Capitolo 25

Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca, 18 novembre 2019

Secondo le spie di Egor, Valerio Critelli si trovava a Mosca da quasi un mese.

L'infame si era nascosto tra le strade che percorrevo ogni giorno, sotto al mio naso per tutto quel tempo, riuscendo a sfuggirmi come il più astuto dei latitanti. La collera mi ribollì nel sangue al pensiero di essere stata così vicina a lui e di averlo scoperto soltanto adesso.

Dalle registrazioni di alcune telecamere di sicurezza sparse per la città e controllate dal sistema operativo del Ghetto, era risultato che Critelli aveva trascorso le ultime quattro settimane nei distretti settentrionali di Mosca. Alcuni fotogrammi lo ritraevano mentre svolgeva commissioni banali o passeggiava con il suo pastore tedesco - del quale mi erano rimasti i segni del morso impresso sulla gamba - a improbabili orari notturni.

Quel bastardo portava anche a spasso il cane, intanto che spediva le pattuglie di polizia a minacciare le attività più redditizie del Ghetto. Perché ormai ne ero certa, che il colpevole delle denunce fosse lui. Un torrente di rabbia acida mi corrose lo stomaco, nel realizzare che ci stava battendo di nuovo.

Be', la sua vacanza sarebbe finita quel giorno stesso. Era appena giunto il momento della mia vendetta e l'avrei assaporata fino in fondo. Non avrei perso l'occasione di sbarazzarmi di lui, non una seconda volta.

Sto arrivando a prenderti, Valerio. Aspettami o fuggi. In ogni caso, avrò la tua testa.

Tuttavia, scoprii che il mio nemico aveva lasciato Mosca proprio quella mattina. Le spie mi avevano informato che Critelli aveva acquistato un biglietto per la Transiberiana e che era già partito in viaggio verso la città di Jaroslavl, la seconda tappa dell'itinerario. Se i nostri calcoli erano giusti, aveva percorso metà del tragitto. Poiché i convogli di quella linea ferroviaria non erano famosi per la loro velocità e presentavano numerosi cambi e fermate, potevo ancora raggiungerlo in auto e arrivare alla stazione di Jaroslavl in concomitanza con il suo treno, sul quale poi sarei salita.

Dopo essermi procurata un biglietto, mi attrezzai con armi poco ingombranti ma efficienti: nascosi due pugnali negli stivali, una piccola rivoltella nella tasca interna della giacca e il fermacapelli di mia madre nella manica. Avrei aggirato i controlli di sicurezza in qualche maniera. A preoccuparmi era unicamente l'obiettivo della missione: catturare Critelli e portarlo a Villa Zaffiro, non importava se vivo o morto. Non potevo concedermi alcun errore.

Decisi di mandare un messaggio a Larysa, per aggiornarla sull'ultimo sviluppo. Ero disposta a mettere da parte l'orgoglio e il rancore per lavorare con lei, perdonando le stronzate commesse a Ekaterinburg. Eravamo una squadra infallibile, quando univamo le forze, e Valerio aveva umiliato entrambe, motivo più che sufficiente per firmare la pace e instaurare una collaborazione.

Abbiamo scoperto dove si nasconde Critelli. Se vuoi aiutarmi a dargli la caccia ti passo a prendere, le scrissi.

Impiegò pochi minuti a rispondere: Ho un'altra missione. Pensaci da sola.

Rilessi il suo messaggio con un cipiglio confuso in volto. Ero quasi certa che il lunedì fosse il suo giorno libero. Intuii che mi avesse rifilato una bugia e che fosse ancora irritata dal nostro litigio, al punto da rifiutare la proposta di compiere l'omicidio di Critelli insieme. Peggio per lei, si sarebbe persa tutto il divertimento.

Uscii dalla Villa e mi diressi nel parcheggio delle vetture di Egor. Quando raggiunsi la macchina che mi aveva ordinato di usare, individuai una figura appoggiata di schiena alla carrozzeria nera lucida. Connor mi perlustrò con il suo sguardo indagatore, mentre mi avvicinavo a passo spedito.

«Ce ne hai messo di tempo, Milady» esordì quando gli arrivai di fronte. Si staccò dalla lamiera dell'auto e notai che stava rigirando le chiavi della macchina tra le dita. «Dobbiamo partire subito, se non vogliamo perdere il treno.»

