Capitolo 29

Ciao a tutti <3
Dato che è passato un bel po' di tempo dall'ultimo aggiornamento, vi consiglio caldamente di dare un'occhiata al capitolo precedente (la parte del dialogo tra May ed Egor, in cui si accenna alla missione che leggerete in questo capitolo).
Inoltre, se volete un ripasso degli ultimi eventi, trovate un riassunto all'inizio dello scorso capitolo.
Per qualsiasi dubbio, non esitate a scrivermi un commento o un messaggio!

Buona lettura ♥️

Ostoženka, centro di Mosca, 29 novembre 2019

La nuova sede dell'agenzia immobiliare di Lukyan Sidorov era situata nel centro storico della capitale russa, per la precisione nel quartiere Ostoženka, considerato uno dei più lussuosi e costosi al mondo. In effetti, i prezzi degli edifici lì erano esorbitanti, e la maggior parte era di proprietà del nemico d'affari di Egor.

Mi venne riferito che Sidorov era un uomo tanto ricco quanto idealista, che credeva nella giustizia e disprezzava ogni forma di criminalità organizzata. Durante quella missione avremmo dovuto prestare più attenzione del solito e mimetizzarci bene tra gli invitati, per non rischiare di finire in un'imboscata della polizia, motivo per cui Egor ci aveva impedito di commettere carneficine e omicidi non necessari.

Veramente un peccato.

Boris, l'autista personale di Egor, parcheggiò la limousine in mezzo ad altre vetture sfarzose e in seguito mi aprì la portiera. Appoggiai i tacchi delle scarpe sul vialetto piastrellato e l'aria gelida di fine novembre mi graffiò il viso; mi strinsi nella giacca leggera del tailleur rosso. Affiancata da Isidora, la novellina esperta di hackeraggio che sarebbe stata la mia partner in quell'impresa, mi incamminai verso l'entrata della sede dell'agenzia.

Sidorov si era trasferito con la sua attività in un maestoso grattacielo in stile postmoderno, collocato sulla Ulitsa Ostoženka, la via principale del quartiere omonimo. Tutt'intorno brillavano le insegne di hotel di lusso e ristoranti stellati, che si riflettevano sulle vetrine delle boutique di alta sartoria. Per qualcuno abituato a vivere nel degrado e nella povertà del Ghetto, quello era un universo parallelo.

Ci mescolammo alla folla di ospiti vestiti in abiti eleganti ed esibimmo il nostro invito ufficiale all'ingresso. Il buttafuori lo studiò rapidamente, poi ci acconsentì di accedere all'evento e ci augurò una buona serata. Io e Isidora utilizzammo l'ascensore per salire all'ultimo piano del palazzo, dove si stava svolgendo il ricevimento per l'inaugurazione. Ci ritrovammo in una sala ampia e gremita di persone, allestita con decorazioni sontuose, un banchetto colmo di antipasti tipici russi e persino un quartetto d'archi che suonava in un angolo, colorando l'atmosfera con una melodia dolce.

«Sidorov non ha proprio badato a spese» osservò Isidora, lasciando vagare lo sguardo da un dettaglio all'altro. La ragazza indossava un semplice abito verde smeraldo, che riprendeva la sfumatura delle sue iridi cristalline. I capelli biondi e corti erano ornati da un fermaglio di perle, scintillante come il girocollo e i bracciali ai polsi. «Dobbiamo disattivare le videocamere e scoprire dove si trovano gli archivi.»

«Cerchiamo di confonderci nella massa, per non destare sospetti» mormorai in risposta, analizzando l'ambiente. Non ci conosceva nessuno, lì dentro, perciò non potevamo compiere mosse azzardate.

Ci passò accanto un cameriere, che teneva in equilibrio sul palmo un vassoio con dei calici di champagne. Lo fermai per prenderne un paio, uno per me e uno per la mia compagna, dopodiché ci avvicinammo al buffet. Non avevo fame, ma mi finsi interessata alla scelta dei piatti per simulare un atteggiamento disinvolto.

