Capitolo 28
Prima di leggere il capitolo, piccolo ripasso degli eventi della trama principale:
1) La polizia ha sequestrato alcune attività del Ghetto, prima il casinò poi alcuni bordelli (in uno di questi May e Connor hanno salvato Emma, una ragazzina che Egor aveva rilegato nel giro di prostituzione);
2) Prima di finire nel Ghetto, Emma era stata comprata a un'asta a San Pietroburgo, organizzata da Vladilen Petrov (il capo dei Lupi di Tambov che May ha ucciso nel primo capitolo), nonché lo stesso uomo colpevole della morte del padre di Connor;
3) In seguito, la polizia ha preso il deposito di armi del Ghetto e i sospetti sono ricaduti su Valerio Critelli, di cui May si è sbarazzata costringendolo a tornare in Calabria;
4) Chi si nasconderà dietro alle denunce anonime alla polizia? 👀
Spero che sia tutto chiaro! Buona lettura <3
Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca, 28 novembre 2019
Evitai Connor per dieci giorni, in seguito a quel bacio.
Facevo il possibile per non incrociare la sua strada, anche se era piuttosto complicato, dato che abitavamo nello stesso edificio. Se ci vedevamo, fingevo di non accorgermi della sua presenza e distoglievo lo sguardo dalla sua figura. Se provava a bloccarmi per intavolare una conversazione, lo interrompevo dicendogli di essere impegnata e mi dileguavo in un battito di ciglia.
Era un atteggiamento infantile e codardo, ne ero più che consapevole. Sapevo che mi stavo comportando da stronza e che Connor era rimasto ferito dal mio brusco rifiuto. Dopotutto avevo ricambiato il bacio con il suo stesso trasporto, mi ero dimostrata coinvolta e appassionata quanto lui, ma poi ero fuggita senza fornirgli uno straccio di spiegazione e lo avevo ignorato senza scrupoli nei giorni a seguire.
Il problema non era Reed, né il gesto che aveva compiuto o le parole che aveva pronunciato in un momento di affanno. Anzi, non riuscivo a dimenticare le sensazioni provate durante lo sfioramento impetuoso delle nostre labbra, e percepivo ancora il suo tocco delicato scottare sulla pelle. Desideravo la vicinanza di Connor da più tempo di quanto fossi disposta ad ammettere ed ero stata finalmente appagata, dopo mesi di discussioni che avevano alimentato le fiamme dell'attrazione. Baciarlo mi era piaciuto da morire e avrei mentito se avessi negato di volerlo ripetere.
Il problema non era lui, perché ero io.
Nonostante fosse un sicario al servizio di un capo mafioso, Connor era fin troppo buono. Non meritava di complicarsi l'esistenza con una persona irruenta come me, che ero un uragano capace di distruggere tutto ciò che incontrava. Lo avrei contaminato con la mia essenza velenosa, perché rovinare le cose belle che trovavo era una mia specialità intrinseca.
Avevo commesso un errore madornale, permettendogli di entrare nella mia vita e di scombussolarmi i pensieri e le idee. Aveva scavato un passaggio nella mia muraglia inespugnabile e aveva colto l'occasione giusta per infliggermi un'offensiva, quando ero troppo debole per tirarmi indietro. Mi aveva stregato con le sue frasi dolci e rassicuranti, al punto che ero caduta con entrambi i piedi nella sua trappola e non avevo più alcuna intenzione di allontanarmi da lui.
Connor era riuscito a farmi stare bene come nessun altro, in quella misera manciata di minuti trascorsa al suo fianco nella piscina termale, perciò non dovevo stupirmi se ero finita per baciarlo. La verità era che anche io, come lui, bramavo il contatto tra le nostre labbra. Avevo ceduto alla tentazione e non potevo biasimarmi, ma niente mi impediva di maledire il mio stupido inconscio e i miei sentimenti confusi.