«Dobbiamo?» ripetei scettica, increspando le sopracciglia. «Nessuno ti ha invitato, Reed. E poi non eri a riposo forzato?»

«Ho saputo da alcune voci che Egor ti ha affidato la missione di trovare il contrabbandiere di armi dei Lupi di Tambov. Voglio accompagnarti. Non mi importa ciò che dirai, perché ho già ottenuto il permesso del vory

Egor doveva essersi bruciato i neuroni, per acconsentire a spedire Connor in missione con me, viste le sue condizioni. Anzi, era Reed il vero idiota. Cosa gli passava per la testa? Cosa stava cercando di dimostrare?

«Sei ancora in riabilitazione» gli ricordai, accennando alla spalla ferita e alla fasciatura che si intravedeva sotto la giacca di pelle. «Non mi saresti di nessun aiuto.»

«Conosco la Transiberiana e ho seguito i movimenti degli scagnozzi di Petrov per anni. So come ragionano. Valerio Critelli è conosciuto per la sua capacità nelle fughe, ma se saremo in due a rincorrerlo, non potrà scappare molto lontano.»

Ci riflettei sopra. Non avevo bisogno del suo sostegno ed ero perfettamente in grado di cavarmela per conto mio. Eppure Critelli mi era già sfuggito una volta, a San Pietroburgo. Forse un paio di mani in più si sarebbe rivelato utile e l'ingegno di Connor mi avrebbe aiutato a catturare il criminale italiano. Mio malgrado, dovevo riconoscere che mi serviva la sua mente analitica.

«D'accordo, ma guido io, sia la macchina che la missione.» Gli strappai le chiavi e andai a posizionarmi al volante.

«Credevo che sarebbe stato più difficile convincerti» dichiarò Connor, intanto che allacciava la cintura e io eseguivo la manovra per uscire dai cancelli della Villa.

«In due funzioniamo meglio» replicai, pronunciando quelle parole prima che la razionalità me lo impedisse. «L'hai detto tu, ricordi?»

Mi distrassi per un attimo dalla carreggiata e intercettai il sorriso che gli curvò le labbra. «Sì, è vero. Potrei quasi abituarmi a questa situazione: io, te e un mafioso da uccidere. Sembra un appuntamento romantico.»

«Non farci troppo l'abitudine, Reed. La mia compagnia è un'esclusiva unica e riservata a pochi.»

«Significa che faccio parte di quei "pochi"?»

«Significa che devi chiudere la bocca, altrimenti ti abbandono in autostrada.»

La mia affermazione lo portò a ridacchiare e non riuscii a trattenermi dal sorridere insieme a lui, un gesto che – me ne resi conto mentre lasciavamo Mosca – stava diventando sempre più spontaneo e naturale.

Jaroslavl, stazione Glavny

Arrivammo a destinazione dopo circa tre ore di viaggio, trascorse più in fretta e piacevolmente di quanto mi aspettassi. Io e Connor avevamo elaborato un piano d'azione dettagliato, unendo le informazioni che possedevamo riguardo Critelli. Il nostro obiettivo era farlo scendere dal treno alla prossima fermata e stordirlo abbastanza da riuscire a portarlo a Mosca. Se invece non fossimo riusciti a prenderlo, gli avremmo direttamente sparato ed Egor si sarebbe dovuto accontentare del suo cadavere.

Parcheggiai nello spiazzo davanti alla stazione Jaroslavl-Glanvy e scendemmo dalla macchina per dirigerci nell'edificio dalle pareti giallo ocra, sormontato da una torre dell'orologio. Dentro c'era una folla di persone che attendeva di imbarcarsi sulla Transiberiana, la leggendaria ferrovia che percorreva l'intera Russia e terminava al confine con la Cina Orientale. Mi domandai per quale strano motivo Critelli si trovasse su uno di quei treni.

Il convoglio partito da Mosca giunse alla stazione di Jaroslavl qualche minuto dopo il nostro arrivo; avevamo calcolato i tempi in modo impeccabile. Io e Reed evitammo i controlli di sicurezza, mescolandoci tra la calca di gente, mostrammo il biglietto e salimmo a bordo. Ci accolse una donna in divisa da provodnitsa, dandoci il benvenuto sulla Transiberiana e augurandoci buon viaggio.

«Critelli ha prenotato una carrozza in prima classe» riferii a Connor, intanto che superavamo il vagone dove erano accomodati i passeggeri. «Tu resta nei dintorni, mentre io vado a cercarlo, okay?»