Nel frattempo intercettai Egor, che stava discutendo amabilmente con una coppia. Il vory, ingessato nel suo completo nero elegante e con i capelli ordinati alla perfezione, appariva come uno dei tanti ricchi uomini d'affari che popolavano la sala, invece che un potente capo mafioso. Mi chiesi se i suoi interlocutori fossero a conoscenza della sua vita da boss del Ghetto oppure se lo avessero scambiato per un comune imprenditore, anche se in quel luogo le due facciate sembravano corrispondere a una sola. Non era raro, infatti, che i criminali più pericolosi della nazione si nascondessero dietro lo schermo del denaro, che li rendeva rispettabili e irraggiungibili agli occhi della società.

A distogliere la mia attenzione dalla figura autorevole di Egor fu un'altra persona, che notai di striscio tra la confusione della calca. Connor sostava di fronte a una delle grandi vetrate della sala; oltre di lui rilucevano i bagliori degli edifici di Mosca. Sorseggiava un calice di champagne, in solitudine, guardandosi intorno con circospezione. Portava uno smoking blu, con la giacca aperta che mostrava la camicia che gli fasciava il busto. Sistemò la montatura degli occhiali sul naso e allentò il nodo della cravatta, gesti inconsapevoli e ripetitivi che tradivano un certo nervosismo da parte sua.

Non ricordavo che Egor avesse fatto il nome di Connor, tra i partecipanti dell'operazione, e non era nemmeno venuto in limousine con noi. Forse il vory gli aveva affidato un incarico particolare di cui non aveva esplicitato i dettagli a nessuno. A ogni modo, non doveva interessarmi. Avevo chiuso ogni contatto con Reed e avrei continuato su quella linea.

Sentendosi osservato, Connor si girò e le sue pupille mi inchiodarono dal lato opposto della stanza. Mi sbrigai a deviare la direzione del mio sguardo e mi maledissi per essermi imbambolata a fissarlo come una stupida. Era innegabilmente bello con quel fottuto completo addosso, sì, ma non potevo distrarmi dalla missione.

«Sono le otto in punto» mi comunicò Isidora, un ghigno le incurvò le labbra tinte di rosso. «Che inizino le danze.»

Mollai il calice su un ripiano di marmo e, insieme alla novellina, sgusciai tra la folla per dirigermi all'ascensore. Avevo studiato la piantina interna del grattacielo e sapevo che la sala di sorveglianza si trovava nel seminterrato, vicino agli archivi privati di Sidorov. Scendemmo fino a cinque livelli sottoterra e, quando le porte metalliche della cabina si spalancarono, rivelarono un lungo corridoio dall'illuminazione flebile, costeggiato da numerosi battenti su entrambi i lati.

Marciammo a passo spedito per il corridoio, accompagnate dal rimbombo del ticchettio delle scarpe sulle mattonelle del pavimento, poi girammo l'angolo a destra. Riconobbi subito la porta della sala di sorveglianza, poiché era vigilata da un uomo dalla posa distinta e la corporatura robusta. Mi scambiai un'occhiata fugace con Isidora: secondo il piano accordato, io avrei tenuto impegnata la guardia e lei si sarebbe introdotta nella sala con i monitor, per disattivare il sistema di sicurezza del grattacielo.

La bionda mi rivolse un cenno del capo, facendomi intendere di essere pronta a entrare in azione, allora cominciai la mia recita. Simulai un'aria spaesata e innocua e mi accostai all'energumeno che piantonava l'ingresso della sala di sorveglianza. Mi dipinsi un sorriso mellifluo sul volto, camuffando la mia indole violenta dietro l'espressione di una tipica damigella in difficoltà.

«Mi scusi, credo di essermi persa. Può dirmi come tornare al ricevimento?» lo approcciai con quella richiesta, pronunciata in tono supplichevole e sdolcinato.

L'uomo di guardia mi squadrò dalla testa ai piedi, con un interesse tutt'altro che genuino. «La accompagno io, signorina, nessun problema» si offrì, parlando in un inglese stentato.

