Capitolo 12

Solntsevo, ovest di Mosca, 24 ottobre 2019

Non appena Larysa salì in auto, capii subito che c'era qualcosa che non andava.

Tanto per cominciare, mi aveva salutata con un flebile ciao, invece di insultarmi amichevolmente come suo solito. La sua aria scoppiettante era scomparsa, lasciando spazio a un cipiglio grave e pensieroso.

Il silenzio di Larysa era più insopportabile delle sue parole, perché non si limitava a tacere: aveva bisogno di occupare la mente e il corpo, per distrarsi. Batteva la suola delle scarpe sul tappetino, abbassava e alzava il finestrino a ripetizione, torturava le ciocche del caschetto biondo e giocava con uno dei suoi fidati coltelli, facendolo volteggiare tra le dita.

E io non ero famosa per la mia pazienza e la mia buona tolleranza. A metà del tragitto verso il quartiere di Solntsevo, mentre eravamo bloccate a un semaforo, mi girai verso di lei e decisi che non ne potevo più.

«Che cazzo ti prende?» sbottai.

I suoi occhi celesti si posarono sulla mia figura e sbatté le ciglia con aria confusa, come se si fosse dimenticata di essere seduta in macchina con me. Colpa del suo deficit dell'attenzione.

«A me?» pronunciò, stordita. «Niente, niente.»

«E allora perché ti comporti come se ci stesse inseguendo la polizia?»

Sgranò le palpebre e si voltò verso il retro dell'auto. «Ci insegue la polizia?»

«LaLa!» richiamai la sua attenzione. «Non ci insegue nessuno. Voglio solo capire cosa hai. Sembri inquieta.»

Il semaforo diventò verde e ripartimmo, ma l'ingorgo stradale rendeva difficile il proseguimento. Il traffico di Mosca a mezzogiorno era una delle cose che odiavo di più. Ci avremmo impiegato molto meno tempo a piedi.

«Sto bene» replicò Larysa.

«Ah, sì? Dimmi, com'è andata a San Pietroburgo? Hai ucciso Valerio Critelli?»

Non appena sentì quel nome, scattò con la schiena rigida. Ci avrei scommesso che quel bastardo della 'Ndragheta era il motivo della sua evidente agitazione.

«Mi è scappato» confessò, alla fine. La sua voce era titubante ed evitava di guardarmi, le pupille fisse sul paesaggio oltre il vetro. «L'ho tenuto lontano dai fiumi, come mi avevi consigliato, ma è riuscito comunque a fuggire. L'ho cercato per due giorni interi. Sparito nel nulla.»

«Egor come l'ha presa?» indagai, concentrandomi sulla guida.

«Non mi pagherà. Era incazzato nero. Ha detto qualcosa sul fatto che siamo due bambine incompetenti e che abbiamo entrambe fallito.»

«Che pezzo di merda» sibilai, stritolando il volante. «Ci facciamo il culo per lui da sette anni e ci tratta come le sue puttane.»

«Vuoi dargli torto? Dovremmo essere tra i suoi sicari più forti e ci siamo fatte abbindolare da un idiota» sibilò a denti serrati, con una certa irritazione.

«Critelli è un demonio» dichiarai. «Prima o poi avremo la nostra vendetta, LaLa. Puoi giurarci.»

La mia amica, però, non sembrava entusiasta a quell'idea. Bofonchiò qualcosa in ungherese e mi ignorò per il resto del tragitto. Non insistei per farla sfogare; sapevo che Larysa aveva bisogno dei suoi tempi e dei suoi spazi, quando era di cattivo umore, e pressarla non sarebbe servito a nulla. Avrebbe assimilato la sconfitta non appena avrebbe compiuto un altro omicidio perfetto.

Arrivammo e Solntsevo e parcheggiai l'auto fuori dall'ingresso del mercato coperto. L'ultima cosa che volevo fare durante il mio giorno libero era del noioso shopping, ma era un ordine di Egor. Dovevamo procurarci degli abiti per la serata al Teatro Bol'šoj, finanziata dalla Huang Corporation, che si sarebbe tenuta tra quattro giorni. Il mercato nero di Solntsevo era l'unico luogo dove trovare vestiti eleganti e al tempo stesso provvisti di tasche per nascondere le armi.