Ormai il danno era stato fatto e l'unica soluzione era fingere che non fosse mai accaduto. Mi convinsi che quella era la scelta migliore: non doveva succedere di nuovo, quindi dovevo tenermi lontana da Reed. Forse mi avrebbe odiata, ma un giorno avrebbe compreso che stavo semplicemente cercando di salvarlo dal pericolo che rappresentavo.
Ero un pezzo di vetro rotto e frastagliato, abbandonato su un pavimento sudicio, e raccogliendomi si sarebbe ferito fino a sanguinare. Gli avrei fatto male, lo avrei appesantito con il carico dei miei problemi e lo avrei segnato in negativo. Non importava se stavo cominciando a provare qualcosa nei suoi confronti; dovevo sopprimere ogni emozione che lo riguardasse prima di lasciarmi trascinare dal flusso.
Non riuscivo ad amare, perlomeno non nel modo corretto. Non sapevo come si donasse il proprio cuore a qualcuno. Non conoscevo il rispetto e la sensibilità necessari per portare avanti una relazione che superasse l'amicizia. Sarei rimasta da sola, con l'esclusiva compagnia dei miei demoni interiori, finché non sarei guarita dal trauma che mi aveva ridotta così. Come potevo amare un'altra persona, se non amavo neanche me stessa?
Anche se Connor non lo capiva, tenevo alla sua felicità abbastanza per proteggerlo dalle mie spine.
L'opportunità per distrarmi dalle mie riflessioni estenuanti arrivò proprio quel decimo giorno. La tranquillità che circondava Villa Zaffiro si infranse di colpo, non appena giunse la notizia che la polizia russa aveva sequestrato la banca personale di Egor, nonché il principale deposito delle sue ricchezze materiali.
Gli sbirri avevano invaso l'edificio - ben mimetizzato tra le palazzine fatiscenti del Ghetto, eppure non in modo sufficiente - e confiscato il denaro custodito nel caveau, insieme a un'ingente quantità di lingotti d'oro e altri oggetti di valore. Si trattava di una grossa batosta al patrimonio di Egor, che era già stato minacciato dalla chiusura di alcune delle attività più proficue del quartiere.
Quello era l'ennesimo raid della polizia nel giro di poche settimane: era diventato ormai chiaro che le imboscate non fossero casuali e che qualche nemico del vory avesse architettando le rappresaglie, nascondendosi dietro a delle denunce anonime. In quanto sicario più fidato del boss, era mio compito scovare l'impostore e assicurarmi che non causasse altri problemi al Ghetto.
Credevo che il responsabile fosse Valerio Critelli, ma a quanto pareva mi ero sbagliata su tutti i fronti. Se davvero era rientrato in Italia, non avrebbe potuto pilotare un'altra azione ai danni del Ghetto. Mio malgrado, dovetti accettare di aver commesso un errore e che l'amante di Larysa fosse innocente.
Per dissolvere ogni dubbio rimasto, domandai alla mia ex partner se avesse tagliato ogni contatto con il criminale calabrese. Lei confermò, senza risparmiarmi uno sguardo di astio profondo e un commento sprezzante. Non mi avrebbe mai perdonata per averle sottratto Valerio e, a pensarci, il suo odio era più che giustificato.
Non era lui, il colpevole che cercavamo. Mi sembrò di essere tornata al punto di partenza e di aver ottenuto solo un gigantesco buco nell'acqua. La storia delle denunce alla polizia aveva assunto le connotazioni di un mistero all'apparenza irrisolvibile: non avevo idea di come districare quella ragnatela di eventi, collegati tramite un filo che non riuscivo a decifrare.
La mia unica certezza era che Egor stesse esaurendo la pazienza, poiché le sue spie non riuscivano a trovare una soluzione all'enigma. L'autorità del vory era gradualmente compromessa dalla perdita di ricchezze e lavoratori, i quali venivano arrestati in massa dagli sbirri. Era necessario, per lui, sbarazzarsi al più presto dell'artefice delle chiamate anonime, oppure avrebbe rischiato di perdere il suo ruolo di capo del Ghetto.