Era stato anche troppo facile, conquistare la sua attenzione. Mi lasciai scortare fino all'ascensore, cercando di camminare con lentezza e guadagnare più tempo per Isidora, in modo che potesse disattivare le videocamere senza problemi. All'improvviso, però, nel corridoio risuonò forte e chiara la voce di qualcuno che stava sbraitando in russo, seguita da un tonfo sordo e un silenzio inquietante. L'uomo al mio fianco arrestò i propri passi e si osservò intorno con aria allarmata.

«Aspetti qui» mi ordinò, «vado a controllare se è successo qualcosa.»

L'energumeno mi voltò le spalle e si incamminò nella direzione contraria, verso la sala di sorveglianza. Ignorai la sua raccomandazione e lo seguii, imprecando a denti serrati per il risvolto negativo del piano. Sperai che Isidora avesse già terminato il suo compito e che non avesse combinato danni.

Nel momento in cui la guardia impugnò la maniglia della porta, con l'intento di aprirla, mi fiondai su di lui. Gli strinsi i capelli sulla nuca e feci sbattere la sua testa contro il battente, abbastanza forte da stordirlo. Prima che potesse identificare il suo aggressore, gli piantai una gomitata nel costato e con un calcio gli colpii il ginocchio, mandandolo al tappeto. Fui veloce nel rubargli la pistola dalla fondina e puntargliela alla fronte, per obbligarlo a stare immobile e non chiamare i soccorsi.

Isidora uscì dalla stanza un secondo dopo, le dita macchiate di sangue come l'orlo dell'abito. Mi rivolse un cenno affermativo, dal quale intuii che la prima fase della missione fosse stata completata, anche se con qualche piccolo disguido. Mi assicurai che l'uomo che tenevo sotto scacco perdesse i sensi, poi raggiunsi la novellina e ripercorremmo il tragitto che conduceva alla sala del ricevimento.

«Hai disattivato tutte le videocamere?» le domandai.

Annuì e sogghignò. «Ora che non c'è più nessuno a gestire i monitor, non dobbiamo preoccuparci. Possiamo cercare l'archivio senza fretta.»

La sua dichiarazione venne smentita non appena svoltammo l'angolo del corridoio: un uomo e una donna armati, in divisa da poliziotti con giubbotto antiproiettile e distintivi sul petto, ci sbarrarono la strada. La donna, i cui capelli castani erano raccolti in una coda bassa sotto al berretto blu scuro, non esitò un solo attimo e mi aggredì. In poche e rapide mosse mi bloccò i polsi dietro alla schiena, mi strappò la pistola dalle mani, che scivolò per terra, e mi schiacciò al muro per impedirmi di scappare. Recitò una frase in russo, la voce perentoria e intrisa di rabbiosa autorevolezza, che interpretai come il preambolo di un arresto.

Notai di sfuggita Isidora che combatteva con l'altro poliziotto, anche se la corporatura dell'uomo era il doppio della sua e faticava a opporgli resistenza. Eravamo cadute in pieno nell'imboscata. Dovevamo svincolarci al più presto da quella situazione, trovare i documenti negli archivi e abbandonare la festa, oppure avremmo trascorso la notte nelle squallide prigioni di Mosca.

Strattonai i polsi dalla presa della poliziotta, in modo così brusco che l'equilibrio della donna vacillò. Feci appello alle tecniche di combattimento che avevo assimilato nel corso degli anni e, approfittando del suo attimo di distrazione, le ghermii il braccio per torcerlo e costringerla a inginocchiarsi al suolo. Recuperai la pistola e bastò l'impatto violento del calcio dell'arma contro la sua tempia, per causarle uno svenimento immediato.

Abbandonai il corpo esanime della poliziotta e mi precipitai ad aiutare Isidora, che stava ancora affrontando il secondo agente. Notando la novellina in difficoltà, mi decisi a premere il grilletto della pistola e sparare un proiettile verso l'uomo. Il colpo affondò nella gamba sinistra, scavando un profondo foro nella carne, da cui cominciò a sgorgare copioso il sangue. Il poliziotto urlò qualcosa di incomprensibile per il dolore e si accasciò sul pavimento, le mani che cercavano di tamponare la ferita con scarso successo.