Entrammo, venendo investite dalla cacofonia di voci e odori. Superammo i banchi del cibo e dei prodotti artigianali per dirigerci verso i venditori di stoffe e capi d'abbigliamento. Davanti ai nostri occhi si presentò una sfilza di abiti dai tessuti più variegati, alcuni decisamente troppo appariscenti o troppo semplici, di mille sfumature diverse.

«Cosa vedremo al teatro, per la precisione?» mi chiese Larysa, saggiando con le dita una lunga gonna di seta blu.

«Una serie di spettacoli di vario genere, per festeggiare l'anniversario della ristrutturazione. Sulla locandina si parlava di balletti, concerti d'opera, orchestra, commedie...»

«Ho capito» mi interruppe Larysa. «Lascia fare a me.»

La lasciai fare davvero, perché detestavo il pensiero di mettermi a setacciare quella pila di stracci per scovare qualcosa di decente. In compenso, mi fermai ad ammirare il banco dei gioielli. Notai un braccialetto spesso, una fascia dorata costellata di minuscoli zaffiri. Il cartellino con il prezzo riportava una cifra esorbitante.

Dissi alla venditrice che desideravo acquistarlo e le porsi la carta di credito senza indugiare. Avrei pagato con i soldi di Egor e avevo proprio una gran voglia di arrecargli danno, anche se ero consapevole che il suo patrimonio era infinitamente vasto e che quella spesa sarebbe stata minima per le sue tasche. Era una piccola vittoria personale, almeno.

«Ottima scelta, malyshka» si complimentò la venditrice, un'anziana signora con una folta chioma color cenere, mentre riponeva il bracciale in un sacchetto di carta. «Lo sai che questo gingillo apparteneva a una zarina?»

Sogghignai. «Dalle mani di una principessa a quelle di un'assassina.»

La vecchia non commentò. Lavorava al mercato nero, d'altronde. Era abituata a un flusso continuo di criminali.

Larysa mi raggiunse con due enormi buste sottobraccio e, come se non fosse stato abbastanza, acquistò anche una collezione di gioielli con rubini incastonati. Non mi domandai dove avesse rimediato i soldi, dato che non aveva ricevuto l'ultimo pagamento da Egor. Intuii che fossero frutto di vincite illegali al casinò.

«Andiamo alla Villa a provarli. Devo vedere di persona come ti sta il vestito che ho scelto» decretò LaLa, quando uscimmo dalla struttura del mercato coperto.

«Se andassimo a casa tua?» proposi. «Danny starà ancora dormendo. Non voglio disturbarlo.»

«Non credo sia una buona idea» esitò lei. «C'è troppo disordine, dopo i giorni che ho passato a San Pietroburgo.»

«Come se non fossi abituata al tuo casino.»

Larysa non commentò. Be', non aveva negato, quindi mi presi la libertà di guidare fino a Koptevo, il distretto dove abitava. Il palazzo in cui Egor l'aveva sistemata si trovava sulla strada Sobolevskiy Proyezd, che attraversava l'intero quartiere.

Seguii Larysa nel suo appartamento, al terzo piano dell'immobile. Non mi sfuggì il tremito delle sue mani mentre inseriva la chiave nella serratura e la ruotava.

«Puoi aspettare un attimo qui fuori?» mi domandò, quasi supplicante. «Sistemo una cosa e ti faccio entrare. Ci metto poco.»

«Okay» mormorai, stralunata dal suo comportamento.

Larysa sparì oltre la porta, con le buste in mano. Sentii dei lievi rumori provenire dall'interno, come di mobili che venivano spostati e fruscii di sacchi di plastica. Che cazzo stava facendo?

Ero sul punto di bussare e dirle di muoversi, quando aprì la porta. Aveva il fiatone e un sorriso tirato sul volto. «Adesso puoi entrare.»

