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~Axel~
- Chi c'era nella trattativa oltre te e Di Marchese? Sarò clemente se parlerai. – dico con un sorriso, “illuso.” Non do mai seconde possibilità, tuttavia questa tattica ha sempre dato buoni riscontri.
- Mi dispiace, capo, ma davvero non so chi c'era. – mi dice, il suo viso è pesto. Oliver sta dietro di me come uno scudo, però dietro alla vetrata ci sono i miei uomini pronti a ogni evenienza.
- Hai due possibilità: confessare o morire. Quale scegli?
Tuttavia non mi dà nessun riscontro, così annuisco.
- Sarai mio ospite, so che ti piacerà la stanza bianca. – gli mormoro all'orecchio.
- No! Capo, ti prego, no! – urla, mentre si dimena sulla sedia.
Lascio la stanza con il mio braccio destro e procedo verso il corridoio laterale.
- Sei sicuro di questa punizione? – mi dice Oliver.
Mi giro a quarantacinque gradi verso di lui con le mani nelle tasche.
- Oh, che sei tenero. Ricordati dove siamo, qui non si scherza.
- È una punizione atroce, non solo fisica ma anche mentale. E se facesse l'effetto contrario?– ribadisce.
- Non cambio idea.
- Hai dato questa punizione soltanto poche volte, io morirei lì dentro. – dice a bassa voce.
- Smettila di essere empatico, in questo lavoro non serve. Ricordati solo che quell'uomo ha barattato la sua merce con dei bambini. – gli faccio ricordare.
Una cosa molto importante che ho appreso fin da subito nella mia tenera età era questa: *donne e bambini non si toccano senza motivi.*
- “Ricordati, Axel, donne e bambini non si toccano. Loro sono il nostro futuro. Il compito che ti sto lasciando non è facile, però sono sicuro che sarai un ottimo boss e rimetterai l'ordine. Mi affido a te, bambino mio.”
~Stella~
Il GPS è fermo.
Mi faccio forza ed entro. L'atrio assomiglia a una stanza da bowling, tutta fatta di specchi e luci bianche, incorniciate da rilievi di marmo. Il pavimento e il soffitto sembrano essere una sola unità; mi sembra di girare intorno. Cerco un punto fisso e mi dirigo verso il banco di vetro dove c'è un signore completamente vestito di nero, anche se il gilè è lucido in contrasto con il pantalone, che è opaco.
L'uomo mi guarda con molta attenzione, come se mi stesse facendo una radiografia, e con un gesto mi indica di posare il mio zaino per il controllo. Per caso siamo in aeroporto? Non vedo tabelloni di partenza o di arrivo.
Dopo questo check-up, mi fissa come se volesse altro e solo in quel momento mi ricordo della nota dell'impiego. Mostro il cellulare e, con un gesto automatico, si dirige verso un ascensore che non avevo notato all'inizio, nascosto in una nicchia dietro l'ingresso.Seguo l'uomo, avvertendo tanti occhi addosso. Con l'aria inquietante, mi guardo attorno. Come sospettavo, i miei sensi non mi deludono: con un occhio attento, vedo delle telecamere posizionate in angoli sperduti sotto luci finte. Chi ha comprato questo lussuoso grattacielo è un maniaco della sicurezza.
Che freddo!
Il portinaio, o chiunque esso sia, mi riporta alla realtà e sussurra: -Mi segua.
La sua voce è piatta, senza calore. Siamo sicuri che sia umano? Forse un robot? In che posto sono finita?
Digita su una piccola tastiera uscita da chissà dove e poi mi guarda.
-L'ascensore la porterà direttamente a destinazione,- dice, per poi girarsi e sparire dietro le mie spalle.
Lo guardo stranita e mi avvicino all'apertura dell'ascensore, che si apre silenziosamente.
Anche in questo locale, non si può dire che sia piccolo. Forse è più grande di quello dell'ospedale. Ah, i ricchi!
"Stella, smettila di lamentarti," mi riprendo.
Lamentarsi non serve a niente e ammettere che la vanità fa male al cuore.
In un battibaleno mi ritrovo a contemplare un salone immenso, ma... come è possibile? Questo coso è velocissimo! E a che piano siamo?
Faccio alcuni passi per uscire dal mio trasporto e mi guardo in giro. L'ingresso è ampio e fatto di marmo di Carrara. Il salotto si affaccia sul tramonto di New York, che è favoloso.
Rimango a fissare quel panorama, distogliendo lo sguardo solo quando sento il ticchettio di un paio di tacchi, per incontrare una donna.
La signora si presenta con pantaloni e giacca color lavanda, un tacco medio nero. La sua età non mi è chiara, ma ha il viso curato.
-Lei deve essere la nuova babysitter. Sono Amanda Cox.
“La sua voce è dolce.”