«Grazie.» Isidora mi rivolse un cenno riconoscente con il capo, che ricambiai con un sorriso appena accennato. La avevo aiutata con piacere: era l'unica novellina in grado di svolgere il suo lavoro e che non mi infastidiva. «Andiamo, prima che arrivino altri sbirri.»

Entrammo nell'ascensore e scendemmo al piano inferiore, il punto più sotterraneo dell'edificio, dove sapevamo che avremmo localizzato gli archivi di Sidorov. Tuttavia, ci trovammo di fronte al bivio di un corridoio che si ramificava in due direzioni, senza alcuna opinione sulla strada migliore da intraprendere.

«Forse è meglio se ci dividiamo. Io vado da quella parte» dichiarai, indicando la mia destra.

Isidora approvò l'idea e stabilimmo di incontrarci mezz'ora più tardi nella sala del ricevimento, per riferire a Egor le informazioni ricavate e successivamente tornare a Villa Zaffiro. Mi separai dalla bionda e proseguii nella direzione che avevo scelto, muovendomi a passi felpati e silenziosi, per non suscitare attenzioni indesiderate. Con le orecchie tese al massimo per captare ogni singolo rumore e spostamento d'aria, percorsi la strada fino a giungere davanti a una porta blindata. Il mio istinto mi aveva condotta alla destinazione giusta: non avevo dubbi che quello fosse l'ingresso degli archivi.

Mi accostai all'apertura e due particolari mi guizzarono subito all'occhio. Primo, la serratura non era bloccata. Secondo, la porta era socchiusa. Compresi che c'era qualcuno oltre la soglia, forse gli sbirri o Sidorov stesso. Per sicurezza, impugnai la pistola che avevo rubato alla guardia ed entrai con cautela nella stanza dove erano custoditi i registri dell'agenzia immobiliare, sgusciando attraverso lo spiraglio aperto del battente metallico.

L'archivio era immerso nell'oscurità, a eccezione di un cono di luce proveniente da una torcia elettrica, che illuminava una delle tante cassettiere di acciaio. Una figura non identificabile stava frugando all'interno di uno scomparto; ne intravedevo solo i contorni deformati dal buio fitto. Priva di qualsiasi timore, agguantai il mio telefono e attivai la torcia del dispositivo, per puntarla verso la misteriosa persona che aveva il mio stesso obiettivo.

La luce rischiarò le fattezze di Connor, il quale si parò il viso con il braccio per proteggere lo sguardo dal fascio abbagliante. Abbassai la torcia per non accecarlo e, nel momento in cui le sue iridi si incatenarono alle mie, il cuore perse un battito. Mi sforzai di non pensare per l'ennesima volta al bacio che mi aveva rubato nella piscina termale, ma era un proposito quasi irrealizzabile, poiché il ricordo era inciso a fuoco nella memoria dei miei sensi. Mi imposi di riscuotermi dai sentimentalismi e di concentrarmi sulla buona riuscita della missione, l'unico motivo che mi persuadeva a non abbandonare la stanza e fuggire ancora da lui.

«Non voglio sapere che cazzo ci fai qui. Abbiamo poco tempo e la polizia alle calcagna. Aiutami a trovare qualcosa di utile per Egor» ordinai con voce perentoria. Avevo bisogno dei documenti da portare al vory, dunque io e Reed avremmo dovuto collaborare, almeno per questa volta.

«Non mi rivolgi la parola da più di dieci giorni e pretendi anche di impartire comandi?» replicò Connor, l'espressione infastidita dal mio atteggiamento.

«Sì, esatto» confermai. Gli tirai uno sguardo torvo, minacciandolo in silenzio di non lamentarsi e procedere con il lavoro. «Siamo in missione. Diamoci da fare. Avremo tempo per discutere più tardi.»

Reed serrò la mandibola, trattenendo la risposta velenosa che sicuramente avrebbe voluto scagliarmi contro. Decise con saggezza di non intavolare una faida verbale e di ignorarmi, quindi ricominciò a setacciare dentro al cassetto. Lo affiancai e aprii un altro scomparto, sfogliando velocemente le cartelle divise in base alla data di compilazione. Estrassi quella più recente e sbirciai i documenti che conteneva, per fortuna stampati anche in lingua inglese. Resoconti bancari, fatture di vendite e acquisti, informazioni dettagliate sui singoli immobili... niente che mi colpì in particolare.