«Si può sapere cosa hai oggi?» le chiesi di nuovo, oltrepassando l'uscio di casa sua. «Sembri pazza. Più del solito, s'intende.»

Non udii la sua risposta - se mai ci fosse stata - perché fui distratta dal caos che regnava in quell'appartamento. Larysa aveva avuto ragione, ad avvertirmi. Quel posto era una discarica: avanzi di cibo sul tavolo, il lavello del piano cottura colmo di pentole e stoviglie sporche, armi varie gettate sul divano. Ed era solo il soggiorno.

«Hai organizzato una festa e non mi hai invitata?» la schernii.

Lei contrasse le labbra in uno sbuffo. «Non ne parliamo. Lo sai che quando sono nervosa faccio un casino. E fidati che ieri ero più che nervosa.»

«Adesso basta pensare a quello stronzo di Critelli. Andiamo a provare i vestiti, su» la esortai.

Larysa accettò e la aiutai a portare le numerose buste in camera. Il letto a doppia piazza era sfatto, con un cuscino per terra e uno al centro al materasso. Una scia di vestiti conduceva dall'armadio al bagno adiacente. Larysa li raccolse in fretta e li gettò nel cesto dei panni sporchi.

«Non farò domande» la rassicurai, e la sua espressione preoccupata si distese.

Mi mostrò il vestito che aveva scelto per me: un abito turchese, semplice e lungo, con il corpetto che si allacciava dietro al collo e lasciava le spalle scoperte. Lo indossai e dovetti ammettere a me stessa che non era poi così male.

«Sei una dea, MayMay» mi lusingò quella ruffiana della mia migliore amica.

La squadrai. Per se stessa aveva comprato un completo elegante composto da giacca e pantaloni neri, con un top a fascia bianco sotto. Un look molto più comodo e originale del mio.

«Perché non posso averli io, i pantaloni?» mi lamentai.

«Perché quel vestito è stato disegnato apposta per finire su di te» replicò. «Guarda nella cintura. C'è una sorpresina.»

Tastai la fascia legata in vita e percepii i contorni di una sagoma. Dovetti controllare ogni piega del tessuto, prima di trovare l'accesso allo scomparto segreto e impugnare il coltellino che Larysa aveva celato.

«Nella gonna c'è un'altra tasca, abbastanza grande per nascondere una pistola» mi illustrò. «Avanti, ammetti che è l'abito perfetto. Sarai uno schianto e al tempo stesso un pericolo ambulante.»

La mia unica osservazione fu: «Mi conosci meglio di chiunque altro».

Ghetto Zaffiro, sud-est di Mosca

«Organizzeremo un attentato.»

L'annuncio di Egor risuonò lapidario nella stanza, infrangendosi sui presenti seduti intorno al tavolo rettangolare. Il vory era l'unico in piedi e ci osservava con sguardo glaciale e irremovibile.

«Ti dispiacerebbe spiegarti?» chiesi con uno sbuffo annoiato.

Uno degli uomini più fidati di Egor, seduto di fronte a me, mi scoccò un'occhiata di rimprovero. «Modera il tono, mocciosa. Stai parlando con il vory

«Appunto» risposi ghignando. «Utilizzo il tono che voglio, stronzo.»

L'energumeno divenne paonazzo dalla rabbia. «Come mi hai chiamato?»

«Lasciala stare, Demid» lo zittì Egor. «E tu, Maybelle, impara ad avere pazienza e a dare alle persone il tempo di esprimersi.»

Incrociai le braccia al petto e digrignai i denti. Lo odiavo più di qualunque altra cosa al mondo, quando mi faceva la paternale.

«Stavo dicendo,» riprese il discorso, «che organizzeremo un attentato, ma non dovrà essere coinvolto alcun civile. L'obiettivo è il capo della Huang Corporation, che come sapete finanzierà gli spettacoli. Dovete scoprire chi ha venduto la ricetta del Sapfir a Pavel Bykov. L'ultima sospettata, Lin Wu, si è rifiutata di confessare.»