Reed mi guardò con palese disappunto. «Non avevamo detto che sarebbe stato un lavoro di squadra? Perché devo rimanere qui?»

«Perché ti sei beccato un proiettile neanche due giorni fa e sei ancora in riabilitazione» lo ammonii con tono di rimprovero. «E poi Critelli non ti ha mai visto in faccia, quindi è meglio se ci dividiamo. Non ti riconoscerà come membro del Ghetto e avrai più possibilità di attirarlo in trappola.»

«Va bene, hai ragione, ma se hai bisogno di aiuto chiamami» si raccomandò.

«Sai che non ti chiamerò mai, vero?»

«Sai che se non ti farai viva entro mezz'ora verrò a cercarti e 'fanculo la riabilitazione, vero?» imitò la sfumatura provocatoria nella mia voce, fissando le iridi sul mio viso e sfidandomi a replicare.

«Non ho bisogno di un cavaliere» obiettai, nonostante la pugnalata invisibile che mi sferzò il cuore. Era un'emozione simile a un'assurda forma di contentezza, nel sapere che avrei potuto affidarmi a Connor se la situazione fosse precipitata.

Potevo contare su di lui e ciò mi preoccupava più del necessario, perché negli ultimi anni avevo imparato ad appoggiarmi soltanto su me medesima, sul mio istinto e sulla mia ragione. Non mi fidavo di nessuno, tantomeno di Reed, ma mi piaceva il fatto che mi avrebbe dato una mano in quella missione folle.

«Staremo a vedere. Adesso va' a scovare quel bastardo» mi incitò Connor.

Ci rivolgemmo un'ultima occhiata, poi gli voltai le spalle e mi incamminai verso il prossimo vagone. Superai la terza classe, sotto gli sguardi curiosi delle persone che occupavano le cuccette da notte disposte lungo la carrozza, come a dormire in un enorme accampamento spartano. Dopo aver attraversato anche la seconda classe, composta da cabine più intime, giunsi nella zona deluxe. Mi osservai intorno, scandagliai i lineamenti dei passeggeri appisolati sui sedili imbottiti di velluto, mi aggirai tra le carrozze della prima classe alla ricerca del profilo di Critelli.

Mi bloccai all'improvviso, ogni muscolo si paralizzò, notando la figura robusta di un uomo con una felpa nera addosso e macchie di inchiostro colorato che sbucavano dal colletto. Riconobbi il tatuaggio di uno scorpione, del quale si intravedeva la coda appuntita disegnata sulla pelle, e il taglio di capelli rasati lateralmente.

Valerio Critelli era stravaccato su una poltrona regolabile davanti al finestrino, le gambe allungate sul posto accanto e le caviglie incrociate. Una mascherina di tessuto gli copriva le palpebre, ma ebbi la sensazione che non stesse davvero dormendo, altrimenti sarebbe stato troppo semplice ucciderlo all'istante. Mi avvicinai con andatura furtiva e sfiorai il fermacapelli nascosto nella manica, pronta a impugnarlo nel caso di pericolo.

Mi assicurai che nessuno degli impiegati mi stesse controllando, dopodiché mi chinai verso Critelli con l'intento di puntargli l'arma alla gola e minacciarlo. Tuttavia, un attimo prima che il fermacapelli premesse sul suo collo, sollevò un braccio e mi strinse il polso in una morsa di ferro, arrestando la discesa dell'oggetto appuntito.

«Guarda un po' chi si rivede» esclamò Valerio, togliendosi la mascherina con l'altra mano e rivelando i suoi occhi scuri. Sfoggiò un ghigno sardonico e nel suo sguardo di carbone brillò una scintilla divertita. Si mise composto e mi trascinò a sedere sulla poltrona libera, senza slegare le dita dal mio polso. «Sei tornata a tentare il mio omicidio? Mi sento lusingato, sai? Mi hai raggiunto addirittura su una ferrovia.»

«Sono qui per avere la mia rivincita, pezzo di merda, e stavolta scordati di riuscire a farla franca. Siamo rinchiusi in una scatola di metallo: puoi correre quanto vuoi, ma prima o poi ti prenderò» attestai in un ringhio dal tono vendicativo. «Se fossi in te, inizierei a scappare.»