Per questo motivo, mi convocò nel suo ufficio lo stesso giorno in cui la banca fu presa. Non esitai a raggiungerlo: dopo oltre una settimana di immobilità, la noia cominciava a racchiudermi nelle sue grinfie e avevo bisogno di tornare all'azione. Per distrarmi dai pensieri assillanti, dovevo sfogarmi sulle mie prossime vittime. Di solito non apprezzavo il mio incarico di assassina, ma in quelle circostanze smaniavo per impugnare un'arma e sparare alla cieca a qualche stronzo.
Entrai nello studio del vory e mi accomodai dal lato opposto della scrivania, di fronte a Egor, il quale era impegnato a studiare un riquadro di carta color champagne che stringeva tra le mani, forse una lettera o un invito a qualche cerimonia altolocata. Il boss si degnò di spostare lo sguardo sulla mia figura e abbandonò il foglio sulla superficie della scrivania, rivelando una sequela di caratteri in cirillico, scritta in una grafia elegante e pulita, che occupava l'intera pagina. Siccome non ero in grado di tradurre il russo, gli chiesi spiegazioni sfoggiando un'espressione confusa.
«Perché mi hai mandato a chiamare?» arrivai dritta al punto.
«Avrai già sentito cos'è accaduto alla banca» ipotizzò, e confermai con un movimento secco della testa. «Questa mattina ho ricevuto una lettera da una mia vecchia conoscenza, Lukyan Sidorov, un imprenditore con cui mi sono scontrato nel campo immobiliare negli ultimi anni. Mi ha invitato a partecipare all'inaugurazione della nuova sede della sua agenzia, che si svolgerà domani sera» si riferì al foglio di carta che giaceva tra noi. «Ho le mie buone ragioni per credere che sia coinvolto nelle rappresaglie della polizia. Sono sicuro che questa festicciola sia una banale scusa per collocare la nostra attenzione altrove, mentre escogita un'altra mossa contro il Ghetto.»
«Per quale motivo dovrebbe sfidarti così apertamente?» domandai, stupita dall'intraprendenza di quell'uomo. Se il suo piano era dare del filo da torcere a Egor e indebolire la sua organizzazione, stava avendo un discreto successo.
«L'anno scorso gli ho sottratto alcuni immobili a Mosca e in altre città, rivendendoli sul marcato nero. Devi sapere che Sidorov collabora con la giustizia e che ha sempre cercato di incastrarmi. Non mi stupirei se si fosse approfittato di un mio momento di esitazione per tramare la sua vendetta.»
Egor chiuse le dita ornate di anelli in due pugni, tradendo il fastidio e l'irritazione che cercava invano di dissimulare. I lineamenti erano tesi dal nervosismo e le rughe agli angoli delle palpebre sembravano più marcate, come se fosse invecchiato di dieci anni in una manciata di giorni. Era palese la sua rabbia verso quella situazione criptica, che lo tormentava da ormai un mese con risvolti sempre più preoccupanti. Sebbene il problema riguardasse anche la sicurezza mia e di Danny, una parte di me era compiaciuta nel vedere il vory in difficoltà.
«Qual è il mio scopo, in tutto ciò? Devo andare alla serata di domani e ucciderlo?» lo questionai, ricordandomi che ero lì per lavorare e non per tergiversare in chiacchiere superflue.
«No, con un omicidio in pubblico peggioreremmo la nostra posizione. Scommetto che l'edificio sarà circondato da pattuglie nascoste. L'obiettivo sarà introdurci negli archivi dell'agenzia di Sidorov e rubare i documenti relativi alla compravendita degli immobili più preziosi» decretò Egor, veloce e coinciso. «Prima, però, sarà necessario disattivare le telecamere di sorveglianza. Ti aiuterà Isidora, la novellina esperta di hackeraggio. Pensaci tu a riferirle il piano della missione.»