Mi scambiai un'occhiata con Yan, seduta più distante. Ricordavamo bene l'omicidio di Lin Wu, l'impiegata della Huang Corporation che aveva una storia clandestina con Bykov, realizzato col contributo di entrambe.

«Chi è il capo della Huang Corporation?» lo interrogò Larysa. «Hai una foto?»

Egor schiaffò sul tavolo l'immagine di una donna cinese. «Zhu Huang, cinquantadue anni. Segni particolari: una cicatrice sul labbro.»

Larysa si appropriò della foto. Voleva a ogni costo essere lei a catturare la preda e portare al termine la missione con successo, in modo da rientrare nelle grazie di Egor.

«Siamo sicuri che non ci riconosceranno?» intervenne una voce che identificai con fastidio.

Connor era seduto - fortunatamente, direi - il più lontano possibile da me. Non ci rivolgevamo parola dal litigio in merito all'uccisione della giornalista, avvenuta ormai giorni prima. Nonostante lo evitassi come la peste, però, continuavo a riflettere sul suo discorso e sulla mia mancanza di empatia.

«È per questo che manderò voi novellini, insieme ai miei sicari migliori. Prendetelo come un test per capire se meritate davvero un posto nel Ghetto» gli rispose Egor. «Altre domande?»

«Sì,» proseguì Reed, l'aria saccente, «quando e come dovremo attaccare? Nel bel mezzo di un balletto?»

Egor lo scrutò per alcuni secondi. O ammirava la sua precisione o stava meditando sul cacciarlo. Alla fine, spiegò: «Ci sarà un intervallo di dieci minuti, dopo il terzo spettacolo. A quel punto, attaccherete. Alcuni di voi terranno in ostaggio i civili, mentre gli altri si occuperanno di Zhu Huang. Abbiamo un alleato nello staff del teatro, che disattiverà le telecamere e sequestrerà i telefoni degli ospiti all'entrata».

Connor annuì, l'espressione assorta. Chissà a che diamine stava pensando. E chissà perché cazzo mi interessava.

Dato che non arrivarono altri interrogativi, Egor proclamò conclusa la riunione strategica. Uscì dal salotto e i presenti - Larysa, i novellini e due dei suoi uomini - si alzarono, sparpagliandosi per la stanza.

Io ero intenzionata a tornare in camera da mio fratello, ma una mano che si posò sul mio braccio mi frenò. Mi voltai, trovandomi davanti le iridi scure e dolci di Azhar.

«Ciao» mi salutò, abbozzando un sorriso timido. «Non ti vedevo in giro da un po'.»

«Sono stata occupata con delle missioni» gli riferii. Mi venne istintivo ricambiare il suo sorriso. Azhar aveva un aspetto così tenero che era impossibile trattarlo con acidità.

«Ah, giusto. Ho sentito di quella ragazza. I giornali stanno già sparando teorie complottistiche sulla sua scomparsa.»

Serrai le labbra in una linea dura. «Non è l'omicidio di cui vado più fiera.»

Lui mi osservò con curiosità. «Ti va di parlarmene?»

Non sapevo spiegarmi il motivo, ma mi fidavo di lui. Mi aveva baciato e lo avevo respinto, ma ciò non ci impediva di instaurare un rapporto di amicizia.

E poi... voltai il capo e mi imbattei nello sguardo attento di Connor. Non sopportavo l'insistenza con cui ci stava analizzando e sopportavo ancora di meno che non facesse niente per nasconderlo.

«D'accordo» dissi, quindi. «A una condizione: andiamo in cucina e mangiamo qualcosa insieme.»

Azhar accettò di buon grado e scendemmo al piano terra. Erano le dieci di sera passate, perciò Klara aveva già finito il turno e trovammo la cucina deserta. Gli suggerii di accomodarsi, mentre cercavo qualcosa da mettere sotto i denti.

Nel frigo c'erano i resti di una torta al Pan di Spagna, farcita di crema pasticcera e ricoperta di cioccolato. Tagliai una fetta per me e una per Azhar e mi sedetti accanto a lui, ruotando il busto nella sua direzione.