La donna ha una corporatura magra, le spalle curve verso l'interno, il collo alto ed elegante, anche se sfregiato da una cicatrice lunga che viene coperta dalla camicia di seta. I suoi capelli sono mossi e di un biondo scuro.
I suoi occhi celesti mi attirano come calamite e mi perdo dentro di loro. Non è un caso che siano lo specchio dell'anima. Ciò che sento mi fa rabbrividire, così mi porto le braccia alle spalle per darmi calore.
-Sente freddo?- dice. Probabilmente si sta chiedendo se ci sono o meno. Non riesco a distogliere gli occhi, una lacrima amara mi scende dalla guancia.
-Signorina, sta bene?
L'incantesimo termina e faccio un balzo indietro.
Ho il cuore che pesa come un macigno, mi sento disorientata.
-Sì, le rispondo, con il respiro gelato.
-Non credevo che facesse già freddo fuori, aumento la temperatura.- afferma, avvicinandosi a un tablet appoggiato sul tavolino e digitando qualcosa. Il calore si diffonde da sotto i piedi e mi sento meglio.
-Grazie per la sua gentilezza.
Lei mi sorride e mi indica il divano color crema.
-Buonasera, signora. Io sono Stella Rivera,- mi presento, cercando di non balbettare. La donna mi sorride come se sapesse tutto di me: vita, morte e miracoli. Come dice nonna Margaret: "Le persone vogliono sentire tutto da noi", purtroppo mi sembra che qui sia l'opposto.
Mi sembra gente che, prima di assumere, guarda la fedina penale.
Il silenzio si fa prepotente, la donna mi sta studiando. Quello sguardo mi rimanda a una sensazione familiare. Non capisco, ma è come se ci fossimo già conosciute.
Le mani si fanno umide e il calore che c'è mi sta dando alla testa. Sono per caso davanti a un giudice? Per pietà, mai più!
La donna si alza e mi fa venire un infarto. Ho capito, non sono portata. Delusa da quel fiasco, mi alzo a ruota.
-Signorina Rivera, mi segua.
Alzo di scatto la testa, sono stata accettata? Le sorrido, felice. L'appartamento è davvero immenso; dopo un giro veloce tra i mobili moderni, saliamo al piano superiore e noto che ci sono sette camere. Però noi entriamo nella seconda.
La signora apre la porta a due ante di legno chiaro e mi mostra una camera spaziosa, con al centro un baldacchino di tulle rosa e magenta, un tappeto color latte immenso e tanti giochi sparpagliati un po' ovunque.
-Emily.
Da un corridoio che presumo sia la cabina armadio, poiché la piccola esce con due capi differenti e con un calzino fuori posto.
-Mami, sono quasi pronta! -esclama, sparisce e ritorna dopo poco vestita. Si avvicina a noi, la madre le accarezza la testa con amore e poi si inginocchia.
-Principessa, lei è la signorina Stella.
La piccola mi guarda con due occhi azzurri, tratto che ha sicuramente preso dalla madre, e mi allunga la mano come un'adulta.
-Piacere di conoscerla, io sono Emily Cox, -dice, per poi riportare lo sguardo alla madre. Sono due gocce d'acqua, nonostante la differenza di età.
-La signorina si prenderà cura di te nel lasso di tempo che mancherò da casa. Sai come comportarti, amore mio.
Il suo amore incondizionato per quella piccoletta mi stringe il cuore. Mia madre non mi aveva mai rivolto tale affetto, e l'invidia torna a farsi sentire.
-Okay, scendiamo, le devo parlare di alcune questioni importanti.
La donna prese la piccola manina e *prendemmo* la via di prima. Emily si accostò al divano, mentre seguivo la madre.
-Mia figlia ha delle allergie, sul foglio ci sono scritte tutte le cose che può mangiare e quelle che deve evitare. Il lavoro è ad ore, ogni bonus sarà extra. Ci sarà a disposizione una stanza per lei, nel caso dovesse dormire, ma è raro. Allegato ci sono i miei contatti e quelli di chi può prendere le mie veci. Per oggi lavorerà solo poche ore, fino alle 22. Buona fortuna.- dice con aria avvilita. La vedo sparire e riapparire con la giacca e la borsa.
-Emily, fai la brava per favore.
Ci saluta ed esce di scena.
La casa si fa silenziosa, e adesso che cosa faccio? Perché ho la brutta sensazione che passerò l'inferno?
Nemmeno a dirlo, sento la voce della bambina.
-Signorina Stella, -mi prende la mano e mi fa girare. Le sorrido e mi inginocchio.
-Dimmi, piccola.
Lei gonfia le guance rosa e mi fa uno sguardo omicida.
-Non mi chiamare piccola, tu non hai il diritto!
Si punta, sobbalzo a questo cambio di comportamento.
-Mi chiami mia regina. Tu sei la mia serva, qui comando io! - puntualizza con vigore, alzandosi in punta di piedi.