«Vuoi giocare a nascondino, picciula? E allora sia.» Scattò all'in piedi e mi scavalcò, rivolgendomi una sfida derisoria: «Vince chi arriva a destinazione ancora vivo».

Fuggì lungo lo spazio tra le file di sedili e, senza pensarci due volte, mi lanciai al suo inseguimento. Non potevo sfoderare la pistola, oppure mi avrebbero cacciata dal treno, quindi dovetti limitarmi a stargli alle calcagna. Attraversammo un vagone dopo l'altro, catturando l'attenzione dei passeggeri con quella corsa fulminea. Sforzai i muscoli fino al limite della loro potenza e avvertii un bruciore che indolenziva gli arti inferiori. Sebbene fossi addestrata e piuttosto agile, Critelli era un fottuto velocista e la distanza che si era accumulata tra noi sembrava impossibile da annullare.

Perlomeno finché non si rifugiò dentro una carrozza privata in fondo al corridoio, nella quale riuscii a infiltrarmi prima che potesse sigillare il battente. Afferrai la rivoltella e, rimuovendo la sicura, indirizzai la canna verso il mio nemico giurato. Valerio indietreggiò fino a sbattere contro la stiva delle valige e sollevò le mani in segno di tregua. Eravamo entrambi ansimanti per il fiatone, ma io ero più determinata che mai a ridurlo in briciole, adesso che ci trovavamo da soli nella cabina.

«Puoi risparmiarmi per oggi? È il mio compleanno» mi riferì, l'angolo della bocca incurvato in un sorrisetto ironico.

«Che bella coincidenza. Sulla tua lapide saranno incise due date uguali.»

Critelli sbuffò, eppure la maschera di sarcasmo pungente e scaltrezza che lo contraddistingueva non scivolò dal suo volto affilato. «Certo che sei proprio stronza, picciula. Mi ricordi qualcuno che conosciamo bene.»

Non mi interrogai troppo sul significato di quella frase, poiché io e Valerio non avevamo conoscenze comuni, a meno che non si riferisse a qualche mafioso. Mi avvicinai di un passo, la pistola puntata al livello della sua testa. «Non devo necessariamente ucciderti. Egor vuole farti un paio di domande. Sei tu che hai mandato la polizia a perquisire il nostro deposito di armi?»

«Che pensi che me ne faccia dei vostri giocattoli?» scoppiò a ridere con aria di scherno. «Nun me ne futta nenti delle attività di Egor Bayan, né del suo Ghetto di psicopatici e drogati. Statemi alla larga.»

«Sei un idiota se credi di potermi ingannare. Ho le mie buone motivazioni per ritenere che ci sia tu dietro alle denunce» replicai, senza smuovere la mia arma di un solo centimetro.

«Tu sei più idiota di me, allora, perché non capisci chi sono i veri traditori» si limitò a sghignazzare.

E mi colse del tutto impreparata, quando agguantò un coltello da una borsa nel vano portabagagli e me lo scagliò contro in un gesto repentino e violento. Riuscii a schivarlo all'ultimo secondo grazie alla prontezza dei miei riflessi che eseguirono uno spostamento laterale; la lama precipitò sul pavimento con un tintinnio metallico. Critelli approfittò del mio istante di confusione per precipitarsi fuori dalla porta, scomparendo dalla mia visuale con sorprendente velocità.

Ingoiai un urlo di frustrazione. Quel ragazzo era una dannata saetta e mi aveva superata di nuovo. Nascosi la pistola e uscii a passi celeri dalla cabina, le pupille inchiodate sulla sua schiena ampia. Lo inseguii fino alla carrozza ristorante semideserta, nella quale facemmo irruzione in un fracasso di suole scalpitanti. Critelli aggirò i tavoli, rubò il piatto di uno dei pochi commensali e lo tirò nella mia direzione, senza però centrarmi. Gli restituii il favore, lanciandogli un bicchiere che non lo colpì per un soffio.

Le lamentele dei camerieri e dei clienti, gridate in un russo dall'inclinazione furiosa, mi sfiorarono distrattamente i timpani. Ero troppo concentrata sulla guerra che si era sviluppata tra me e Valerio, per ricordare di mantenere il buon senso civico. Ci rincorremmo intorno ai tavoli, con la determinazione e il rancore scolpiti in faccia e un vortice di collera ad animarci. D'altronde bramavamo la stessa cosa: disintegrare l’avversario e vincere la guerra.

