricco imprenditore immobiliare, schierato dalla parte della giustizia;

• Secondo un documento trovato da May durante l'ultima missione (seconda parte del capitolo 29), l'International Operations Division dell'FBI, una branca che si occupa delle operazioni oltreoceano, collabora con Sidorov per proteggerlo dalla mafia.

Come sempre, se avete dubbi di ogni tipo, non esitate a scrivermi. Buona lettura ♡

(Canzoni che consiglio per la seconda parte del capitolo: Call Out My Name di The Weeknd e Lust dei Chase Atlantic🌶️)

Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca, 2 dicembre 2019

Gli sguardi di tutti i presenti erano concentrati sulla figura di Egor. Il vory, seduto al posto di capotavola, stringeva tra le mani ornate di anelli un sottile plico di documenti ed era assorto dalla lettura del testo stampato sul primo foglio. L'espressione concentrata e il piglio severo erano accentuati dalla sua consueta postura rigida, ma sempre elegante, che emanava un'aura di incontestabile autorità.

Nessuno osava emettere fiato, in attesa che il boss pronunciasse un discorso per cominciare quella riunione, organizzata in modo repentino e all'ultimo secondo. Egor aveva convocato nella sala adibita agli incontri ufficiali una cerchia ristretta dei suoi sicari, solo coloro di cui si fidava maggiormente, tra i quali figuravamo io, Connor e Larysa.

Quest'ultima non mi degnava di una misera occhiata e non mi rivolgeva parola da almeno due settimane, manifestando un'acredine che era ricambiata da parte mia. Mi domandai se la nostra amicizia sarebbe mai tornata solida come lo era un tempo, prima che lei avesse tradito la mia fiducia e io le avessi strappato via l'uomo di cui si era innamorata. Il legame fondato quando avevamo appena dodici anni si era dissolto in un cumulo di cenere e rancore, impossibile da ricostruire.

Dall'altra parte, tuttavia, c'era Connor. L'angolo delle mie labbra si incurvò in un flebile sorriso istintivo, mentre osservavo di sbieco il ragazzo che mi aveva scombussolato l'esistenza in maniera tanto inaspettata quanto positiva. Non mi sarei mai stancata di studiare i suoi particolari più belli, per imprimere nella memoria i dettagli di cui mi ero infatuata senza neanche accorgermene.

Erano passati soltanto un paio di giorni dal momento che avevamo condiviso nella serra della Villa, da quella dichiarazione improvvisa per entrambi e dalla promessa di impegnarci per farci del bene reciproco. Lui aveva giurato di non causarmi alcun tipo di sofferenza, mentre io gli avevo garantito che avrei abbattuto la mia muraglia difensiva e che gli avrei donato una possibilità di starmi accanto. Nei due giorni successivi avevamo trascorso quasi ogni ora insieme, persi tra baci ed effusioni, e giunti a quel punto l'idea di separarci risultava pressoché irrealizzabile.

Connor percepì che lo stavo guardando e i suoi occhi si incatenarono ai miei, dal lato opposto del lungo tavolo rettangolare. Ricambiò il sorrisetto, scolpendosi sul viso una curva che distese i lineamenti cesellati. Percepii la punta del suo piede che mi toccava la caviglia e gli scoccai uno sguardo di monito, perché non era il caso di comportarci da fidanzatini davanti a Egor.

Eppure, non potevo negare la mia felicità. Non provavo una simile sensazione di contentezza ed euforia da almeno sette anni, prima che la mia vita andasse in frantumi. Galleggiavo su una nuvola di serenità e buonumore, con l'accenno di un sorriso che mi illuminava sempre il volto, solo nel pensare ai momenti trascorsi in compagnia di Connor.

Era uno stato d'animo a me sconosciuto e totalmente nuovo. Nel profondo, sapevo che quel miscuglio di emozioni aveva un nome ben preciso, ma non ero pronta a definire già il rapporto con Connor. Era ancora troppo presto, per me: necessitavo di tempo per abituarmi a quella situazione e decifrare i miei sentimenti.

«Vi ho chiamati per discutere degli ultimi sviluppi riguardo la "missione Sidorov"» esordì di punto in bianco Egor, reclamando a sé l'attenzione di ognuno. «Potremmo aver scoperto chi è il colpevole delle denunce anonime e chi sta cercando di minacciare le mie attività.»