Dopo avermi illustrato la procedura del prossimo incarico, che mi coinvolgeva più come ladra che come sicario, Egor mi dileguò dal suo studio. Non me lo feci ripetere e abbandonai la stanza, desiderosa di trascorrere il resto del pomeriggio in serenità, lontana dai discorsi del vory. Mi sarei concessa una pausa ristoro, prima di imbarcarmi in quella nuova missione, e sapevo già da chi rifugiarmi per staccare la mente dai problemi e distrarmi un po'.
Non esitai nel lasciarmi la Villa alle spalle e raggiungere il parco degli spacciatori del Ghetto, che si presentò come un quadro dipinto con i colori freddi dell'inverno. Non c'era nessuno nei dintorni, a causa delle temperature rigide di fine novembre. Superai il tratto d'erba ghiacciata, coperta di neve mischiata al fango e arbusti rinsecchiti, per poi fermarmi davanti alla roulotte di Cheslav.
Bussai alla porta metallica e il mio migliore amico si palesò subito all'ingresso di quel catorcio. Non appena mi riconobbe, sfoderò un sorriso smagliante e allegro, capace di eliminare ogni pensiero negativo che mi tormentava. Era felice di vedermi e io lo ero altrettanto di trascorrere del tempo in sua compagnia. La positività che caratterizzava Cheslav era impareggiabile, nonché una cura che guariva all'istante la mia angoscia.
«Buenas tardes, Belle. Non aspettavo una tua visita. Entra, che fuori si gela» mi esortò, con la sua solita vivacità a brillare nelle iridi.
Accettai la mano che mi porse per accogliermi nella sua dimora fatiscente. Mi liberai della giacca pesante e degli scarponcini, restando con un maglioncino nero e un paio di vecchi pantaloni di una tuta. Mi osservai rapidamente intorno, constatando che dalla mia ultima visita non fosse cambiato niente. Come di consueto, il tavolino posto di fronte al divano-letto era tappezzato di bustine di polvere blu, sigarette e strisce da sniffare.
L'unico dettaglio che mi allarmò era il numero di involucri vuoti: Cheslav aveva già consumato tre dosi di Sapfir in totale solitudine. Puntai la mia attenzione su di lui e notai che il suo sguardo era appannato e assente, le sclere venate di rosso e le pupille dilatate al massimo. Mi rifiutavo di concepirlo, ma era palese che nell'ultimo periodo la sua dipendenza fosse peggiorata. Inalava quantità di droga sempre maggiori, sperimentando ogni modalità di assunzione possibile.
«Dovresti cominciare a darti una regolata, con questa roba» lo rimproverai, nonostante l'incoerenza che a dirglielo fossi proprio io, una schiava del Sapfir tanto quanto lui. «Non voglio che finisci in overdose. Ci sei già andato vicino una volta, l'anno scorso, ricordi?»
Cheslav ridacchiò, trovando la mia apprensione divertente, e mi scoccò un bacio sulla testa. «Sta' tranquilla, niña. Ho tutto sotto controllo, fidati di me. Vuoi una sigaretta?»
Senza permettermi di rifiutare, mi artigliò piano un polso e mi trascinò a sedere sul divano-letto, al suo fianco. Mi posò una sigaretta già rollata in mano e mi allungò l'accendino. Avevo davvero bisogno di fumare per interrompere il flusso di coscienza e sbarazzarmi del tarlo di Connor, quindi non opposi resistenza e bruciai la punta della sigaretta con la fiammella, incastrando il filtro tra le labbra.