Mi accorsi a malapena del carrello di acciaio - colmo di pietanze e bottiglie di vino - che sbucò dal nulla e si schiantò addosso a Critelli, travolgendolo e arrestando la sua fuga. Un caos di vetri rotti si sparpagliò sul pavimento, tra i rimasugli di cibo e le macchie liquide delle bevande versate. Mi bloccai per lo stupore e, virando lo sguardo, individuai Connor all'entrata della carrozza: era stata una sua mossa e aveva usato una mira ineccepibile. Mi dedicò un sorriso soddisfatto, a cui risposi con un cenno affermativo del capo.

Provai a raggiungere Valerio, che si stava rimettendo in piedi tra i cocci, ma le mie intenzioni vennero impedite dall'arrivo di due uomini con l'uniforme della polizia. Ci indicarono, sbraitando parole incomprensibili, e a giudicare dalla minacciosità delle loro espressioni dedussi che la situazione fosse diventata critica. Avevamo decisamente esagerato e procurato troppo scompiglio, con quella lotta a colpi di ceramica.

«Dobbiamo scendere dal treno» stabilì Connor, che mi si era avvicinato. Mi circondò il braccio tra le dita e mi accostò a sé, per allontanarmi dai poliziotti inferociti. «Non possiamo rischiare un arresto, con la fedina penale che abbiamo.»

«Tu va' pure a nasconderti. Io non lascerò questo catorcio finché non avrò ammazzato Critelli» mi opposi, divincolandomi dalla sua presa leggera. «A te la scelta di seguirmi o meno, Reed.»

Detto ciò, non mi preoccupai di udire la sua risposta e mi affrettai a uscire dalla carrozza ristorante, lungo la scia di Valerio che si era già dato alla fuga. Percepii nell'immediato la presenza di Connor al mio fianco. Aveva deciso di continuare quella pazzia con me, allora. Cercai di ignorare la sensazione che mi infiammò il petto e mi focalizzai sulle questioni importanti: seminare le forze dell'ordine e raggiungere Critelli.

Completammo il primo obiettivo infilandoci in un angolo riparato, riuscendo così a evitare la polizia. Non appena la strada fu spianata, attraversammo i vagoni retrostanti del convoglio e giungemmo all'ultima carrozza accessibile ai passeggeri. Dopo di essa c'era un anfratto esterno che si affacciava sul vagone delle merci. Valerio ci attendeva appoggiato alla ringhiera dai gomiti e con il vento gelido che gli scuoteva la felpa e i capelli.

«Ti sei portata la scorta, stavolta?» mi sbeffeggiò, scrutando Connor con un sopracciglio inarcato. «Ti facevo una donna più indipendente, picciula

«Non sono la sua scorta, sono il suo partner» puntualizzò Reed seccato, per poi estrarre la pistola dalla tasca interna della giacca e puntargliela alla fronte. «E, se permetti, mi sono davvero rotto il cazzo di voi Lupi.»

Dovetti obbligarmi a distogliere gli occhi dalla figura risoluta di Connor, dal suo cipiglio combattivo e dalle sue mani che impugnavano saldamente l'arma, suscitandomi pensieri poco consoni. La sua solita aria da ragazzo pacifico e gentile stonava del tutto con quell'immagine intimidatoria. Erano due personalità distinte, che in quel momento si amalgamarono in una sola entità, il cui scopo finale era aiutarmi a distruggere Critelli.

«Non faccio più parte dei Lupi, da quando è morto Petrov. Ho lasciato San Pietroburgo e non intendo tornarci. Potevo andarmene in Calabria, a casa mia, ma ho deciso di prendermi una vacanza qui a Mosca» spiegò Valerio, sebbene non avesse motivo di raccontarci ciò. Con un movimento fluido, si sedette a cavalcioni sulla ringhiera, una gamba che penzolava nel vuoto dei binari sottostanti. «Non capisco perché vi siate accaniti contro di me, dato che non c'entro nulla con i vostri problemi finanziari, ma è stato un onore affrontarti di nuovo, Holsen. Al prossimo inseguimento.»

Ci rivolse il tipico saluto dei militari, dopodiché, prima che potessimo capire le sue intenzioni e fermarlo, scavalcò la ringhiera e si lanciò verso il vagone merci. Grazie a un salto perfettamente calibrato, superò i binari e atterrò un metro più distante, aggrappandosi a un tubo metallico della carrozza per mantenere l'equilibrio. Sparai una raffica di proiettili che rimbalzarono contro la lamiera del vagone, creando uno spettacolo di scintille stridenti, ma non toccarono Critelli nemmeno per sbaglio. Si era già rifugiato all'intero della stiva, al sicuro dai colpi.