Appoggiò i documenti sulla superficie lucida del tavolo, permettendoci di sbirciare il foglio su cui si era fossilizzato. Riconobbi il contratto che attestava l'alleanza tra l'imprenditore immobiliare e l'International Operations Division, che avevo trovato io stessa nell'archivio di Sidorov.

«A quanto pare, c'è in corso una collaborazione tra lui e una branca dell'FBI. Non ho dubbi che i federali siano sulle nostre tracce e che stiano guidando le operazioni della polizia locale nel Ghetto. Non osano avvicinarsi alla Villa, per il momento, ma sono certo che non impiegheranno molto a raccogliere le unità sufficienti per invadere anche la base. Stanno sondando il territorio per conquistarne un pezzo alla volta, con una strategia mirata a indebolire il mio potere» illustrò Egor in modo meticoloso.

Il vory si mostrava calibrato e lucido, vantando un controllo che invece stava lentamente perdendo. Quella scoperta significava che la fine del suo impero illegale si stava profilando all'orizzonte. La giustizia gli aveva sottratto una buona percentuale di edifici, risorse e denaro, però lui non si scomponeva dinanzi a tale pericolo. D'altronde, mi aveva insegnato che l'arma più potente era sempre l'impassibilità, anche se bisognava fingere una calma che in realtà non si possedeva.

Se perdi il dominio su te stesso, allora hai perso tutto. È l'unico appiglio che rimane nelle situazioni di emergenza. Non fartelo strappare.

Me lo aveva ripetuto così spesso che avevo scolpito le sue parole nel cervello. Era stato un insegnamento utile e mi aveva salvata in moltissime occasioni, ma mi aveva anche rovinata, rendendomi un blocco di ghiaccio immune ai fattori esterni e incapace di lasciarsi trasportare dalle emozioni.

Mi comportai così anche quella volta. Rimasi imperturbabile di fronte all'eventualità di un'imboscata delle forze dell'ordine a Villa Zaffiro, di essere condannata per i miei numerosi crimini e di passare il resto della vita in una prigione angusta. In fondo, era ciò che mi spettava: non dovevo dimenticarmi chi ero, qual era il mio compito e a quali rischi andavo incontro. Le vaste mura dell'abitazione non mi avrebbero nascosta in eterno.

E anche se mi soddisfaceva immensamente il pensiero di vedere Egor rinchiuso in una cella, a scontare la pena che meritava per il male che aveva causato alla mia famiglia, temevo che i giudici mi avrebbero allontanata da Danny. Lui era l'unico innocente, in tutta quella storia, e me lo avrebbero portato via. La presenza di mio fratello mi risultava indispensabile per sopravvivere.

«Perciò è quel bastardo di Sidorov che suggerisce agli sbirri come attaccarci?» si intromise Demid, uno degli uomini del boss, sforzandosi di parlare in inglese come stava facendo lui.

«È un'ipotesi plausibile, sì, ma non escluderei altri coinvolgimenti. Sidorov potrebbe essere solo un anello della catena» rifletté Egor, intrecciando le mani sul tavolo. «Per scoprire il suo ruolo nella vicenda, manderò qualcuno a seguirlo nel prossimo evento a cui parteciperà: un ricevimento a Nizhny Novgorod, nel Museo Statale di Storia e Architettura. Un paio di voi si infiltreranno tra gli invitati e cercheranno di ricavare informazioni aggiuntive sulla vicenda. Ci sono volontari per l'incarico?»

Nizhny Novgorod era una delle città russe che non avevo mai visitato e che mi affascinava per la sua architettura elaborata, dunque pensai di cogliere l'occasione al volo. C'era solo un'altra persona, seduta a quel tavolo, che avrebbe apprezzato una serata di gala in un museo tanto quanto la sottoscritta.

«Ci andremo io e Reed» annunciai a voce alta e sicura, in modo che tutti udissero. Connor allargò le palpebre e mi tirò uno sguardo confuso e sorpreso da quella decisione impulsiva, che avevo stabilito senza neanche interpellarlo, ma non obiettò.

Egor ci studiò entrambi con minuzia, annuendo piano, per poi rispondere: «Sì, può funzionare. Partirete domani in tarda mattinata. Farò preparare il jet e riserverò una prenotazione in hotel».