«Allora?» esordì, mangiando una forchettata di dolce. «Perché non vai fiera di aver completato una missione per conto di Egor? Sembri molto dedita al tuo lavoro.»

«Ti basta sapere che non sono diventata un sicario per mia volontà e che odio soddisfare le richieste malate di Egor» confessai, giocando con la forchetta nell'impasto soffice della torta, per evitare di guardare Azhar in faccia. «Quella giornalista, Anastasia, era una ragazza innocente. Stava svolgendo il suo lavoro, e il paradosso è che anch'io stavo svolgendo il mio. Questo mi giustifica o mi condanna?»

«Nessuna delle due opzioni. Non sei da condannare, May. Ognuno di noi è finito in questa organizzazione per un motivo. E non sei da giustificare, perché ribellarci è sempre una possibilità. Avresti potuto agire diversamente e salvare quella ragazza? Forse sì, ma saresti andata incontro all'ira di Egor.»

«E tu come sei finito qui? Sembri troppo buono per questa casa degli orrori» notificai, virando la conversazione su un altro argomento.

«I miei genitori sono importanti imprenditori di Dubai. Gestiscono una catena di hotel di lusso, ma negli ultimi anni la loro attività stava crollando. Sono entrati nel giro del racket dell'estorsione. Tra loro ed Egor non scorre buon sangue, da quando si sono contesi alcuni clienti illustri. Mi hanno mandato da lui come "offerta di pace".»

«Vali molto di più di una misera offerta di pace» dichiarai, infuriata. Quali genitori vendono il figlio a un mafioso solo per mantenere intatti gli affari?

Scrollò le spalle, una curva triste sul viso. «Per loro non valgo così tanto. Mi hanno sempre considerato il figlio inutile. Mio fratello, invece, era la loro soddisfazione più grande. Se mi hanno tenuto è perché credevano che sarei diventato un degno erede del loro impero. Invece mi sono sempre opposto alle loro attività illecite, e so che mi odiano per questo.»

«Quella al teatro sarà la tua prima missione?»

Mosse il capo in un cenno di conferma e i riccioli neri e lucenti gli sfiorarono le tempie. «Se farò un buon lavoro, potrebbero cambiare opinione su di me. Potrebbero negoziare per riportarmi a Dubai. Se invece dovessi fallire... tornerò comunque a Dubai, e mi uccideranno loro stessi.»

La calma con cui pronunciò quella frase, come se si fosse rassegnato al suo destino, mi strinse il cuore. Azhar non meritava una vita del genere. Non era giusto che dovesse sporcarsi le mani e l'anima di sangue per guadagnare l'amore dei suoi genitori, un sentimento che dovrebbe essere imprescindibile dalla nascita.

A volte desideravo che i miei genitori fossero persone orribili, così che la loro perdita sarebbe stata meno dolorosa. Altre volte, come in questo momento, ringraziavo il cielo per avermi donato una famiglia meravigliosa e unita.

«Ti aiuterò io» decisi, d'un tratto. «Restami accanto, quella sera, e completeremo insieme la missione. Ti darò parte del merito e farò in modo che Egor lo riferisca ai tuoi genitori. E se dovessero chiederti di rientrare a casa... be', tu rispondi con un bel vaffanculo. Non meritano un figlio come te.»

In realtà fu il mio cuore a decidere, perché il cervello si azionò dopo. Non ero abituata a quel meccanismo impulsivo, ma non rimangiai le mie parole. Volevo davvero aiutare Azhar. Una forza mi spingeva verso di lui, il bisogno di proteggerlo dalla realtà tossica del Ghetto e dal ricordo cupo della sua famiglia.

«Le pensi ancora, le cose che mi hai detto in palestra la scorsa volta? Che non ricambierai mai i miei sentimenti?» mi domandò all'improvviso, l'espressione seria e gli occhi scuri che erano abissi in cui annegare. «Perché ho una voglia matta di baciarti e non so se riesco a resistere.»