Agii d'impulso e tentai di oltrepassare la ringhiera per seguirlo, tuttavia il compimento di quel gesto folle mi fu negato dalle braccia di Connor che mi circondarono la vita, tirandomi all'indietro. «Sei impazzita? Ti ucciderai così!» sbraitò apprensivo.

Mi liberai dalla sua stretta e lo spintonai, piena di rabbia che mi ustionava il sangue e i nervi. «Tu non capisci! Non posso lasciarlo scappare un'altra volta!»

«E quindi hai ben pensato di buttarti nel vuoto?» mi biasimò. «Prima o poi scenderà dal treno. Lo ritroveremo in città alla prossima fermata.»

Aveva ragione, dovevo ammetterlo. Il mio era stato quasi un suicidio; sarei caduta sulle rotaie e il peso del convoglio mi avrebbe schiacciata. L'odio e il furore mi avevano resa cieca, perché il pensiero di rientrare a Villa Zaffiro da perdente mandava a pezzi la mia razionalità. Respirai a fondo per calmarmi e decisi di affidarmi a Connor, che dimostrava un autocontrollo e una pacatezza invidiabile, al contrario della sottoscritta.

Scendemmo alla seconda fermata di Jaroslavl e ci defilammo velocemente per scansare i poliziotti che ancora ci cercavano. Costeggiammo il porto della città, che si estendeva lungo le sponde del fiume Volga, congelato in quel periodo dell'anno. Ciò significava che Critelli non avrebbe potuto utilizzarlo come escamotage e che era in trappola. Il suo talento nei tuffi e nel nuoto non gli sarebbe servito a niente, stavolta.

Il manto della sera calò dolce sul Jaroslavl, mentre camminavamo tra le strade poco affollate nella speranza di scorgere Valerio. Lo sfavillio delle cupole dorate delle numerose cattedrali fendeva l'oscurità che scendeva inesorabilmente. Era una città piuttosto tranquilla, cosparsa di viali di alberi spogli delle loro chiome, parchi e abitazioni vestiti da uno strato di neve e monumenti colorati che risaltavano sullo sfondo bianco dell'inverno russo. Gli affluenti del Volga formavano un reticolo di ghiaccio sul quale si riflettevano la luce dei lampioni e il bagliore fioco delle stelle, insieme agli ultimi raggi solari che erano inghiottiti dall'orizzonte del cielo plumbeo.

«Vorrei che non fossimo a caccia di un criminale, così potremmo goderci il paesaggio in pace.» Connor ruppe il silenzio, sbuffando una nuvoletta di condensa. «È una di quelle città su cui ti racconterei tantissime cose. Avrei una lista di luoghi da farti visitare, sempre che tu accettassi di seguirmi.»

Ti seguirei ovunque, idiota, non lo hai ancora capito?

«Ci sarà l'occasione per recuperare, e sono sicura che ti stupirò con le mie conoscenze più dettagliate delle tue» risposi, abbozzando un sorriso di ilarità.  «Adesso concentriamoci sull'obiettivo. Sta facendo buio e non abbiamo ancora trovato Critelli.»

«Se fossi un latitante in una città sconosciuta, dove ti nasconderesti?»

Ci pensai per una manciata di secondi, lo sguardo fisso sulle punte dei miei scarponi che stampavano impronte nella neve morbida. Quando alzai la testa e notai che eravamo arrivati in prossimità dell'edificio del porto fluviale, un'idea mi rischiarò la mente. «Forse... in un posto frequentato, ma in disuso al momento.»

Connor seguì la direzione dei miei occhi e annuì, d'accordo con la mia ipotesi. «Andiamo a controllare.»

Ci inoltrammo nella zona del porto, chiuso durante la stagione fredda poiché il Volga non era navigabile, e ci dividemmo per esplorare le cataste di container che tappezzavano l'area. Dopo una buona mezz'ora di ricerche senza ottenere risultati, la frustrazione cominciò a scoraggiarmi. Lo spazio era immenso e non avremmo mai fatto in tempo a perlustrare ogni angolo.