Dopodiché, decretò la conclusione della riunione strategica. Gli altri sicari lasciarono la stanza tra mormorii di protesta ed espressioni annoiate, infastiditi dal mio ennesimo slancio di egocentrismo e dal tempo sprecato. In particolare, Larysa mi dedicò un'occhiata torva che ignorai, mentre raggiungeva l'uscita della sala. Io e Connor, invece, ci intrattenemmo con Egor per qualche minuto, il quale ci comunicò i dettagli essenziali della missione.

«È molto probabile che Sidorov avrà una scorta di sbirri a proteggerlo, oltre ai federali nei paraggi, per cui evitate mosse azzardate. Non attaccatelo direttamente, ma difendetevi dai suoi uomini in caso di pericolo. Se la situazione si complica, fuggite senza esitare: il jet resterà in vostra attesa all'aeroporto.» Si interruppe per soppesarci con lo sguardo, scorrendo le pupille dalla mia figura a quella di Connor. «E cercate di non distrarvi. Non tollero sviste o errori di alcun tipo. Sono stato chiaro?»

Entrambi confermammo con determinazione ed Egor ci congedò, quindi ci dirigemmo verso la porta. Una volta esserci allontanati dalla soglia della stanza, Connor diede fiato all'interrogativo che sapevo già che voleva pormi: «Perché hai accettato subito l'incarico e mi hai trascinato con te?».

«Non mi sembra che tu ti sia opposto, e io non ti costringo di certo a seguirmi a Nizhny Novgorod» ribattei. «Ti ho coinvolto perché siamo una squadra funzionale, lavoriamo bene nelle missioni e soprattutto la affronteremo insieme. Non ti piace l'idea?»

«Sì che mi piace, Milady» notificò abbozzando un sorriso dolce. Mi agguantò per i fianchi, stringendomi con un braccio per attirarmi vicino a sé. I nostri profili combaciarono e le labbra di Connor furono rapide nel posarsi sopra le mie, rubandomi un bacio leggero. «Preferisco accompagnarti e assicurarmi che non ti succeda nulla. Non che tu abbia bisogno di essere protetta, ma così starò più tranquillo. E, poi, non vedo l'ora di visitare quel museo con te.»

Non avevo ancora realizzato di poter baciare Connor quando desideravo, di essere libera di stargli accanto e di non dovermi più nascondere dietro a un muro di finta indifferenza e odio simulato. Un po' mi sarebbero mancati, i nostri battibecchi ironici e velenosi, eppure amavo quella nuova dinamica che si era instaurata in modo spontaneo tra di noi.

Il giuramento silenzioso di appartenersi.

«Dato che partiremo domani, è meglio che vada in camera a preparare il necessario» gli comunicai con praticità, quando ci fermammo nel vano d'ingresso della Villa.

«Oppure... rimandiamo i preparativi del viaggio a più tardi e, adesso, dedichiamo del tempo ad attività più stimolanti» propose in tono di provocazione, le labbra che formavano la curva di un mezzo ghigno.

Incrociai le braccia al petto, scettica, e corrugai le sopracciglia. «Sentiamo, Reed, cosa stai macchinando?»

«Niente di elaborato, ma credo solo che dovremmo concederci un piccolo momento di svago, prima di andare in missione con il rischio di non tornare vivi indietro» affermò senza indugio. «E si dà il caso che abbiamo una rivincita a poker in sospeso da parecchi giorni, io e te.»

Ricordai la partita che avevo perso contro Connor, una sera al Zolotoy Glaz, il casinò del Ghetto che subito dopo era stato sequestrato dalle forze dell'ordine. Quel mancato successo mi aveva a dir poco infastidita e la mia indole competitiva bramava per mostrargli quanto, in realtà, fossi più talentuosa di lui nel gioco d'azzardo.

«Sai che non sono solita rifiutare una sfida, Reed. Ci sto, giochiamo, così posso stracciarti una volta per tutte» acconsentii, rivolgendogli un'espressione di risoluta arroganza. In fondo, nonostante i cambiamenti, eravamo rimasti sempre gli stessi: testardi e orgogliosi, oscillavamo su un'altalena che vorticava il tra ruolo di rivali e di amanti. Un equilibrio disomogeneo che mi piaceva da morire.

«Allora seguimi, Milady» mi invitò con voce carezzevole, porgendomi la mano per intrecciare le nostre dita.