L'ultimo documento del plico, tuttavia, era diverso dagli altri. Era contrassegnato da una dicitura piuttosto famigliare, che avevo intravisto in svariate occasioni passate: Federal Bureau of Investigation, l'agenzia governativa di intelligence americana, della quale facevano parte i miei genitori prima di essere uccisi dalla mafia. Perché Sidorov possedeva un documento certificato dell'FBI?

Avevo timore di scoprirlo, ma mi obbligai a sconfiggere ogni remora e, con le mani che tremavano a causa dei ricordi che quella sigla suscitava, iniziai a leggere il testo. Da quanto si evinceva, Sidorov collaborava con l'International Operations Division, una branca dell'FBI che si occupava delle operazioni oltreoceano. Gli agenti speciali, in questo caso, avevano il compito di proteggere la sua persona dalla minaccia della criminalità organizzata sul territorio di Mosca.

Non impiegai troppo a collegare i tasselli. La cosiddetta minaccia era senza dubbio Egor, insieme ai suoi sicari e al suo desiderio di vendetta nei confronti del nemico d'affari. Ciò significava che l'intelligence americana era appostata nei paraggi e che, se fossimo rimasti ancora nell'edificio, avremmo rischiato una cattura.

La realizzazione di quel pensiero mi folgorò con tutta la sua urgenza. Merda, dobbiamo andarcene subito.

«Hai trovato qualcosa?» mi interrogò Connor, notando che mi ero paralizzata con lo sguardo fisso sul documento.

Non aprii bocca per rispondere. Invece, gli allungai il foglio e aspettai che lo leggesse con i propri occhi. Una volta terminato, assunse un cipiglio grave, dal quale compresi che era giunto alle mie stesse conclusioni.

«Non possiamo restare qui» dichiarò. Piegò il documento e lo nascose nella tasca interna della giacca. «Torniamo al ricevimento e avvisiamo Egor su cosa abbiamo scoperto. Se davvero l'FBI è coinvolta in questa situazione, allora...»

La frase di Reed venne troncata dal rumore concitato di alcuni passi che calpestavano il pavimento, diretti verso l'archivio. Ci scambiammo un'occhiata allarmata, sentendo le voci - ipotizzammo degli agenti di polizia - che diventavano sempre più chiare e distinte, segno che ci stavano raggiungendo. Connor fu veloce nel spegnere la torcia elettrica e sigillare gli scomparti che stavamo setacciando, dopodiché la sua mano mi artigliò il polso per trascinarmi in un angolo della stanza.

Ci rintanammo in uno spazio ristretto tra due cassettiere, il braccio di Connor che mi cingeva la vita per tenermi il più vicino possibile a lui. Nessuno dei due si azzardò a emettere un singolo respiro, immobili come statue di marmo, fin troppo incollati per i miei gusti. Non potevo spostarmi, perciò dovetti accettare quella prossimità forzata e pregare che gli sbirri non ci scovassero.

Trascorsero attimi interminabili, scanditi dal battito feroce del mio cuore che rimbombava nelle orecchie. Parte dell'agitazione era dovuta anche al contatto ravvicinato tra il mio corpo e quello di Reed, che trasmetteva un calore avvolgente, in grado di scombussolare la mia temperatura interna. Percepivo il suo fiato bollente sul collo e le dita aggrappate al mio fianco, lasciato scoperto dal top corto che indossavo sotto il tailleur, con i polpastrelli che affondavano nella pelle.

Qualcuno irruppe nell'archivio, illuminando i contorni della stanza con la luce di una torcia. Per camuffarmi meglio indietreggiai, così la mia figura combaciò totalmente con quella di Connor, la schiena premuta contro il suo petto. Mi impegnai a non muovere un solo muscolo, nel frattempo che chiunque fosse entrato proseguiva a studiare il perimetro dell'archivio. Il fascio luminoso era puntato poco distante da noi e i passi erano sempre più incalzanti. Ero sicura che ci avrebbero beccato, ma la mia ultima speranza si sbriciolò quando Connor urtò per sbaglio la cassettiera, provocando un cigolio metallico che fece bloccare l'altra persona.