Aspirai una boccata di quella sostanza nociva, che mi intossicò i polmoni e circolò immediatamente nel sangue, fino ad arrivare al sistema nervoso per inibirlo. L'effetto calmante mi distese i muscoli e mi abbandonai contro lo schienale del divano-letto, la testa leggera grazie al torpore trasmesso dal Sapfir. Mentre consumavo la sigaretta, l'apatia prese il controllo del mio corpo, rendendolo insensibile a ogni stimolo.
O, meglio, quasi. Perché in un angolo del mio cervello persisteva l'immagine di me e Reed nella vasca termale, immersi nell'acqua bollente e desiderosi di infrangere i limiti. Le sue labbra che si appropriavano della mia bocca, scendevano giù per il collo e si fermavano a baciare le stelle tatuate sopra al cuore. Le dita che si inerpicavano sui miei fianchi e mi accarezzavano la schiena, il bacino che strofinava contro il mio, il suo torace che mi comprimeva il seno... fanculo, stronzo, esci dalla mia testa.
Avevo già fatto un casino irrimediabile, concedendogli di baciarmi. Dovevo obbligarmi a dimenticarlo, anche se sarebbe stata un'impresa titanica. Ormai si era incastrato dentro la mia anima, piantando radici che non si potevano estirpare facilmente.
«Hai fame? Ho qualche avanzo in frigo» mi informò d'un tratto Cheslav, riportandomi di forza nel presente. Notando il mio smarrimento e che non gli rispondevo, increspò le sopracciglia e mi sventolò una mano dinanzi agli occhi. «Ci sei, Belle? Ma quanto hai fumato?»
Mi ero estraniata dalla realtà. Non mi trovavo più nella roulotte del mio migliore amico, ma ero tornata nella SPA con Reed. Schiacciai le dita sulle tempie per placare l'emicrania che mi aveva assalita all'improvviso, provocata dalla droga e dallo stress mentale.
«Scusa, è una giornata no. Con tutti i casini che stanno succedendo nel Ghetto, la polizia che ci toglie il denaro, Egor e le sue missioni inutili» sbottai, bisognosa di sfogare la stanchezza accumulata. «Non abbiamo la più pallida idea di chi sia a mandare le pattuglie. Stiamo rincorrendo persone che non c'entrano nulla. Egor continua a trovare nuovi colpevoli, ma la verità è che non sa neanche lui che cazzo sta facendo.»
Per neutralizzare l'impeto di rabbia, aspirai una dose più elevata di Sapfir e trattenni il fumo finché non minacciò di soffocarmi, per poi espellerlo in una nuvola densa. Appena terminai la sigaretta, gettai il mozzicone nel posacenere. Provai ad afferrarne un'altra, tuttavia mi fu negato da Cheslav, che strinse le mie mani nelle sue e intrecciò saldamente le nostre dita. Fissò le iridi scure sul mio volto, osservandomi con una ritrovata lucidità.
«Vedrai che usciremo da questa situazione scomoda. E se dovesse mettersi troppo male per il Ghetto, allora ce ne andremo via. Ti porto in Colombia con i miei risparmi» decise, il tono di voce colorato da una sfumatura scherzosa. La sua espressione si addolcì e sollevò il braccio per lambirmi una guancia con i polpastrelli morbidi, mi appuntò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Huimos a donde quieras, niña. Fuggiamo ovunque tu voglia. Io, te e ovviamente Danny. Basta che mi dici una parola, lo sai.»
Era un piano irrealizzabile, lo sapevamo entrambi. In nessun futuro avrei potuto sottrarmi al dominio di Egor e al mio ruolo di sicario prediletto del vory. Eppure, mi scaldò il cuore sapere che Cheslav avrebbe rinunciato a tutto per scappare con me da questo luogo di merda, che ci aveva solo rovinati e spezzati. Avrei sempre trovato un sostegno solido, in lui, una spalla su cui appoggiarmi e una figura amica da cui correre se il mio mondo si fosse sgretolato. Cheslav era la mia casa, e non importava se fosse angusta e sporca come la roulotte dove abitava. Lo amavo comunque, nel senso più puro e profondo del termine.