Mi guidò al piano superiore della Villa, in un'ala riservata alla comodità e al lusso della zona living. Entrammo in un salotto di modeste dimensioni, seppur arredato con mobili di legno pregiato e decorazioni sfavillanti, oltre che ad alcune postazioni dedicate alle varianti più semplici del gioco d'azzardo. Connor mi lasciò la mano per chiudere la porta a chiave, in modo che nessuno potesse disturbarci, e si diresse al centro della sala, dove era collocato un tavolino basso di cristallo circondato da un paio di poltrone in pelle color crema.

«Conosci le regole del Texas Hold'em heads-up, il poker per due giocatori?» mi questionò, mentre rimescolava un mazzo di carte francesi che qualcuno aveva abbandonato sulla superficie del tavolino.

Confermai e mi accomodai su una delle poltrone, di fronte a Connor. Ammirai il suo cipiglio concentrato nel maneggiare le carte, con una ciocca scura di capelli che gli sfiorava la fronte e le labbra arricciate. Raccolsi le fiches sparse sul tavolo e cominciai a suddividerle per colore, ma mi interruppi quando un'idea particolare - anche se per niente casta e pudica - mi balenò in mente.

«Invece di seguire le solite regole dell'heads-up, perché non sperimentiamo un'altra versione del poker? Qualcosa di più facile e divertente, vantaggioso per entrambi...» avanzai la mia proposta con vaghezza e aria di mistero, per accendere l'interesse di Connor.

Riuscii nel mio intento, poiché il ragazzo spostò l'attenzione dalle carte a me, incuriosito. «Ti ascolto. A cosa hai pensato?»

«Non è complicato: peschiamo le carte e giochiamo una manche breve e diretta, senza possibilità di rilanciare o lasciare la partita, e a ogni turno il giro ricomincia. Usiamo i nostri vestiti al posto dei gettoni. Chi ottiene la combinazione migliore decide quale capo d'abbigliamento deve togliersi l'altro, e andiamo avanti così fin quando uno dei due non si ritrova... be', senza più niente addosso.» Mi scolpii sulle labbra un sorriso di falsa innocenza, che però contrastava con la brama che trasmetteva il mio sguardo. «Vuoi giocare con me, Reed?» sussurrai lasciva.

«In questo caso, dovrò impegnarmi ancora di più per vincere e batterti. Accetto, Milady» rispose, un bagliore di desiderio lussurioso negli occhi. «Che lo spettacolo abbia inizio.»

Connor, che ricopriva sia il ruolo di giocatore che di dealer, consegnò due carte a testa e ne posizionò tre comunitarie al centro del tavolo, girate verso l'alto: cinque di picche, sette di fiori e quattro di cuori. Studiai il cinque di quadri e il cinque di fiori che mi erano capitati, soddisfatta nell'apprendere che avrei potuto realizzare un tris di cinque, includendo quello sul tavolo. Ero stata abbastanza fortunata, per essere solo l'inizio della partita.

«Una manche breve e diretta, giusto? Pronta allo showdown?» mi incalzò Connor, che non lasciava trapelare alcun indizio riguardo le sue carte, ma sembrava in trepidazione per proseguire il gioco.

«Showdown» ripetei in conferma.

Rivelammo le carte in contemporanea. Connor aveva pescato un sette di quadri e un sei di cuori, perciò aveva combinato una coppia di sette, però inferiore rispetto al mio tris. Significava che ero la vincitrice del primo turno e che, per mia immensa gioia, avrei scelto di quale dei suoi indumenti sbarazzarmi.

«Via la felpa, Reed, coraggio» gli ordinai gongolante.

Sbuffò, infastidito dalla sconfitta, ma sfilò la felpa nera senza lamentele, posandola sullo schienale della poltrona. Restò con una normale maglietta bianca a maniche corte, che gli fasciava il torace in modo decisamente piacevole per i miei occhi. Era un ottimo esordio e sperai di intascare un'altra vittoria, per rimuovere anche quella barriera di cotone.

Connor rimescolò le nostre carte al mazzo e ne aggiunse una quarta al centro, un sette di picche, poi ne afferrò due nuove per sé e me ne passò altrettante. Stavolta, tenevo tra le dita un tre di picche e un asso di fiori. Scoprii con delusione che non potevo combinarle con nessuna delle carte comunitarie; avevo esultato troppo presto.

Il mio rivale, invece, - come presagii dal sorriso scaltro che accennò - era stato più fortunato di me. Rivelò un otto di cuori e un sei di quadri, con cui aveva creato una scala di numeri in sequenza, dal quattro all'otto, seppur di semi diversi. Fu il mio momento di scontare la penitenza ed eseguii il comando di togliere il maglioncino attillato che indossavo.