La paura mi congelò il sangue nelle vene. La torcia si sollevò di scatto nella nostra direzione.

Siamo fottuti. Ci arresteranno.

Reed mi sussurrò all'orecchio: «Fidati di me e non ti allontanare».

Il resto accadde in modo così sbrigativo che non ebbi il tempo sufficiente di metabolizzarlo. Connor mi prese per la vita, mi girò per legare le nostre iridi e mi intrappolò alla parete retrostante, schiacciandomi con il suo corpo. Infine, le sue labbra si impossessarono della mia bocca.

Fu un bacio travolgente e, soprattutto, mi colse impreparata. Per un attimo rimasi inerte, succube di quel gesto inatteso e di quel ragazzo che non ero in grado di respingere in alcuna maniera. In seguito, obbedendo a un istinto cieco e passionale, allacciai le braccia dietro al suo collo e schiusi le labbra per accogliere le sue. Le nostre lingue si intrecciarono e scontrarono, come le mie dita che si aggrovigliarono ai suoi capelli disordinati. Le mani di Connor superarono l'orlo della mia giacca e i palmi aderirono alla base della schiena scoperta, bruciandomi addosso. Mi baciò con tanta foga da consumarmi le labbra, e io ricambiai con altrettanto impeto.

Mandai a puttane ogni proposito che avevo stabilito in precedenza, mi dimenticai dei motivi secondo cui stavo commettendo uno sbaglio madornale, ignorai la coscienza che mi suggeriva di fuggire da Connor. La verità era che, semplicemente, non ero abbastanza forte per combattere l'attrazione tra noi.

E forse non era solo l'attrazione fisica, il vero problema. Forse c'era altro, sentimenti ai quali non sapevo associare un nome preciso ed emozioni che credevo di aver seppellito da anni. Quanto mi sarebbe costato, ammetterlo ad alta voce? Avrei perso il poco che restava di me stessa, donando il mio cuore rovinato a qualcuno? Perché ero ben consapevole che, se avessi ceduto, mi sarei ferita tanto quanto avrei ferito Connor.

Distruggerò entrambi, sarà inevitabile.

A interrompere il bacio e le mie riflessioni incerte fu una voce che sbraitò parole per me incomprensibili: «Ubiraysya otsyuda nemedlenno!».

Sobbalzai e mi separai bruscamente da Connor. Di fronte a noi si ergeva un uomo di mezza età, in divisa da poliziotto, con in mano la torcia che ci illuminava. La sua espressione era spazientita e adirata, ma non sembrava intenzionato ad arrestarci, almeno per il momento. Solo allora capii la strategia effettuata da Reed: improvvisarci una coppia che cercava un po' di intimità per giustificare la nostra presenza nell'archivio buio. Eppure ci eravamo lasciati trasportare fin troppo dal desiderio, per credere che fosse una misera recita.

Connor pronunciò qualche frase di rammarico in russo, poi incastrò le dita con le mie e mi guidò fuori da lì, lontano dall'agente di polizia che non ci fermò. Invece di tornare al ricevimento, dove Egor ci aspettava, uscimmo da una porta sul retro e ci ritrovammo all'esterno dell'edificio.

Accorgendomi che la mia mano e quella di Connor erano ancora unite, mi sbrigai a sciogliere il groviglio. Vagai con lo sguardo lungo i profili dei palazzi circostanti, per ignorare gli occhi di Connor che mi scrutavano con insistenza. Dovevo munirmi di nonchalance e fingere che quel bacio non mi avesse sconvolta; non potevo permettere alle mie sensazioni di trasparire, né a lui di decifrare i miei pensieri tormentati.

Fai ciò che sai fare meglio. Scappa, May. Mettiti in salvo.

«Dammi il documento. Lo porto io a Egor, così possiamo tornare alla Villa» gli ordinai in tono freddo.

Connor mi passò il foglio con il logo dell'FBI senza esitazioni, ma prima che avessi modo di congedarmi mi richiamò. Mi voltai per guardarlo e notai una certa frustrazione in lui. «Ti scongiuro, non fuggire anche questa volta. Non ricominciare a evitarmi. Non fare la codarda e affrontami, cazzo.»