“Ma che?!”
-Io sono grande e mi devi portare rispetto! Adesso me ne vado in camera mia e non mi disturbare, fai un piacere, vattene!- urla.
Altro che principessa, qui ho una regina cattiva. Ma da chi ha preso questo temperamento a soli cinque anni?
La guardo tanto d'occhio e poi sorrido. Se dobbiamo giocare, che sia.
-Come desidera, maestà.- dico facendo una riverenza e poi sparisco dietro una colonna.
La piccola sembra stupita dal mio comportamento, non rimane ferma e si dirige verso la sua camera senza capire il mio piano.
Il tempo passa e la regina cattiva non si fa vedere. Nei fogli che mi ha lasciato la madre sono riportate tutte le cose che può mangiare e, guarda caso, siamo simili. Stesse allergie, anche se le mie sono intolleranze. Dal tablet ci sono anche le telecamere della casa, molto protettive. La situazione sembra normale, il buio si fa strada nel cielo e cerco di ammazzare il tempo. La piccola mangia alle 20 e va a letto per le 21:30, orari prestabiliti con vigore. Cerco qualcosa da preparare e trovo già tutto pronto, c'è solo da riscaldare al forno.
-Che ci fai ancora qui?
-Le ho portato la cena, maestà.- le dico con un inchino. Le preparo la tavola da regina e le brillano gli occhi. Si deve giocare per andare d'accordo. Anche se me la sto facendo sotto, di solito i bambini mi adorano subito. Certo, ne ho avuti di rompi palle, ma lei li ha superati. Sa cosa vuole e lo ottiene.
Si avvicina al suo pasto, nel frattempo procedo con il dolce.
-Che stai facendo nella mia cucina?
Si avvicina di soppiatto e mi fa cadere il mestolo a terra.
-Un regalo delizioso.
-Che cos'è?
-Una cosa dolce.
-Ma io non la posso mangiare- dice triste. Quel lato peperino svanisce come burro al sole.
-Certo che puoi, l'ho preparata con le tue cose. -le dico, sporcando il nasino. -Su, aiutami.
Il suo sorriso mi riscalda il cuore. L'aiuto a salire sullo sgabello e le spiego come aggiungere gli ingredienti.
-Quando gli albumi non cadono, significa che sono montati a neve. Questi li aggiungiamo alla fine, così la torta risulta morbida e alta.
Continuammo così finché fu pronta.
-Adesso tocca al forno.- affermo, imposto il timer e faccio scendere la piccola. Tolgo i vari ingredienti e la planetaria e do una ripulita. “Nonna dice che i dolci aprono il cuore alle persone ed io l'avevo usato su una bambina.”
Finito di rassettare, mi dirigo verso il salotto. Lei guarda fuori dalla vetrata.
– Ti piace osservare?
Non risponde. Chissà cosa stia pensando.
Il timer suona, e lei corre verso la cucina, visibilmente contenta del cambio di programma. Metto i guanti e prendo la teglia. Un profumo di cannella e mele si diffonde in tutta la cucina.
– Possiamo mangiarla subito?
– Un po' di pazienza, – le rispondo. – Perché non andiamo prima a sistemare la stanza e a lavarci? Così potrai assaggiarla come ricompensa.
– Uffa, ma io la voglio ora! – squittisce, infastidita.
-Prima il dovere e poi il piacere, su, principessa, vuoi rimanere tutta sporca al rientro di tua madre?
-Ma io non sono sporca!- ribatte, ma fissandosi nota dei punti bianchi e, scocciata, sale al piano di sopra sbattendo i piedi con forza.
Le vado dietro con calma, senza forzare la cosa, e mi fermo davanti alla sua porta. La sento mettere via i giochi e, dopo poco, chiamarmi.
-Signorina, mi aiuta?
Entro e noto una stanza ampia e rettangolare, con ogni comodità; mi soffermo sulla vasca, che assomiglia a una piscina, data la sua grandezza. Emily è davanti allo specchio intero che sta accanto al mobile di legno chiaro dove sono riposti gli asciugamani.
Le sorrido e mi inginocchio per sbottonare la serie di bottoncini che compongono il vestito.
-Ecco, fatto. Ti aiuto ad entrare?
Aspetto una sua risposta, che arriva imbarazzata.
-Per favore.
La prendo dalle ascelle e la immergo nell'acqua calda, le lavo la schiena e poi i capelli. Finito il bagno, la faccio indossare il pigiama.
-Voglio la torta.- afferma, ma gli occhi le si chiudono. -Sarà domani mattina in cucina, adesso dormi, piccola principessa.
La infilo nel suo grande e morbido letto, lei ormai dorme, ma la sua manina mi tiene a sé.
-Buona notte, Emily.- le sussurro dolcemente.
-Mi piaci, Stella.- mi riferisce ormai tra le braccia di Morfeo.
-Grazie, piccola.
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