Uno strato di brividi mi puntellò le braccia, quando rimasi in reggiseno, e non avrei saputo distinguere se fossero causati dal freddo o dallo sguardo di Connor che trafiggeva la pelle esposta del mio corpo. Mi sporsi verso il tavolino, in un gesto intenzionale e ben studiato che aveva l'obiettivo di provocarlo, e sollevai il mento con aria di sfida.

«Ti piace ciò che vedi?» lo stuzzicai.

«Parecchio, ma se devo essere sincero preferirei qualche vestito in meno» replicò sogghignando. «Vogliamo continuare e vedere quanto ci impiego a toglierti il resto?»

Iniziammo il terzo turno: al centro del tavolo si aggiunse un otto di fiori, mentre io pescai un otto di quadri e un quattro di picche. Dato che tra le carte comunitarie era presente un quattro di cuori, formai una doppia coppia. Nonostante fosse una combinazione ottima, Connor mi sorprese con una mano più rara: un full completo, composto da un tris di sette e una coppia di otto.

Mi aveva battuta di nuovo, cazzo. La dea bendata si divertiva a umiliarmi e favoriva Connor. Lui non tentennò un solo istante e mi ordinò di privarmi dei jeans; mi alzai in piedi per sbottonare i pantaloni e li lasciai ricadere sul pavimento, liberandomi dalla loro morsa. Poiché indossavo solo la biancheria intima e al di fuori imperversava l'inverno, un leggero tremore mi scosse da capo a piedi.

«Hai freddo, Milady?» mi sbeffeggiò, ma riconobbi una punta di apprensione nel tono.

Gli strappai il mazzo dalle mani, in un movimento lesto che lo colse alla sprovvista, e mescolai le nostre carte. «No, figurati, non preoccuparti. So che ti stai divertendo da morire, stronzo. Ora consegno io.»

Posizionai una regina di cuori accanto alle carte centrali, le uniche rimaste invariate dall'inizio della partita; in seguito ne prelevai due per me e due per Connor. Avevo preso un tre di cuori e un sei di quadri. Analizzai le carte comunitarie e un senso di fiducia mi pervase, quando capii di avere una scala da tre a sette. La fiducia si trasformò in compiacimento, non appena scoprii che Connor possedeva una misera coppia di regine: ero la vincitrice del turno.

«Fa' sparire quella maglietta» decretai con voce stentorea.

«Ai tuoi ordini, vory» mi canzonò usando l'appellativo riservato a Egor. Strinse l'orlo della maglietta bianca e la sollevò sopra al torace, regalandomi la vista del suo fisico allenato. La abbandonò insieme alla felpa e tornò a scrutarmi. «Sei contenta adesso?»

«Puoi giurarci.» Divorai la sua figura con gli occhi e lui ricambiò quell'attenzione con premura. La tensione appesantiva l'aria e il desiderio riscaldava l'atmosfera, ardendo nei nostri sguardi. Eravamo entrambi seminudi, in procinto di mandare a puttane la partita per toccarci e marchiarci. «Siamo in parità. Un ultimo round per stabilire il vincitore?»

Reed annuì e tornai a occuparmi del mazzo di carte, nonostante la mia concentrazione fosse instabile, a causa delle sue pupille conficcate come chiodi tra le curve del mio corpo. Depositai un tre di quadri al centro del tavolo e pescai un dieci di picche e un due di cuori. Fu sufficiente una rapida occhiata per rendermi conto di non avere nessuna combinazione vincente. Tuttavia, il mio dieci avrebbe potuto salvarmi: dovevo sperare che anche a Connor fosse capitata una pessima mano e che le sue carte fossero di un numero inferiore al dieci, così lo avrei battuto grazie al principio della singola carta più alta.

Ovviamente, furono speranze inutili. Connor non aveva alcuna combinazione, come la sottoscritta, ma possedeva un re di fiori, molto superiore al mio scarso dieci. Lanciai le carte sul tavolo, in preda all'irritazione dell'ennesima sconfitta, e mi stagliai in piedi per esprimere il nervosismo. Connor stava ridacchiando, divertito e soddisfatto, tanto fastidioso che avrei voluto prenderlo a schiaffi.