«Dobbiamo cambiare strategia» decretai, non appena io e Reed ci rincontrammo e mi riferì che neanche lui aveva avuto molto successo. «Con questo ritmo sarà impossibile trovarlo, se si sta davvero rifugiando qui.»

Non afferrai la sua risposta, dato che un rimbombo metallico proveniente da sopra di noi catturò la mia attenzione. Sollevai lo sguardo e Valerio Critelli occupò il mio campo visivo. Quel maledetto stronzo era seduto sul bordo di uno dei container, ad almeno cinque metri di altezza, e ci osservava da lassù come un rapace pronto a scendere in picchiata e agguantare le sue prede.

«Finalmente, scemuniti. Questo gioco sta diventando noioso. È stancante essere inseguito per tutto il Paese senza un attimo di tregua» si lagnò fingendosi esausto. «Possiamo arrivare subito al dunque? Vorrei tornare a casa, se non vi dispiace.»

Non esitai nell'impugnare la rivoltella e sparare con brutalità verso il nostro nemico. Critelli indietreggiò sul tetto del container, evitando i proiettili, ma non mi arresi: non sarebbe rimasto lì sopra tutta la notte.

«Vieni ad affrontarci, razza di codardo» lo provocai in un sibilo minaccioso, la pistola indirizzata verso l'alto.

Valerio balzò giù dal container e si avvicinò a passi felpati, suscitando in me confusione e sospetto. Tra le sue dita scintillava la lama di un pugnale, ma il suo obiettivo non ero più io. Si stava dirigendo alla mia destra, nel punto in cui si trovava Connor, che era appena diventato il suo bersaglio.

Reed sparò sul terreno accanto ai suoi piedi per bloccarlo, una strategia che si rivelò vana quando Critelli gli si lanciò letteralmente addosso. I due ragazzi finirono sul lastricato della banchina; Valerio lottava per strappare la pistola dalla mano di Connor e quest'ultimo si dimenava sotto al suo peso nel tentativo di scansarlo. Provai a mirare al nemico, ma si stavano muovendo troppo e avrei rischiato di colpire Reed per sbaglio.

Percepii la fitta di dolore che aveva sicuramente sentito Connor, nel momento in cui Valerio gli affondò le unghie nella cicatrice e lo trattenne con la spalla premuta al suolo. Critelli riuscì a impossessarsi della sua arma, per poi schiacciare il cilindro sulla tempia di Reed.

«Dammi la pistola,» mi ordinò, «oppure ammazzo il tuo amico in questo preciso istante.»

Rimasi immobile, titubante, ma fu sufficiente incrociare lo sguardo preoccupato di Connor per convincermi di quale azione compiere. Appoggiai la rivoltella sul lastricato e la feci scivolare verso Valerio. La impugnò e si rimise velocemente in piedi, una pistola puntata nella mia direzione e l'altra contro Reed, ancora per terra.

«Ora me ne vado e non mi seguirete, chiaro? Se vi becco di nuovo sulla mia strada, sparo a entrambi senza pensarci due volte. Non provate a testare la mia pazienza» ci intimò aggressivo. «'ndi vidimu, ntrocchi.»

Critelli camminò piano all'indietro, tenendoci sotto al mirino delle pistole, finché non uscì dai cancelli del porto e si girò per correre via. Il buio si mangiò la sua figura, celandola alla nostra vista. Mi precipitai da Connor e lo aiutai a rialzarsi, sostenendolo con il palmo appoggiato sulla sua schiena.

«Ti ha ferito?» mi premurai di chiedergli.

Scosse il capo in segno di negazione, nonostante la smorfia sul volto. «Forse sono saltate un paio di suture, ma sto bene.»

«Lo abbiamo perso, cazzo» realizzai, pervasa dal livore e dalla delusione cocente. «Egor andrà su tutte le furie. Gli avevo promesso che gli avrei portato Critelli entro la fine della giornata.»

La bocca di Connor si piegò in un ghigno trionfante, che non sapevo bene come interpretare. Poi dissipò il mio sconforto annunciando: «Non disperare, Milady. Possiamo ancora raggiungerlo. Ho inserito un localizzatore nella pistola».

«Sei un fottuto genio, Reed» lo lusingai, rianimata da quella piacevole notizia.

«Dillo che sono il miglior partner che tu abbia mai avuto» mi stuzzicò.