Fantasticare su una vita migliore non era illegale, dunque, per assecondarlo, domandai: «E dove mi porteresti, se decidessi di seguirti in Colombia? A Medellín?».
«No, lontano dalla frenesia della città. C'è un'isola al largo della costa colombiana, nel Mar dei Caraibi, si chiama Providencia. È un paradiso terrestre. Potremmo vivere finalmente in pace, laggiù» rispose senza esitazioni, come se avesse già riflettuto su un'esistenza alternativa da condividere insieme.
«Mi piace. Anzi, è perfetto.» Mi rannicchiai contro il suo profilo, seppellii il viso nell'incavo del suo collo. Cheslav mi avvolse tra le braccia, stringendomi al petto, e con le labbra mi sfiorò la fronte. «Vorrei tanto che fosse anche possibile, però.»
«Una soluzione la troviamo, Belle» mi ripeté, animato da una luce di speranza che gli invidiavo.
Io non riuscivo a imitare la sua positività né ad avere fiducia in un ipotetico futuro più roseo. Mi ero già rassegnata a trascorrere il resto dei miei giorni nella prigione che era Villa Zaffiro, privata di ogni libertà e costretta a subordinarmi alle direttive di Egor, per garantire la sopravvivenza mia e di mio fratello. Mi ero talmente abituata alla quotidianità del Ghetto, scandita da morte e azioni criminali, che non riuscivo neppure a immaginare di svincolarmi da essa.
«Adesso basta con questi discorsi deprimenti. Ti va la pizza che mi è rimasta dal pranzo?» mi chiese per cambiare argomento.
Annuii in segno di conferma e Cheslav si alzò per raggiungere l'angolo cottura, separato dal resto dell'ambiente tramite una tenda di fili di perline colorate. Si ripresentò dopo pochi secondi con un cartone di pizza in una mano e due bottiglie di birra nell'altra. Sgomberò il tavolino dal Sapfir e dalle cianfrusaglie per posare la nostra cena sulla superficie.
Erano solo le sei di pomeriggio, sebbene all'esterno fosse calato il buio da parecchio, ma non ci curammo dell'orario e cominciammo a mangiare, accompagnati dalla visione di una delle sue adorate soap opere latinoamericane. Provai a seguire la trama e a tradurre alcune battute, con scarso successo, a causa della velocità con cui parlavano gli attori e degli assurdi intrighi che univano le storie dei numerosi personaggi.
Cheslav si premurò di spiegarmi le vicende principali e, mentre mi indicava i protagonisti con i loro rispettivi nomi, si sbilanciò versandomi un po' di birra sul maglione. Attribuii la colpa ai suoi riflessi deviati dalla droga e gli assicurai che non fosse niente di grave, dato che cominciò a scusarsi senza tregua. Agguantò un fazzoletto e tamponò la macchia umida, che ormai era filtrata nel tessuto e lo aveva reso appiccicoso. Scostai la mano di Cheslav e mi sfilai il maglione, rimanendo solo con il reggiseno; per fortuna nella roulotte faceva abbastanza caldo.
«Aspetterò che si asciughi» asserii, riponendo l'indumento su una sedia. Mi accorsi del modo in cui mi squadrava il mio migliore amico, come se non avesse esplorato il mio corpo altre mille volte, ed esibii un ghigno provocante. «Non credo che ti dispiaccia.»
«Mi stai tentando, Belle?» mormorò, l'angolo della bocca inarcato in un sorriso di malizia.
«Sto solo dicendo la verità. Oppure non sei d'accordo e preferiresti che mi rivestissi?»
Posai sul tavolino la scatola vuota della pizza e mi avvicinai a Cheslav. Gli circondai il collo con le braccia e giocherellai con i riccioli alla base della sua nuca, aggrovigliandoli tra le dita. I suoi occhi puntarono le mie labbra, a una distanza esigua dalle proprie, e il suo respiro vacillò.