«Ho vinto la manche decisiva, a quanto pare, quindi la partita è mia. E, se non sbaglio, posso ancora farti togliere un capo d'abbigliamento a mia scelta» mi ricordò, esibendo un sorriso sornione.

Mi accostai a lui - ancora seduto sulla poltrona - finché i nostri volti non si sfiorarono, i respiri amalgamati e le iridi incatenate. «Coraggio, Reed. Finisci ciò che hai iniziato.»

Connor mi artigliò i fianchi e, con il braccio libero, compì un gesto deciso e ripulì la superficie del tavolo scagliando via tutte le carte, che caddero al suolo in spirali rosse e nere. Mi spinse a sedere sopra al cristallo gelido con abbastanza intensità da provocare una vibrazione della lastra, eppure mantenendo la sua consueta delicatezza. Mi sdraiai puntando i gomiti e lui mi sovrastò, ma senza schiacciarmi con il suo peso, le ginocchia premute a terra.

Le dita di Connor risalirono lungo la linea della colonna vertebrale, spargendo fremiti sulla mia pelle, e arrivarono alla chiusura del reggiseno. Lo sganciò in modo rapido, afferrò le spalline e le tirò giù, lasciando scivolare l'indumento. La sua bocca si avventò sul mio seno scoperto, dedicandosi a torturare i capezzoli rigidi e mordicchiarli piano, mentre la lingua stuzzicava la carne e tracciava scie che bruciavano di lussuria.

Mi strappò un gemito di piacere e inarcai la schiena per non separare le sue labbra dal mio petto in affanno. Avrei desiderato sentire la sua bocca più in basso, tra le gambe, dove il calore si stava accumulando come magma bollente. Intrecciai le mani dietro la sua nuca e cercai di spostarlo, con l'obiettivo ottenere ciò per cui smaniavo, ma quel bastardo di Connor oppose resistenza e sollevò il capo. Mi bloccò i polsi dietro la schiena per impedirmi di muovermi, perciò lo fulminai con un'occhiata risentita.

«Cos'è che vuoi, Milady?» mi tentò, in un sussurro lascivo che mi sfiorò il viso. Adagiò la bocca sotto al mio mento e disseminò baci languidi lungo il collo e lo sterno, sopra al cuore che batteva forsennato e le vene pulsanti. L'eccitazione mi scioglieva il sangue, mi faceva vorticare la testa e perdere la ragione. «È forse questo...?» Il suo palmo si appoggiò sul tessuto umido degli slip e strofinò con dannata lentezza l'indice sulla mia intimità. Gli ansimi che mi sfuggirono rappresentavano una risposta più che chiara. «Oppure vuoi che smetta?»

«Connor,» ringhiai al limite della sopportazione, «hai un minuto di tempo per farmi venire prima che perda la pazienza. E usa quella fottuta lingua.»

«L'attesa aumenta il piacere, May, non te l'hanno insegnato?» continuò a provocarmi imperterrito. Il suo atteggiamento mi faceva impazzire, sia in senso positivo che negativo; mi dava sui nervi ma, allo stesso tempo, accresceva la brama che mi consumava le ossa.

Per appagarmi, intrufolò le dita oltre il bordo degli slip e sfiorò il nucleo ardente della mia eccitazione. Le falangi si arcuarono, accarezzando le profondità delle mie pieghe e stimolando il mio sesso. Respirai in affanno e mi rubò un gemito debole, seguito da un altro e un altro ancora.

Connor mi torturava con la sua straziante leggerezza nel toccarmi: usava le mani in modo delicato, da bravo gentiluomo qual era, tuttavia era capace di ridurre in briciole e portare allo stremo. Mi stavo frammentando sui suoi polpastrelli ruvidi, sferzata dalle fitte di piacere che mi tagliavano il ventre. Ad alimentare quel fuoco fu la sua lingua che si sostituì alle dita, una volta che si sbarazzò dell'ostacolo degli slip. Si insinuò in uno spazio recondito delle mie pareti, che si contrassero spasmodicamente.

Nell'aria riecheggiò solo il rumore del mio respiro irregolare; il battito furioso del cuore mi rimbombava nelle orecchie e in gola. Impiegai poco tempo a raggiungere l'apice, sopraffatta dalla moltitudine di sensazioni che distrusse il mio autocontrollo. L'orgasmo mi prosciugò, mi svuotò completamente, e mi sciolsi sulla punta della sua lingua calda. In seguito, un'immediata tranquillità mi pervase.