In effetti, stavo iniziando a rivalutare le missioni in solitario. In coppia si lavorava decisamente meglio, soprattutto se il mio braccio destro era qualcuno di intelligente e perspicace come lui.

«Formiamo un bel duo» gli concessi. «Prima di montarti la testa con i miei complimenti, però, andiamo a prendere quel bastardo.»

Koptevo, nord di Mosca

Il GPS nella pistola di Connor ci rivelò che Valerio era ritornato a Mosca. Seguimmo il suo percorso dallo schermo del cellulare e dopo qualche ora giungemmo in città, ormai a sera inoltrata.

«Sta andando verso la zona settentrionale» mi comunicò Reed, che dettava le indicazioni stradali mentre io guidavo. «Devi svoltare sulla Sobolevskiy.»

Conoscevo quella via, ma non avevo mai scorto traccia di Critelli o della sua presunta abitazione. Mi domandai dove si fosse nascosto per tutto quel tempo, o con l'aiuto di chi.

«Perché non gli hai sparato, quando ne hai avuto l'occasione?» mi interrogò d'un tratto Connor. Percepii le sue iridi che mi osservavano. «Intendo mentre mi stava attaccando. Hai avuto abbastanza tempo per ucciderlo, ma non l'hai fatto comunque.»

Mantenni le pupille fisse sul parabrezza e sulla strada congelata all'esterno, per non guardarlo in faccia. «Perché avrei potuto ferire te, al suo posto, e non ci tenevo a indossare di nuovo i panni da infermiera.»

«In realtà il vero motivo è che non puoi tollerare un'esistenza senza di me, giusto?» ribatté in tono di vanto ma al contempo scherzoso.

«Egocentrico del cazzo» sbuffai, anche se dovetti mordermi il labbro per non ridere. «Dove devo andare, adesso?»

Tirò un'occhiata al telefono. «Entra a Koptevo e costeggia il parco principale.»

Più avanzavo nel quartiere, ascoltando le direttive di Connor, più il panorama diventava stranamente famigliare. Percepii un groviglio che si formò nello stomaco e l'agitazione che mi stritolava il cuore, facendolo rimbombare nelle orecchie. Le mani cominciarono a sudare, rendendo precaria la stretta sul volante.

Perché io lo conoscevo benissimo, quel luogo. Ci ero stata innumerevoli volte, ma lo compresi troppo tardi.

I tasselli disordinati delle ultime vicende assunsero la propria posizione, creando un'immagine precisa e nitida, di cui ebbi la conferma quando Connor mi indicò dove parcheggiare.

Con le dita che tremavano, rimossi le chiavi della macchina dal quadrante. Azzardai uno sguardo fuori dal finestrino e, sebbene mi sentissi sprofondare in una voragine, non mi stupii nel vedere il condominio in cui abitava Larysa.

Insieme a Valerio. Insieme al nemico.

Angolo autrice

Buonasera readers 🫶🏻🫶🏻

Ci ho messo parecchio a terminare questo capitolo, perché come avrete notato ci sono perlopiù scene d'azione, il mio punto debole 💀💀 Spero che vi sia comunque piaciuto e che la lettura sia risultata scorrevole.

May e Connor danno la caccia a Valerio, il nostro criminale calabrese preferito, prima sulla Transiberiana e poi tra le strade di Jaroslavl. Adoro questo personaggio e mi diverto un sacco a scrivere i suoi dialoghi, anche se è nemico del Ghetto.

E a proposito di nemici, a quanto pare Larysa sta facendo il doppio gioco 👀
Qualcuno di voi aveva già capito che avesse una relazione clandestina con Valerio, qualcuno invece è andato completamente fuori pista (l'ipotesi di una storia con Egor è la mia preferita).

Nel prossimo capitolo ci sarà il confronto tra Larysa e May, e voleranno un po' di insulti. Secondo voi che fine farà Valerio, in tutto ciò? May deciderà di risparmiarlo?

Aspetto le vostre opinioni, per me sono fondamentali. Se volete supportare la storia, lasciate una stellina ✨️

Alla prossima! Xoxo <3

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Traduzioni:

1) Provodnitsa= impiegata del treno
2) Picciula= piccola
3) "Nun me ne futta nenti"= non me ne frega niente
4) "'ndi vidimu, ntrocchi"= arrivederci, stupidi

Luoghi:

• Jaroslavl (città situata a 300km a nord-est di Mosca, che sorge sul fiume Volga)

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