«Sono più che d'accordo, niña» soffiò sulla mia bocca, prima di catturarla in un bacio passionale.
Ricambiai con intensità, originando una feroce battaglia di denti e lingue, perché necessitavo di sostituire il ricordo del bacio di Connor con un altro. Era terribilmente sbagliato, stavo sfruttando il mio migliore amico per un tornaconto personale, ma non mi tirai comunque indietro.
Cheslav mi serrò i fianchi tra le dita, le mani risalirono fino a sganciarmi il reggiseno. Lo abbandonò sul pavimento e si avventò sulla mia pelle nuda, mordicchiando delicatamente e affondando i polpastrelli nella carne. Mi strappò un gemito di piacere, che si mangiò quando ricongiunse le nostre labbra con veemenza.
Mi staccai da lui solo per togliergli la maglietta, poi gli slacciai i pantaloni in gesti frettolosi e lui se ne sbarazzò calciandoli via. Pressai i palmi sul suo petto, che si gonfiava e sgonfiava in affanno, e lo spinsi per farlo stendere sul materasso. Cheslav obbedì ai miei comandi, guardandomi con gli occhi ricolmi di bramosia e venerazione. Accontentai la sua smania e, una volta esserci privati degli ultimi indumenti, mi posizionai sopra al suo bacino e sfregai le nostre intimità, separate da un'unica sottile barriera.
Mi entrò dentro in un colpo secco e non fu per niente docile, ma era proprio ciò che desideravo. Trovammo il ritmo giusto e lo aiutai a seguirlo roteando i fianchi, mentre lui mi riempiva e stimolava il mio centro pulsante. Un'ondata di calore si formò nel mio basso ventre e investì il mio intero organismo, raggiungendo il punto culmine all'ennesima stoccata di Cheslav tra le mie gambe. Lui arrivò al capolinea l'istante successivo e, nella furia di svuotarsi, mi graffiò la schiena all'altezza delle scapole.
Mi sdraiai accanto al mio migliore amico, la guancia premuta sul suo petto e i corpi sudati incollati tra loro. Mentre ascoltavo il rimbombo forsennato del suo cuore nell'orecchio e il suo respiro, ancora ansimante come il mio, elaborai un pensiero che mi fece sentire alquanto spregevole.
Avevo appena usato Cheslav, una delle persone a me più care e che mi amava al di sopra di tutto, per dimenticarmi di un altro ragazzo. E poiché Reed non voleva proprio uscirmi dalla testa, realizzai di aver miseramente fallito nel mio intento.
Angolo autrice
Buonasera readers ♥️
Dopo un mese di attesa, ecco finalmente il capitolo. Non succede niente di eclatante ed è abbastanza di passaggio, ma serve in preparazione al prossimo, che sarà molto più adrenalinico (e soprattutto torneranno May e Connor).
May spiega le motivazioni per cui ha respinto Connor, poi scopriamo che la polizia ha preso la banca del Ghetto e i sospetti virano su un nemico di Egor, che conosceremo meglio nei capitoli seguenti. Se non vi torna qualche punto di questa sottotrama, non esitate a chiedere delucidazioni nei commenti.
Infine abbiamo il nostro adorato Cheslav, che è sempre perso per la sua Belle ma completamente ignaro di essere stato usato 🥲
Mi dispiace se sono stata assente per tutto questo tempo, ma ho avuto un brutto blocco e ne sono uscita da poco: so che il capitolo non è il massimo, però non volevo farvi attendere ancora. Spero che vi sia comunque piaciuto.
Ora che è iniziata l'estate spero di riuscire ad aggiornare più spesso, anche perché siamo entrati in una parte della storia che non vedo l'ora di farvi scoprire.
Alla prossima! Xoxo <3
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