La serenità durò un effimero secondo, poiché si infranse quando Connor schiacciò la sua bocca sulla mia, travolgendomi con un bacio passionale. Percepii il mio sapore sulle sue labbra, che impattarono contro le mie tanto da consumarle. Le bocche collisero e si fusero insieme, le mie braccia gli cinsero le spalle e le sue dita si aggrapparono alla mia schiena nuda, stringendomi al suo petto solido.

«Non hai idea di quanto tu mi faccia impazzire» bisbigliò sulle mie labbra, il fiato corto per l'ossigeno che ci eravamo sottratti a vicenda.

«Ho un'idea molto precisa, invece» ribattei. Mi alzai dal tavolino e adagiai il palmo sul suo torace, che si gonfiava e sgonfiava al ritmo del cuore agitato. Lasciai scorrere le dita sulle linee dell'addome e accarezzai con le unghie la sua erezione visibile dal cavallo dei pantaloni. «Mi permetti di ricambiare il favore?»

Le pupille dilatate di Connor e il suo sguardo colmo di bramosia mi sembrarono un palese invito a proseguire nel mio scopo. Gli sbottonai i jeans e lui li scalciò via insieme alle scarpe, poi gli abbassai i boxer per liberare l'erezione intrappolata. Racchiusi il membro turgido nella mano e lo sfregai piano, per poi aumentare gradualmente l'intensità dell'azione. Connor schiuse le labbra per emettere un sospiro soddisfatto, l'espressione rilassata dal godimento acuto.

A quel punto mi inginocchiai e, senza dargli alcun preavviso, raccolsi l'estremità della sua eccitazione pulsante tra le labbra. Connor afferrò la mia nuca, incastrando le dita tra i capelli che strattonò con forza moderata, evitando di tirare le radici fino a provocarmi dolore. Guidò la mia testa in un movimento cadenzato, avanti e indietro, mentre con la lingua stuzzicavo il suo sesso bollente.

«Sei meravigliosa, Milady» ansimò, vicino al punto di rottura, intanto che mi osservava chinata al suo cospetto.

Nel momento in cui la sua resistenza crollò, mi esplose nel palato e mi sforzai di ingoiare le gocce del suo piacere. Mollò la presa sulla mia nuca e mi aiutò a rimettermi in piedi. Eravamo ridotti nelle medesime condizioni, sfiniti e a corto di ossigeno, le guance arrossate e i vestiti abbandonati per terra, ma ci guardammo con una complicità che non avevo mai sperimentato con nessuno.

Realizzai che la droga che assumevo non era paragonabile a niente di ciò che avevamo condiviso, che Connor mi piaceva molto più delle sigarette nocive che fumavo e che stare con lui mi appagava sia nel corpo che nell'animo, conferendomi una pace sconfinata.

Mi sistemò con dolcezza le ciocche scombinate dietro le orecchie e mi sfiorò la fronte con le labbra. «Alla fine ti ho battuta di nuovo a poker» scherzò con una risatina.

Gli stampai un altro bacio sulle labbra, trattenendo un sorriso smagliante. «Direi che abbiamo vinto entrambi, no?»

Angolo autrice

Buonasera readers <3

Mi presento dal nulla con un nuovo capitolo dopo fin troppo tempo dall'ultimo aggiornamento, ma l'inizio della scuola mi ha tolto ogni energia. Spero che per voi non sia stato stressante quanto per me :')

Tornando al capitolo, abbiamo finalmente i primi momenti più spinti tra May e Connor, in seguito a una partita a poker un po' particolare. Ammetto che le scene spicy non sono il mio forte e che ho trovato qualche difficoltà nella scrittura, quindi lascio a voi i giudizi.

Se avete apprezzato, allora dovrei essermi fatta perdonare per il ritardo clamoroso. Se ci metto del tempo è solo perché voglio farvi leggere capitoli quanto più corretti e completi possibile 🫶🏻

Siamo solo all'inizio del nuovo rapporto di May e Connor e vi anticipo che ci riserveranno tante belle sorprese. Nel prossimo capitolo cambieremo ambientazione, come già accennato, e andremo in missione con loro due. Siete pronti?

Alla prossima! Xoxo <3

{IG e tiktok: miky03005s.stories}

Note:

Vi lascio le diverse combinazioni delle carte nel poker ⬇️

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