«Non ho proprio niente da dirti, Reed» mi trincerai dietro a un'indifferenza fasulla. «Adesso, se non ti dispiace, tolgo il disturbo.»

Connor mi impedì di andarmene, avvolgendo il mio polso nella stretta leggera delle sue dita. «Dimmi che non provi niente per me, May. Dimmi che per te sono insignificante. Dimmi che tra noi non c'è nulla di vero.» Le sue iridi mi scavarono nell'anima, velate da un luccichio di pura determinazione. «Solo in quel caso ti lascerò in pace e non mi avvicinerò più a te. Ma se c'è anche la minima possibilità che tu...»

«Smettila, sei ridicolo.» Strattonai il polso dalla sua presa e lo trucidai con un'occhiata malevola. «Non voglio avere niente a che fare con te, Connor, mettitelo in testa. Vuoi davvero una risposta alle tue domande? Sì, per me sei insignificante. No, tra noi non c'è nulla e mai ci sarà. Hai capito?» ringhiai, accesa da una furia immotivata. «Stammi alla larga, lo dico per il tuo bene.»

Mi costò uno sforzo immenso, sputargli addosso quelle parole intrise di veleno e falsità. Se Connor sapeva che stavo mentendo con il solo fine di proteggermi - e, in fondo, anche di proteggerlo - non lo diede mai a vedere. Serrò le labbra in una linea dura e annuì seccamente, incassando il colpo. Mi parve di scorgere un briciolo di dolore annidato nelle sfumature verdi delle sue iridi, ma mi vietai di provare compassione.

«D'accordo, May. Se è ciò che vuoi, non ti darò più fastidio. Resta pure da sola fino alla fine dei tuoi giorni. Non rimarrò qui a subire il tuo odio ingiustificato» affermò, la voce gelida e controllata come un giudice che asserisce una condanna.

Connor mi oltrepassò e si addentrò nelle vie del centro di Mosca, abbandonandomi nel silenzio lugubre della notte, con l'eco della sua delusione che mi scalfiva al punto da disintegrarmi.

Angolo autrice

Bentornati, readers, mi eravate mancati 🫶🏻

Non so veramente come scusarmi per questo ritardo imperdonabile, so che vi ho fatto aspettare tantissimo e che in molti stavate aspettando l'aggiornamento con ansia. Purtroppo nell'ultimo mese ho avuto un vero e proprio blocco dello scrittore e l'ispirazione è tornana solo un paio di giorni fa, quindi ne ho approfittato per concludere il capitolo.

Spero di non aver perso troppo la mano e che la lettura sia risultata tutto sommato piacevole. Aspetto le vostre opinioni, come al solito.

Parlando del capitolo in sé, abbiamo la missione nell'agenzia di Sidorov, uno dei nemici d'affari di Egor, che scopriamo essere coinvolto con l'FBI. Tenete bene a mente questo dettaglio, mi raccomando.

Tra una scena d'azione e l'altra, May e Connor si baciano di nuovo, solo per poi finire a discutere. May non ha ancora il coraggio di lasciarsi andare e di ammettere ciò che prova per lui... ma se vi dicessi che questa situazione potrebbe sbloccarsi già nel prossimo capitolo? 👀

Non so dirvi di preciso quando aggiornerò di nuovo e non voglio darmi scadenze che rischio di non rispettare, ma cercherò di pubblicare il capitolo 30 il prima possibile. Sono sicura che lo adorerete per numerosi motivi. Nel frattempo, vi ricordo di seguirmi sugli altri social per spoiler e novità (miky03005s.stories)

Ci tengo a ringraziare chi è ancora qui e continua ad aspettare gli aggiornamenti, nonostante le tempistiche. IGZ è arrivata a 50k letture per merito vostro e ve ne sono immensamente grata ♥️

Alla prossima! Xoxo <3

Traduzioni:

1) Ubiraysya otsyuda nemedlenno!= uscite immediatamente da qui!

Luoghi:

• Quartiere Ostoženka

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