Non serviva aggiungere altro. Lo desideravo tanto quanto lui, perciò mi sporsi verso Azhar e premetti le labbra sulle sue.

Inizialmente fu un bacio lento, delicato, dal sapore dolce di cioccolato. Poi lui mi tirò dai fianchi e mi portò a sedere sulle sue ginocchia, le mie cosce strette al suo bacino, e divenne uno scontro frenetico e passionale. Le mie dita gli artigliarono la nuca, infilandosi tra i riccioli setosi. Le sue oltrepassarono il bordo della felpa, accarezzandomi l'addome.

La mia risposta era sempre la stessa, ovvero che non sarei mai stata in grado di amare uno come Azhar senza distruggerlo, ma non me ne curai. Il desiderio che avevo di lui era egoista e cieco.

E non avremmo mai saputo fin dove ci saremmo spinti, perché qualcuno entrò in cucina e ci separammo di scatto.

«Scusate il disturbo» disse Connor, sulla soglia. «È l'ora del mio tè serale.»

Ancora seduta a cavalcioni su Azhar, osservai Reed. Si stava visibilmente mordendo una guancia per non ridere. Sentii il volto andarmi in fiamme, un po' per l'imbarazzo e un po' per la rabbia. Doveva sempre mettersi in mezzo?

«Il tuo tempismo è una merda, Reed» gli ringhiai contro, mentre entrava in cucina e raggiungeva la credenza.

Mi risedetti al mio posto. Azhar era avvampato; grattò il collo con fare agitato, mentre io sistemavo la felpa. Connor, completamente a suo agio, recuperò il bollitore, lo riempì d'acqua e lo posizionò su un fornello, con la bustina di tè che galleggiava.

«Stavate mangiando la mia charodeyka?» indicò i piatti con i residui di torta. «L'ho preparata questa mattina. Spero che non sia diventata appiccicosa

«Credo che tornerò a casa» borbottò Azhar, le guance imporporate. Mi dispiaceva vederlo così in difficoltà. Non era colpa sua se Reed era un bastardo di prima categoria. «Buonanotte, ragazzi.»

Gli risposi in un sussurro. Non appena fu uscito dalla cucina, mi scagliai su Connor: «Cosa speravi di ottenere, eh?».

Increspò la fronte. «Come, scusa?»

Mi alzai in piedi e mi posizionai davanti a lui, gli occhi e la voce intrisi di collera. «Ci hai interrotti.»

«Sei così egocentrica da pensare che l'abbia fatto apposta, May?» Spense il fornello e versò il liquido in una tazza. Si appoggiò al ripiano della cucina e sorseggiò il suo fottuto tè, le pupille incollate alle mie. «Non me ne frega niente, delle tue conquiste. Non sono io quello che cerca attenzioni.»

«Be', a me non frega un cazzo del fatto che a te non freghi niente!» ribattei stizzita.

Non gli diedi il tempo di rispondere e marciai a passo spedito fuori dalla cucina. La sua successiva replica, però, mi arrivò forte e chiara alle orecchie: «Buonanotte, May».

Angolo autrice

Salve readers✨️ Perdonate il ritardo, anche stavolta mi sono ridotta all'ultimo a scrivere. Spero che non ci siano troppi errori, in caso fatemelo tranquillamente notare.

Comunque, capitolo molto di passaggio. Larysa è un po' lunatica (ipotesi su cosa nasconda?), May si riavvicina ad Azhar e, tanto per cambiare, si prende a parole con Connor.

Niente di entusiasmante, lo so, ma serve a prepararsi ai prossimi, che saranno più impegnativi. Assisteremo alla missione al teatro e ci scapperà il primo morto, vi avverto💀

Ricordate di seguirmi su IG per contenuti aggiuntivi: miky03005s.stories

Alla prossima! Xoxo <3

Note:

• L'abito di May

• La charodeyka è una torta tipica russa, con glassa al cioccolato e ripiena di panna e crema pasticcera

• Il racket è un'attività criminale finalizzata a controllare settori dell'economia per guadagnare soldi in modo illecito

Traduzioni:

1) Malyshka= bambina

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